Maria Adele
Garavaglia
Biografia di Alessandro Manzoni
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Alessandro Manzoni, uno dei più grandi scrittori non solo del XIX
secolo, ma della letteratura europea dal Medioevo in poi, nasce a Milano il 7 marzo 1785,
dal conte Pietro Manzoni, un benestante proprietario terriero originario di Barzio in
Valsassina, e da Giulia Beccaria figlia di Cesare Beccaria, il celebre illuminista autore
dell'opera Dei delitti e delle pene, contro la tortura e la pena di morte.
Quando Giulia sposa Pietro Manzoni ha vent'anni e lui quarantasei, due più del suocero.
È un matrimonio combinato, al quale la giovane acconsente malvolentieri e che subisce con
insofferenza. Così quando nasce Alessandro, i soliti pettegoli danno per certo che la
paternità del bambino sia da attribuirsi a Giovanni, il più giovane e avvenente dei
conti Verri.
Pietro Manzoni, però, riconosce il figlio e lo affida a una balia, dal carattere dolce e
allegro, che abita alla cascina Costa, tra Malgrate e Mozzate, nei dintorni di Lecco.
Ma il matrimonio di convenienza tra i coniugi Manzoni dura poco; sin dai primi mesi,
costretta a vivere con un marito più vecchio di lei, insieme a sette cognate nubili e a
un cognato canonico, Giulia si dimostra insofferente a un'atmosfera buia e retrograda, e
comincia a frequentare la casa dei Verri, dove si innamora di Giovanni
Con la nascita del bambino la situazione in casa Manzoni diventa sempre più fredda, tanto
che nel 1791 Giulia chiede e ottiene la separazione legale, che verrà ratificata dal
tribunale nel febbraio 1792. Alessandro secondo la legge resta con il padre.
A sei anni il piccolo Alessandro entra nel collegio dei padri Somaschi, prima a Merate e
poi, nel 1796, a Lugano. Qui conosce padre Carlo Felice Soave (1749-1803), autore fra
l'altro di Novelle morali per l'infanzia, un uomo rigido ma di grande prestigio e
dirittura morale, l'unico tra i suoi insegnanti che ricorderà con stima. Due anni dopo
eccolo a Milano, nel collegio dei Nobili, gestito dai Barnabiti: dieci anni in tutto,
durante i quali riceve una buona educazione classica, a giudicare da come traduce Virgilio
e Orazio. Dalla scuola, però, esce esasperato e ribelle, forse anche amareggiato dalla
sua situazione familiare, ma gratificato da alcune amicizie che dureranno tutta la vita,
come quella di Ermes Visconti (1784-1841).
I genitori si interessano poco di lui; già dal 1792 Giulia Beccaria, che nel frattempo,
abbandonando casa Verri, aveva conosciuto il nobile e ricco Carlo Imbonati, col quale si
stabilisce prima a Londra e poi a Parigi, dove viene accolta favorevolmente anche grazie
alla fama del padre, finché nel 1805 il nobile muore improvvisamente lasciandola erede di
una cospicua fortuna.
L'adolescente Manzoni, fu in pratica abbandonato dalla madre, ed ebbe scarsi contatti
umani con il padre, che in lui vedeva l'immagine del suo fallimento matrimoniale e di una
donna che non era stato capace di amare e conquistare, anche a causa di un carattere
irresoluto e incline a una spiritualità umana e religiosa di maniere fatta di apparenze
più che di sostanza. L'adolescenza di Alessandro trascorse quindi senza quegli affetti
familiari che sono indispensabili per creare quel vero equilibrio tra vita interiore e
vita sociale che è alla base di una vita che può definirsi felice: ogni altro equilibrio
è destinato a spezzarsi al primo soffio veramente impetuoso, che spazza via ogni ostacolo
che non è profondamente radicato.
