La questione di confine è rimasta irrisolta. Così Asmara e Addis Abeba scaldano i motori dei cingolati, nonostante gli sforzi dell'Onu per la pace e la presenza dei caschi blu.


 
Pietraie, soltanto pietraie: quando nel 2001 gli esperti delle Nazioni Unite erano stati chiamati a definire i nuovi confini tra Etiopia ed Eritrea, erano rimasti esterrefatti che quel pezzo di deserto, sul quale sorgeva il villaggio di Badme (poche migliaia di abitanti), fosse stato causa di una guerra tra Addis Abeba e Asmara durata oltre due anni (1998-2000) e che aveva provocato tra 90 e 100 mila morti nei due eserciti.
Prima di questa sorpresa c'erano state le amare considerazioni espresse dai diplomatici dell'Ue, tradizionali protettori ed elargitori di cospicui fondi ai due paesi. Com'era possibile, si chiedevano, che i leader di due paesi tra i più poveri del mondo, l'etiope Meles Zenawi e l'eritreo Isayas Afewerki, che per di più erano stati compagni d'armi in una lunga guerriglia per abbattere il regime di Addis Abeba da un lato, per conquistare l'indipendenza dell'Eritrea dall'altro, si fossero fatti guerra per un modesto villaggio di frontiera?

Badme, sconosciuto fino ad allora, non appariva neppure sulle carte geografiche, ma presto era diventato per i due paesi una «causa nazionale». Badme era sempre stato amministrato dall'Etiopia e alla fine della guerra (dicembre 2000) la bandiera di Addis Abeba aveva continuato a sventolare sul villaggio.
La storia, però, non è finita. E proprio in queste settimane nelle pietraie di Badme e lungo i mille chilometri del confine tra Etiopia ed Eritrea si risente il rumore dei cingolati, mentre truppe vengono ammassate sui due lati del confine. Una nuova guerra? «Se ci sarà un conflitto la responsabilità sarà unicamente dell'Eritrea» afferma deciso Zenawi. Le stesse parole vengono utilizzate da Afewerki per attribuire tutte le responsabilità della situazione all'Etiopia. «Siamo alla mercé di una stupidaggine» sintetizza un ambasciatore dell'Ue.

In realtà la diplomazia europea e quella americana sono molto preoccupate. Il teatro di un eventuale conflitto tra Etiopia ed Eritrea è una regione delicata. Mentre il confinante Sudan ha da poco trovato un modus vivendi con gli Usa (le violenze contro la minoranza cristiana del Sud però continuano), la Somalia è allo sbando, ormai da 15 anni senza governo e senza diplomazia, ricettacolo di tutti gli estremisti, compresi anzitutto quelli di Al Qaeda. Che peraltro avrebbe posto basi anche in Eritrea. Più a sud, il Kenya è sotto sorveglianza speciale dopo essere stato teatro di attentati tra i più devastanti contro gli Stati Uniti. E come se non bastasse gli americani sono massicciamente presenti a Gibuti, in quelli che fino a qualche tempo fa erano gli acquartieramenti della Legione straniera francese.
Rimane da capire per quale ragione la situazione stia precipitando. Alla guerra del 1998-2000 si era posto fine con gli accordi di Algeri del 12 dicembre 2000. L'Onu si era impegnata a fondo in quella trattativa. Kofi Annan era alla ricerca di una «buona causa» dopo i ripetuti fallimenti nei Balcani. E aveva deciso non solo di creare una commissione per la determinazione dei confini tra i due stati, ma anche di inviare un corpo di pace multinazionale di 4.200 uomini. Si trattava della Minuee (Missione dell'Onu in Eritrea ed Etiopia); i due belligeranti avevano promesso solennemente che le decisioni che sarebbero state prese sui confini sarebbero state «rispettate e applicate».

