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Percorrendo la Via della seta è inevitabile non passare da Bam o
perlomeno sentirne parlare. Non passa di certo inosservata un’enorme fortezza
costruita interamente in argilla, fondata oltre millecinquecento anni fa dai re
Sassanidi come fortino su una delle vie carovaniere. Gran parte degli edifici e
delle mura ancora in piedi risalgono però al periodo dei Safavidi, tra il 1500 e
il 1722 quando a Bam vivevano oltre 10 mila persone. Le sorgenti dell’oasi
assicuravano acqua, i palmeti la frescura, le case di fango una vita anche
piacevole tra tappeti e merci esotiche che transitavano da Oriente ad Occidente,
e viceversa. Nel ’72, però, tutto cambiò in modo assai brusco. Dal deserto
orientale arrivarono orde di cavalieri che strinsero d’assedio la città,
attaccarono le mura, abbatterono le porte e portarono morte e distruzione tra
quelle viuzze strette, nei giardini interni. Ammazzarono e rubarono, poi
tornarono tra le loro montagne con donne e ricchezze. Dopo molti anni di
silenzio che coprirono le rovine di Bam gli abitanti sopravvissuti tornarono a
ricostruire le case incendiate e sgretolate, a ripiantare orti e giardini, ad
allevare animali: ripresero a vivere. La vita trascorse tranquilla fino al 1810,
quando la guerra tornò a seminare morte. Da Occidente (dalle regioni dello
Shiraz) giunsero feroci bande di predoni che attaccarono Bam. Fu un colpo
durissimo e i sopravvissuti abbandonarono per sempre la città devastata e ormai
esposta a tutte le insidie. Se non con le armi, non si poteva vivere più a Bam e
fu per questo che i governanti persiani trasformarono la vecchia città in
fortezza e attrezzarono una caserma nel castello, che è stata attiva fino agli
anni Trenta dello scorso secolo.
Poi, circa cinquanta anni fa, il governo iraniano decise di salvare la
città di fango avviando un restauro che ha interessato esclusivamente la
fortezza vera e propria e gli edifici adiacenti al castello. Fino a due anni fa
il resto era completamente sgretolato.
Con questi restauri la città aveva assunto un aspetto singolare.
Sembrava quasi che un invasore, dopo aver in parte distrutto le difese
perimetrali, si fosse infiltrato nei vicoli distruggendo tutto ciò che trovava
sul cammino ma che non fosse riuscito ad entrare nella fortezza.
Proprio a Bam fu girato il film “il deserto dei Tartari”, diretto da
Valerio Zurlini, tratto da un capolavoro di Dino Buzzati. Buzzati non visitò mai
la città ma quella fortezza e quel deserto sono molto simili a come lo scrittore
li aveva immaginati e descritti.
UN DESTINO PREVEDIBILE MA INEVITABILE

Il 26 dicembre 2003 (erano quasi le 5 e mezza del mattino quando la
terra ha cominciato a tremare) una scossa sismica superiore ai sei gradi
della scala Richter ha distrutto la fortezza di Bam. Il bilancio è stato
catastrofico. I morti sono stati più di 20000, circa 50000 i feriti dei
quali molti erano in condizioni disperate. Il giorno del terremoto il
numero delle vittime aumentava regolarmente ogni ora e la situazione era
disperata. Il giorno dopo la tragedia Mhoammed Khatami ha detto: ”Il
disastro che ci ha colpito è troppo grande e non possiamo farvi fronte
con le nostre risorse. Sono ben accetti gli aiuti provenienti da tutti i
Paesi del mondo, tranne che da Israele.”. Molte nazioni non hanno
esitato ad inviare aerei carichi di squadre di soccorso e beni di prima
necessità. Dall’Italia sono partite medicine, tende, coperte, generatori
di corrente e depuratori d’acqua potabile. L’UE ha stanziato 800 mila
euro in aiuti d’emergenza. Perfino gli USA, che hanno rotto le relazioni
diplomatiche con l’Iran nel 1979, dopo la presa di ostaggi
all’ambasciata americana a Theran, hanno offerto “assistenza
umanitaria”. Il presidente Bush, dal suo ranch, ha mandato un messaggio
all’Iran: ”Il pensiero dei cittadini americani è con le vittime e le
loro famiglie. Siamo pronti ad aiutare il popolo iraniano.
Molte sono state le immagini tragiche che ci sono giunte dalla
televisione e tutti noi italiani, tramite il versamento di un contributo
proposto dai telegiornali o grazie alle associazioni di volontariato,
abbiamo potuto portare, anche se in piccola parte, un aiuto a quelle
persone che hanno vissuto direttamente la catastrofe.
RICOSTRUIRLA O LASCIARLA COSÌ?
Questo è forse uno dei dilemmi più problematici riguardanti la fortezza.
Bisogna riportarla al suo stato originario o lasciarla com’è, tentando
di conservarla per il resto dei suoi giorni? Sull’argomento vi sono
opinioni contrastanti. Giuseppe Proietti, direttore generale per
l’archeologia del ministero ha affermato: ”La scuola italiana è sempre
molto scettica nelle ricostruzioni quando non sono certi materiali e
forme… Ma forse, a Bam, qualcosa è possibile ricostruire integrando le
lacune. L’importante è rendere la parte ricostruita riconoscibile. Dopo
eventi di questo genere non c’è una regola da seguire: si procede in
maniera diversa a seconda dei casi. Chi vorrebbe una ricostruzione
com’era e dov’era è l’ex sottosegretario Vittorio Sgarbi. “Ricostruiamo
la città nel deserto di Bam. La cittadella non è stata completamente
distrutta. È rimasto lo scheletro ed alcune parti sono perfettamente
riconoscibili. Un accurato restauro potrebbe far risplendere di nuova
luce il fantasma di Bam. Il restauro potrebbe essere affidato
all’esperto Paolo Marconi. I lavori di consolidamento e restauro
dovrebbero essere effettuati senza stravolgere tecniche, impasti,
materiali. Come in passato bisognerebbe utilizzare terra cruda, fango,
argilla”.
Secondo il professore del Politecnico di Milano potrebbero essere
ricostruite le mura crollate. Sostiene, infatti, che per noi occidentali
ricostruire è falsificare, ma per la cultura locale le cose ricostruite
con le loro mani, che portano rughe secolari, e usando gli stessi
materiali dei loro padri non sono falsificazioni, bensì conservano il
carisma dell’originalità, perché non c’è stata interruzione di
tradizione.
Il problema, però, di maggior rilievo è la situazione dei superstiti.
Senza casa, acqua, cibo e quasi tutti privati di uno o più familiari. Si
spera che gli aiuti da parte delle nazioni siano continui perché non
bastano pochi giorni per sotterrare una difficoltà così evidente.
Perciò non dimentichiamoci della regione della fortezza nel deserto che
Marco Polo nel Milione descrisse così:
“(…) Quivi nasce le pietre che si chiamano turchese in grande quantità,
che si cavano de le montagne; e ànno vene d’acciaio e d’andanico assai.
Lavorano bene tutte le cose da cavalieri, freni, selle e tutte le arme e
arnesi. Le loro donne lavorano tutte cose a seta e ad oro, a uccelli e a
bestie nobilmente (…). Ne le montagne di questa contrada nasce li
migliori falconi e li più volanti nel mondo (…): niuno uccello no li
campa dinanzi…
Tommaso Caslini
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