Dopo il 1550

Dopo il 1559, il destino dell’Italia segue una via inaspettata, a prima vista poco spiegabile, sicuramente più complicata di quello che ieri si era portati a credere.
La caratteristica principale è la duratura pace che si instaura nella penisola. A parte qualche breve guerra, non vi saranno che sommovimenti sociali intestini dopo la grande rivolta popolare di Napoli. Prima di essi, la contestazione politica sembra essersi raggelata in Italia, come è avvenuto per quella religiosa in Germania in seguito alla pace di Augusta (1555) o in Francia dopo l’editto di Nantes (1598). Ma se le guerre religiose si riaccenderanno in Francia sotto Luigi XIII e il furore confessionale si scatenerà di nuovo in Germania con la guerra dei Trent’anni (1618-1648), niente farà uscire l’Italia da quella sorta di pacifica prigione in cui le circostanze l’hanno rinchiusa a partire dal 1559.
Evidentemente, l’Italia ha mantenuto la sua tranquillità grazie all' unità religiosa e alla fedeltà nei confronti di Roma. Di fatto per molteplici ragioni essa ha rifiutato la Riforma d'oltralpe. Questa a Venezia, a Ferrara, in Piemonte, a Lucca, a Napoli, appare solamente come un fenomeno di alcune individualità d’eccezione. La regola collettiva è divenuta costrizione, eliminando fantasticherie, libertà, aberrazioni e tradimenti. Ochino, Vermigli, il calabrese utopista Campanella, il contestatore Giordano Bruno,  appaiono come sporadici tentativi in un contesto assolutamente contrario. Per quanto sia stato alto il prezzo intellettuale e spirituale di questo ordine morale, si è avuto qualche vantaggio: l’Italia, non frammentandosi religiosamente, non è stata coinvolta nelle guerre confessionali che hanno desolato l’Europa fino al 1648.

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