Gli esperti delle Nazioni Unite, alla prova dei fatti, si erano però trovati in difficoltà. Avevano poco materiale a disposizione su cui basarsi per determinare la frontiera. Certo, l'Etiopia aveva fornito tutte le carte che si trovavano nei suoi archivi; l'Eritrea, al contrario, non aveva molti documenti. Per venire a capo della situazione gli esperti avevano fatto ricorso alle mappe elaborate dai cartografi inglesi che avevano lavorato negli anni Venti e Trenta del Novecento, prima dell'invasione italiana dell'Abissinia. E si erano riferiti anche alle carte che si trovavano negli archivi italiani, di quello che un tempo era stato il ministero delle Colonie.
Risultato dell'indagine, durata oltre un anno: nel nuovo tracciato dei confini tra i due paesi Badme finiva in territorio eritreo.
Per Zenawi il colpo era stato durissimo. Dal momento dell'inizio delle ostilità contro l'Eritrea il villaggio di Badme era assurto a simbolo del nazionalismo etiope. Analoghe valenze venivano attribuite alle pietraie di quella zona di frontiera dal governo e dall'esercito eritrei, che dopo il verdetto della commissione Onu si vedevano rafforzati nella loro intransigenza. Per evitare il peggio, sempre l'Onu aveva suggerito ad Asmara e ad Addis Abeba di creare una commissione mista, per trovare una via d'uscita, un compromesso. La commissione, anche se ha visto la luce, non è mai diventata operativa.

Così si è arrivati alla situazione di oggi. Forte della delibera della Minuee sui confini, l'Eritrea esercita forti pressioni sul Palazzo di vetro perché applichi nei confronti dell'Etiopia severe sanzioni economiche e politiche.
Gli Stati Uniti frenano: per il dipartimento di Stato e per il Pentagono l'Etiopia (amica degli Usa) con il suo forte esercito è una garanzia di stabilità nella regione.
Ad Addis Abeba i generali mordono il freno, arrivando persino a minacciare Meles Zenawi, accusato di «colpevole moderatismo». Secondo gli alti gradi dell'esercito e anche secondo alcuni oppositori interni al partito del presidente, basterebbe poco per compiere un blitz e arrivare ad Asmara. La disparità di forze tra i due eserciti è nota a tutte le cancellerie occidentali.
Comunque sia, mentre i due paesi affilano le armi, l'Osservatorio sui diritti umani (un'organizzazione internazionale che ha sede negli Stati Uniti) denuncia sia l'Etiopia sia l'Eritrea come paesi che calpestano sistematicamente le più elementari norme della convivenza civile.
L'Osservatorio sostiene, portando prove, che Addis Abeba e Asmara praticano «la soppressione della dissidenza, restrizioni alla libertà di stampa, incarcerazioni ingiustificate, abusi polizieschi, condizioni di detenzione spaventose» e quant'altro.
In questa situazione, manca soltanto un'altra guerra.

 

  CENTOMILA MORTI PER NULLA

I dati sul conflitto fra Etiopia ed Eritrea

Scoppiato nel maggio 1998.
Terminato nel giugno 2000.
Le forze armate etiopiche contavano 120 mila uomini.
L'esercito eritreo era di 47.100 uomini.
I morti sono stati fra 90 e 100 mila.
L'Eritrea afferma d'aver inflitto all'Etiopia 25 mila tra morti e feriti in poco più di 48 ore (maggio 1998).

Sono 19 mila i soldati eritrei caduti nel corso della guerra, su una popolazione globale di 3 milioni di persone.
Quasi 200 mila i feriti.
Almeno 100 mila profughi etiopici ed eritrei.
Espulsi dall'Etiopia oltre 70 mila eritrei. Confiscate le loro proprietà.
Almeno 10 mila etiopici espulsi dall'Eritrea.
Più di un milione gli sfollati.
Non è noto il numero di prigionieri di guerra etiopici ed eritrei.
Nel settembre 2000 l'Onu ha autorizzato il dispiegamento di 4.200 caschi blu.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDIETRO