Le disgraziate vittime della tratta degli schiavi passavano attraverso una catena di supplizi. Innanzitutto venivano braccate come bestie selvagge. Sfuggivano agli orrori di questa caccia solo gli Africani venduti come schiavi da un’altra tribù che li aveva presi in guerra, o dai loro stessi capi. Dopo la cattura, dovevano affrontare le sofferenze del lungo tragitto dall’interno del continente alla costa. Seguiva l’attesa del compratore nella «casa degli schiavi» , della nave da trasporto nell’agenzia commerciale di un mercante europeo. L’attesa durava settimane o anche mesi. La tappa seguente, la traversata sulle navi negriere verso la destinazione (in America, nelle isole della Giamaica o altrove), era quella più terribile. Dopo lo sbarco, seguiva generalmente l’attesa del giorno della vendita, poi la vendita stessa che, molto spesso, significava la divisione delle famiglie. Infine, dopo l’arrivo nella piantagione o nella casa del «proprietario», cominciava per lo sventurato schiavo una vita senza speranza, da bestia da soma: lavoro forzato, fame costante, percosse, umiliazioni, eterna paura del domani.
Harry Johnston, un «illuminato» colonizzatore e storico coloniale in-glese, descrivendo le prime tappe di questo calvario racconta:
La descrizione del Johnston è tanto più significativa in quanto si riferisce a un’epoca successiva, in cui la tratta degli schiavi era già in declino grazie ai movimenti abolizionisti in Inghilterra e in altre potenze capitaliste. Alla luce di questo quadro della tratta, si può facilmente immaginare come essa dovesse essere due o secoli prima, quando i mercanti di schiavi erano liberi di agire alcuna limitazione.