Intanto nel 1798 Alessandro ritorna a Milano, che nel frattempo era diventata la capitale
della repubblica Cisalpina, dopo il Trattato di Campoformio, col quale Venezia cade sotto
l'Impero austriaco e Napoleone consolida il suo dominio sull'Italia settentrionale, nel
collegio Longone dei Padri Barnabiti. Nel 1801 completa gli studi e ritorna in famiglia
nel palazzo di via san Damiano, alternando i soggiorni nella villa estiva al Caleotto,
presso Lecco; ma vive praticamente isolato da padre, insieme alla servitù, pur conoscendo
ospiti abbastanza occasionali come Monti, Foscolo e Cuoco; dello stesso anno è la sua
prima opera importante, il poemetto di stampo classicheggiante, secondo gusti montiani, Del
trionfo della libertà, frutto anche della sua insofferenza al metodo educativo di
Barnabiti e Somaschi, del suo distacco dal cattolicesimo e dell'entusiastico avvicinamento
agli ideali illuministici e ai valori della Rivoluzione Francese, portati a Milano
dall'armata Napoleonica.
Alessandro, nella casa del conte Manzoni, respira un'atmosfera malinconica, accresciuta
dalla tetraggine delle sette zie nubili, una delle quali ex monaca, e dallo zio monsignore
che porta la natta all'occhio. Pure, riesce a divertirsi, come tutti i giovani. Ama il
teatro, va a giocare al Ridotto della Scala, conosce il poeta Vincenzo Monti (1754-1828)
che gli sembra un'immagine autorevole da imitare, ammira le idee che diffonde Napoleone in
tutta Europa, anche se il personaggio lo lascia perplesso.
La vocazione poetica del sedicenne Manzoni si manifesta con un sonetto autobiografico, Autoritratto,
in cui si presenta: «Capel bruno; alta fronte; occhio loquace...» e poi, per quanto
riguarda il carattere, ammette di essere «Duro di modi, ma di cor gentile», anche se
confessa, alla fine, di essere un po' confuso circa il giudizio da dare di se stesso,
«Poco noto ad altrui, poco a me stesso. / Gli uomini e gli anni mi diran chi sono». È
un adolescente in cerca della propria identità.
Il sonetto riecheggia lo stile di Vittorio Alfieri (1749-1803) che, per i giovani del
tempo, è una sorta di idolo di cui si ammira la generosità, l'insofferenza per ogni
forma di ipocrisia, il carattere ribelle, l'incarnazione del genio incompreso, in lotta
contro ogni forma di mediocrità.
Da poco uscito di collegio, respirando l'aria ricca di ideali
illuministici della capitale lombarda, il giovane Manzoni scrive il suo primo poemetto in
quattro canti, intitolato Del trionfo della libertà (1801), in cui, imitando il
suo "maestro" Vincenzo Monti, e anche Dante, condanna ogni forma di tirannide.
L'esordio poetico risale al 1802: Francesco Lomonaco (1772-1810), storico e saggista esule
da Napoli dopo la fallita rivoluzione del 1799, inserisce il sonetto manzoniano Per la
vita di Dante, in apertura delle sue Vite degli eccellenti italiani. In questi
anni, incoraggiato dai consensi e dall'amicizia di poeti come Ugo Foscolo (1778-1827) ed
Ermes Visconti (con la sorella del quale, l'angelica Luisina, vive l'emozione del
primo amore, ma presto la famiglia scoraggia le assidue visite del tenero poeta), scrive
l'ode Qual su le Cinzie cime (1802), in cui si sente l'influsso della poesia del
Parini e del Foscolo, l'idillio Adda (1803), una sorta di invito al Monti perché
sia suo ospite nella villa paterna del Caleotto, sul lago di Como, e i quattro Sermoni,
in cui, alla maniera di Orazio, elabora una satira sferzante contro il malcostume del
tempo. Il giovane comprende che il poeta deve coltivare in sé una fortissima tensione
morale per trasformare l'opera d'arte in strumento educativo per l'umanità.
Questo è il retaggio di un altro grande poeta che, scomparso da qualche anno, ancora
irraggia la sua personalità su tutta la cultura milanese e dà un carattere di forte
impegno all'illuminismo lombardo: Giuseppe Parini (1729-1799).
A diciott'anni, nel 1803, Alessandro Manzoni è già noto ai più grandi intellettuali del tempo, a cui chiede giudizi e valutazioni sulla sua produzione: sottopone le poesie al Monti, che ha per lui parole lusinghiere. Diviene amico di Vincenzo Cuoco (1770-1823), esule a Milano come il Lomonaco, e autore del Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), col quale inorridisce il poeta raccontando le sanguinose repressioni borboniche. Da lui riceve lo stimolo a conoscere il pensiero di Giambattista Vico e si entusiasma per la ricerca storica. L'idea di storia, come analisi delle condizioni di un popolo e come insieme degli avvenimenti in cui è protagonista la massa, si insinua in questi anni nella mente dell'autore dei Promessi Sposi, il "romanzo degli umili".
Milano è una città stimolante e affascinante per il ragazzo che ha
conosciuto, fino a sedici anni, i quieti paesaggi del lago di Como (contemplati dalla
villa paterna del Caleotto, a Lecco) e gli austeri corridoi dei collegi. Tuttavia egli
lascia la Lombardia con entusiasmo, quando la madre lo chiama a Parigi, nel 1805.
Nel 1804 il Monti si trova a Parigi, ospite dell'Imbonati e di Giulia e le parla di quel
figlio lontano e praticamente sconosciuto. Ecco rifarsi viva, dopo anni di silenzio,
questa figura materna così spregiudicata e anche un po' egoista, a ben vedere. Forse è
il timore della solitudine, forse è il bisogno di liberarsi dai sensi di colpa. Non si sa
che cosa induca Giulia a richiedere la presenza del figlio. Alessandro riceve l'invito:
chiede i soldi per il viaggio al padre, che subito glieli concede; ma mentre si accinge a
partire, viene raggiunto dalla notizia della morte dello stesso Imbonati, lasciando erede
Giulia dei suoi beni, tra cui la villa di Brusuglio, poco fuori Milano. Il ventenne
Alessandro, nel settembre 1805 raggiunge Parigi e più che una madre conosce una donna,
afflitta per la recente perdita: si fondono due dolori ma nasce anche lentamente e con una
certa fermezza un affetto che in qualche modo ripaga del mancato amore degli anni
trascorsi. Comincia così, per lui, uno dei momenti più costruttivi della sua formazione
intellettuale.
Parigi e una madre
«Giulia Beccaria aveva quarantatrè anni: coi capelli biondi, quasi
fulvi, gli occhi grigi, il naso aquilino, il temperamento virile, ardimentoso, orgoglioso,
imperioso, lo spirito vivace e acuto, conservava ancora quella grazia che aveva fatto di
lei la regina dei salotti illuministi di Milano».
L'intesa è immediata: il giovane subisce il fascino della madre e accoglie le sue
confidenze, consola il suo dolore. Per lei scrive il Carme in morte di Carlo Imbonati
(1806), in cui immagina che il defunto gli appaia in sogno per suggerirgli il corretto
comportamento dell'uomo d'onore, che deve «conservar la mano / pura e la mente...il santo
Vero / mai non tradir: né proferir mai verbo / che plauda al vizio, o la virtù derida».
Pare una sorta di decalogo morale al quale il Manzoni si atterrà per tutta la vita, in
cui esprime i suoi ideali umani e letterari impregnati di coerenza etica e una analisi
concreta e reale della storia dell'uomo e della sua evoluzione.
Egli condanna anche la cultura disimpegnata o, peggio, utilizzata per motivi economici,
abbassata a merce in vendita. Impossibile non ricordare quella sorta di commovente
testamento intellettuale e morale che è l'ode La caduta di Giuseppe Parini.
Il rigore morale di questi affiora nel disgusto manzoniano per gli adulatori dei potenti,
che riducono la letteratura a «un vergognoso / ... di lodi mercato e di strapazzi».
Negli anni trascorsi a Parigi, fino al 1810, Manzoni ha la possibilità di allargare il
proprio orizzonte culturale con amicizie che risulteranno decisive per la sua formazione
artistica e letteraria. Frequenta il salotto di Sophie Grouchy vedova del filosofo
Condorcet, morto suicida negli anni della Rivoluzione Francese, prima ad Auteuil e poi a
Meulan, in una dolce casa di campagna detta la Maisonnette, una bella villa a
quaranta chilometri dalla capitale, da dove si gode un panorama stupendo sulla Senna.
Alessandro conosce quello che sarà un grande amico di tutta la vita, Claude Fauriel
(1772-1844), il filologo che insieme a Madame de Staël promosse la cultura romantica in
Francia e che nel frattempo, troncando la sua relazione amorosa proprio con la Staël, era
diventato l'amante di Sofia, con la quale convivrà per una ventina d'anni senza
matrimonio, fino alla morte della donna. Claude Fauriel lo introduce nel gruppo degli Ideologi,
intellettuali che si oppongono al regime napoleonico, perché ha soffocato le libertà
propugnate durante la rivoluzione del 1789. Appartengono a questo movimento personaggi
come il filosofo Antoine Destutt de Tracy (1754-1836), il medico-fisiologo-filosofo
naturalista Pierre Jean Cabanis (1757-1808). Sotto la loro guida Manzoni si apre a una
prospettiva letteraria europea, e impara che ogni ricerca deve essere condotta «con
massimo scrupolo ed evitando di trarne nessuna deduzione di cui non si fosse assolutamente
certi». Nasce da qui quell'atteggiamento mentale che indurrà Manzoni a ricostruire con
molto scrupolo storiografico l'ambientazione delle opere tragiche e del romanzo.
Ma c'è di più: gli ideologi ribadiscono l'esigenza di un profondo
rigore morale. Ciò li avvicina al pensiero del Giansenisti. Sono, questi, seguaci del
teologo olandese Cornelis Jansen (latinizzato Giansenio). Egli, nella sua opera Augustinus
(1640) afferma che solo la Grazia divina può salvare l'uomo, la cui natura è corrotta e
inevitabilmente macchiata di colpe. Il Giansenismo era fiorito a Parigi nel Seicento,
grazie ai filosofi e teologi dell'abbazia di Port-Royal, che, però, era stata distrutta
nel 1710 da re Luigi XIV. Il pensiero dei Giansenisti sopravvive nell'Ottocento presso i
religiosi e gli intellettuali che insistono sulla necessità di un comportamento
moralmente irreprensibile, in piena sintonia con la ragione.
In questi mesi Alessandro legge opere di grandi moralisti e filosofi del Seicento, come
Jacques Bossuet (1627-1704) e Blaise Pascal (1623-1662), ma si appassiona anche alla
lettura di Voltaire e, grazie a Fauriel , comincia ad accostare le idee romantiche,
attraverso il pensiero del tedesco August Wilhelm Schlegel (1767-1845).
Nel 1807 ecco la pubblicazione di un poemetto, Urania (forse dedicato a Sophie, che
gli amici chiamavano Uranie) sulla funzione civilizzatrice della poesia. Lo
scrittore sembra ripiegare sulle posizioni del classicismo, accettando gli schemi fissati
dal Monti e dalla tradizione letteraria, ma il classicismo e la mitologia sono più nella
forma esteriore che nell'intimo significato; il poemetto rappresenta l'opera
civilizzatrice e consolatrice dell'arte, in cui le Muse e le Grazie inviate in terra da
Giove costituiscono un simbolo, quasi cristiano, delle virtù che fanno corona a Dio, ma
verrà ben presto sconfessato dal Manzoni che scrive: «Non è così che bisogna far
versi; forse ne farò di peggiori, ma non ne farò mai più come quelli». In effetti,
l'operetta è piuttosto noiosa e, a detta dell'autore medesimo, incapace di suscitare
l'interesse del lettore.
In quegli anni accompagna la madre tre volte in Italia, a Torino nel 1806, a Genova nel
febbraio 1807 per conoscere Luigina Visconti nell'ambito di una combinazione matrimoniale
che non si realizzerà, e nel settembre dello stesso anno a Milano, dopo il fallimento di
una nuova combinazione matrimoniale con la giovane figlia dell'amico Destutt de Tracy.
Sulle rive del lago di Como, sotto la guida della madre, conosce Enrichetta Blondel,
figlia di banchieri ginevrini stabilitisi in Italia: anche per il carattere dolce e
sensibile della giovane Enrichetta (che aveva solo 16 anni, contro i 22 del Manzoni):
ancora una volta Giulia dimostra di ben conoscere il cuore del figlio e di saper
indovinare la donna giusta per lui. La nuova combinazione ha successo.
Il matrimonio e la conversione
Così la sedicenne Enrichetta Blondel entra nella vita di Manzoni per
lasciare una traccia importante. I due si sposano con rito civile nel Municipio di Milano
il 6 febbraio1808 e la sera stessa le nozze sono benedette con rito evangelico nella casa
della sposa che pratica, infatti, la religione calvinista. Il padre di Enrichetta,
Francesco Luigi Blondel, è un ricco imprenditore ginevrino, che possiede filande lungo
l'Adda e inizia, proprio in quegli anni, l'attività di banchiere a Milano, dove acquista
palazzo Imbonati.
Nel giugno del 1808 la famigliola Manzoni riparte per Parigi. I tre sono ottimamente
assortiti e molto felici. A proposito di Enrichetta, sappiamo che è «bionda, mite e
graziosa, tanto discreta e pronta a nascondersi quanto la madre di Manzoni era teatrale:
tanto ordinata e precisa, quanto la madre si abbandonava a un geniale disordine».
Alessandro non esita a dichiararsi «estremamente felice» di aver accontentato Giulia e
di constatare che la moglie nutre per la suocera una tenerezza rispettosa e devota, simile
a quella di una figlia. Nella capitale francese nasce la primogenita, Giulia Claudia, nel
dicembre 1809, che nell'agosto dell'anno seguente viene battezzata nella chiesa
giansenista di Meulan con rito cattolico, così come prevedeva il contratto matrimoniale
(che prevedeva che i figli nati dalla loro unione sarebbero stati allevati nel culto della
religione cattolica).
Il riserbo mantenuto dallo scrittore ci impedisce di conoscere le tappe che portano i
coniugi Manzoni verso la religione cattolica. Certamente Enrichetta si annoia durante le
frequenti visite alla Maisonnette; certamente la maternità la induce a riflettere
sui suoi doveri nei confronti della creaturina nata da lei e a lei affidata, non solo per
le cure legate alla sopravvivenza, ma anche per l'educazione e la sua crescita morale:
come rendere Giulia una buona cristiana se lei stessa si sente confusa e incerta? Nasce
così il bisogno di conoscere più da vicino la fede cattolica a cui, per contratto
matrimoniale, come abbiamo detto, ha il dovere di avviare la figlia; e Alessandro le è
vicino. Così si affidano all'abate giansenista Eustachio Dègola (1761-1826) le cui dotte
conversazioni la guidano progressivamente all'abiura del calvinismo e all'adesione alla
fede cattolica, il 22 maggio del 1810, nella chiesa di Saint Séverin, a Parigi. Già nel
settembre 1809 i due coniugi avevano fatto istanza al Pontefice Pio VII affinché il loro
matrimonio venisse nuovamente celebrato, ma con rito cattolico, che avviene nel febbraio
1810.
A queste pacate riflessioni, in cui le domande di Enrichetta, testimoni di una sincera volontà di trovare il vero Dio, sono costantemente corroborate dalle sapienti risposte dell'abate (il cui rigore di giansenista ha una rispondenza profonda nell'austerità del calvinismo di Enrichetta), non è estraneo lo stesso Manzoni. Fino ad allora è stato indifferente alle questioni di fede, forse per un'intrinseca e giovanile polemica contro l'assillante educazione religiosa impartita nei collegi della sua infanzia e adolescenza. Ma ora il problema gli viene prospettato da una nuova angolatura: l'ansia della moglie di trovare un'autentica via di comunicazione con Dio poco a poco lo contagia. Risale a quel periodo la «conversione» anche del Manzoni che, a differenza di Enrichetta, non lascia una fede per abbracciarne, però un'altra, ma ritrova in sé quei valori che ha sempre trascurato.
Molti amici e conoscenti chiederanno al Manzoni, lungo l'arco della sua
esistenza, quale sia stato il momento della "folgorazione", l'attimo decisivo in
cui ha deciso di recuperare la fede. Il Manzoni non dà risposta, al massimo si lascia
andare a frasi sibilline: «È stata la grazia di Dio, mio caro, è stata la grazia di
Dio», confiderà molti anni più tardi a Stefano Stampa, figlio della seconda moglie
teresa Borri. Forse può essere d'aiuto un episodio della sua vita, capitato il 2 aprile
1810, a Parigi. Con la moglie sta assistendo ai festeggiamenti per il matrimonio di
Napoleone con Maria Luisa d'Austria. Separati dalla folla, i due si perdono di vista e
Manzoni si rifugia frastornato nella chiesa di san Rocco. Lo coglie il panico e la
disperazione, ma forse è proprio quello il momento in cui, secondo le parole riportate
dalla figlia Vittoria «quel Dio che si rivelò a san Paolo sulla via di Damasco» ha
avuto pietà di lui. Infatti, appena esce dalla chiesa, ritrova Enrichetta sana e salva.
Manzoni si riaccosta alla fede cattolica attraverso la mediazione giansenista: questo
fatto lascia un'impronta abbastanza forte sulla sua visione dell'uomo, perché gli inocula
quel pessimismo che poi si estende alla concezione della storia, come ammasso irrazionale
di fatti, disciplinati solamente dalla Provvidenza di Dio e guidati, in tal modo, a un
fine buono. Inoltre l'influsso giansenista rafforza il naturale rigore morale del Manzoni
e conferma l'austerità del comportamento.
Tornato a Milano con la famiglia, prosegue la propria "ricerca" sotto la guida
spirituale di monsignor Luigi Tosi, giansenista come il Dègola, allora canonico della
chiesa di Sant'Ambrogio e poi vescovo di Pavia, che influisce in notevole misura non solo
sulla sua formazione religiosa, ma anche sui suoi programmi letterari.
La famiglia Manzoni
Nell'inverno del 1810 i Manzoni si stabiliscono definitivamente a
Milano, ma alternano la vita in città con frequenti soggiorni a Brusuglio: sono gli anni
più felici, vissuti all'insegna dell'accordo perfetto.
Mentre Alessandro si diverte a piantare platani, abeti, robinie, cipressi, ortensie,
rododendri, la Magnolia grandiflora, il cedro del Libano, vitigni del Tirolo, di Bordeaux
e della Borgogna, nonché a sperimentare la piantagione del cotone, meditando fra sé le
idee che tradurrà poi nei versi delle sue opere, Enrichetta genera figli, li allatta e li
educa: nel 1813 nasce Pietro, nel 1815 Cristina, nel 1817 Sofia, nel 1819 Enrico. Nel 1821
viene alla luce Clara, che muore prima ancora di compiere due anni, nel 1822 nasce
Vittoria, nel 1826 Filippo, nel 1830 l'ultimogenita, Matilde. Di questi soltanto Vittoria
ed Enrico sopravviveranno al padre.
Brusuglio, con l'abitazione milanese di via del Morone e poi di piazza
Belgioioso, brulica di amici di Manzoni, che sono anche i più significativi scrittori e
intellettuali del tempo: Ermes Visconti, Giovanni Berchet (1783-1851), Tommaso Grossi
(1790-1853), Carlo Porta (1775-1821), Massimo d'Azeglio (1798-1866), che diventerà suo
genero, e poi, più tardi, i fiorentini Gino Capponi (1792-1876) e Giuseppe Giusti
(1809-1850). Gli amici non sono sicuri di conoscere Manzoni in ogni aspetto del suo
carattere complesso: qualcuno fra loro lo definisce «un enigma». Pure è capace di farsi
amare, per il suo atteggiamento pacato e mite, per il suo rispetto profondo per il
prossimo, per la conversazione un po' incerta (talvolta balbetta) ma tanto garbata, da
suscitare nell'interlocutore una profonda simpatia. Così lo presenta Tommaso Grossi in
una lettera al toscano Giampiero Viesseux, nel 1826: «...un uomo che dall'assenza d'ogni
singolarità è reso... affatto singolare e mirabile. Una statura comune, un volto
allungato, vaiuolato, oscuro, ma impresso di quella bontà che l'ingegno...rende più
sincera e profonda: una voce di modestia e quasi timidità, cui lo stesso balbettare un
poco, giunge come un vezzo alle parole, che paiono essere più mature e più desiderate:
un vestito dimesso, un piglio semplice, un tuono famigliare, una mite sapienza che irradia
per riflessione tutto ciò che a lui s'avvicina».
Da Parigi giunge in visita anche Claude Fauriel, al quale è affezionatissima la piccola
Giulia, mentre, in casa di amici comuni, Alessandro conosce il filosofo Antonio Rosmini
(1797-1855), che sarà uno dei suoi più cari amici e influenzerà la sua concezione
religiosa e artistica. Nel settembre del 1819 i Manzoni partono per Parigi, dove sono
ospiti per più d'un mese nella casa di Sophie de Condorcet, la Maisonnette: a
muoversi, come dice lo stesso capofamiglia, è un'«arca di Noè» di undici persone: i
genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre domestici.
Nella capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il
filosofo Victor Cousin (1792-1867); quest'ultimo tornerà con lui in Italia e sarà ospite
a Brusuglio e a Milano. Il viaggio a Parigi, che si protrae sino all'agosto 1820, risulta
proficuo per la maturazione delle idee letterarie e l'enucleazione delle opere più
significative del poeta.
Nel 1812, sotto la guida spirituale di Monsignor Tosi, come abbiamo
vista, mette a punto il disegno di dodici Inni sacri che hanno per tema le principali
festività religiose dell'anno ecclesiastico; di questi ne porta a termine solo cinque:
- La Risurrezione (aprile-giugno);
- Il nome di Maria (novembre 1812 - aprile 1813);
- Il Natale (luglio - settembre 1813);
- La Passione (marzo 1814 - ottobre 1815);
- La Pentecoste (incominciato nel giugno 1817, ripreso nell'aprile 1819 e portato a
termine tra settembre e ottobre 1822).
A questi cinque Inni si aggiungeranno le Strofe per una prima comunione composte a
più riprese a partire dal 1832, che formeranno un gruppo di poesie religiose approvate
dall'autore.
Negli stessi anni, di particolare rilievo sono le quattro odi civili:
- Aprile 1814, una delle opere indubbiamente meno felici, sia poeticamente che
politicamente;
- Il proclama di Rimini, che a seguito della sconfitta del Murat a Tolentino rimane
interrotta al 51° verso, ma è già rappresentativo delle idealità patriottiche del
poeta;
- Marzo 1821, che rappresenta la vera dichiarazione politica e patriottica del
Manzoni, con la sua aspirazione a un'Italia unita e libera dallo straniero;
- Il cinque maggio, scritto in occasione della notizia della morte di Napoleone
Bonaparte.
Il 15 gennaio 1816 il Manzoni dà avvio alla composizione della prima
delle sue due tragedie, Il conte di Carmagnola, che occuperà molto del suo lavoro,
come testimoniano le lettere scritte al Fauriel e la Prefazione alla tragedia
stessa.
Il 14 settembre, dopo aver affidato il manoscritto della tragedia all'amico Ermes Visconti
perché ne curi la stampa dopo averla sottoposta all'esame della censura (verrà
pubblicata nel gennaio dell'anno seguente), il Manzoni parte per Parigi, dove soggiorna
fino al luglio 1820. Al ritorno a Milano comincia un'intensa stagione creativa, che parte
con la tragedia Adelchi, passa attraverso l'Inno sacro La Pentecoste e le due Odici
civili maggiori del '21 e si concluderà nel 1827 con la prima edizione dei Promessi
Sposi.
Abbiamo a lungo parlato del Manzoni scrittore e intellettuale, ma come
si presenta nella vita familiare e in veste di padre? Chi si aspettasse da lui
l'atteggiamento calmo, rasserenante e sicuro del patriarca resterebbe deluso. Alessandro
rivela tutte le caratteristiche del nevrotico. Lo studioso Pietro Citati elenca in
dettaglio tutte le sue fobie: a tavola viene preso dalle vertigini, a passeggio teme che
le case gli crollino addosso o che una voragine lo inghiottisca. Non sopporta la folla, la
terra bagnata e il cinguettio dei passeri. Se si avvicina un temporale si sente venir meno
le forze: «Vittima di questi traumi, trascorreva giorni e settimane senza far nulla...Con
la mente atona e vuota e lo sguardo perduto, spesso dovette temere di precipitare anche
lui nel baratro della dissociazione nervosa».
Con il passare degli anni Alessandro Manzoni impara a difendersi da queste assurde paure,
mettendo in atto una complicata strategia che gli consente di convivere con la sua
nevrosi: conduce una vita meticolosa, cammina venticinque minuti prima del pranzo, pesa i
suoi vestiti secondo la temperatura, va a letto sempre alla medesima ora e mangia sempre
gli stessi cibi, prende a colazione il cioccolatte macinato in casa... Se l'angoscia lo
assale, esce di casa e cammina per ore e ore lungo le strade o per la campagna: percorre
anche trenta o quaranta chilometri al giorno, come se fosse inseguito, fino a tornare a
casa spossato, ma calmo.
Anni di lutti e amarezze
Il giorno di Natale 1833 muore Enrichetta Blondel: è il primo di una
lunga serie di lutti che si abbattono su Alessandro Manzoni. Scrive Pietro Citati: «Pochi
anni dopo la conclusione dei Promessi Sposi, la linea della sua vita cominciò a
discendere: il breve fervore creativo si spense, e a meno di quarantacinque anni Manzoni
diventò il puntiglioso revisore, l'interminabile editore di sé stesso». L'anno dopo si
spegne la primogenita Giulietta, da poco andata sposa a Massimo D'Azeglio: ha solo
venticinque anni. Turbato da questi lutti il Manzoni inizia l'inno Il Natale 1833,
che rimane incompiuto.
Nel 1837 sposa Teresa Borri, vedova di Decio Stampa e madre di un ragazzo timido, Stefano
Stampa, che saprà intessere con il grande patrigno un rapporto di stima, affetto,
venerazione. Devozione è il termine che si addice maggiormente al comportamento di
Teresa, che dedica la vita alla protezione della salute, creatività, fama del marito: gli
amici la paragonano scherzosamente a una vestale, che custodisce qualcosa di sacro con
vigile solerzia e passione, nonostante anche lei lamenti sempre qualche acciacco, reale o
immaginario.
Nel maggio del 1841 muore Cristina, moglie di CristoforoBaroggi, appena venticinquenne,
seguita due mesi dopo da Giulia Beccaria. Nel marzo del 1845 è la volta di Sofia, di
ventisette anni, sposata a Lodovico Trotti. Lo stesso anno Vittoria sposa Giovanbattista
Giorgini, uomo politico di principi liberali e moderati, di cui si ricordano studi
giuridici e storici. Vittoria si trasferisce a Pisa, dove, due anni dopo, la segue
Matilde, malaticcia: quest'ultima morirà nel marzo 1856.
Ai lutti si aggiungono problemi economici: l'incendio del 1848 a Brusuglio, i cattivi
raccolti, i debiti dei figli maschi intaccano un patrimonio oculatamente amministrato che
ha consentito, fino ad allora, di vivere in agiatezza. Dei tre figli maschi, Filippo è
già in prigione per debiti a ventisei anni, mentre Enrico dilapida il patrimonio della
ricchissima moglie, con iniziative e speculazioni sbagliate. Un momento "eroico"
della vita di Filippo è quando combatte contro gli austriaci il 18 marzo 1848, durante le
cinque giornate di Milano. Viene preso prigioniero e trasferito a Vienna. Filippo morirà
nel 1868, in miseria, lasciando quattro figli.
L'incontro con Antonio Rosmini
L'insurrezione di Milano non sortisce l'effetto sperato e nell'agosto
del 1848 gli Austriaci ritornano in città. Il Manzoni ripara a Lesa, sul lago Maggiore,
dove Stefano Stampa lo ospita insieme con sua madre Teresa , per due anni, nella bella
villa degli Stampa. Durante questo soggiorno si lega d'amicizia con il filosofo Antonio
Rosmini (1797-1855), che già nel 1826 gli ha presentato Niccolò Tommaseo. Rosmini
risiede nella vicina Stresa, una bella cittadina sulle rive del lago Maggiore. Frutto di
questa amicizia è il dialogo Dell'invenzione (1850), in cui Manzoni sostiene che
l'opera letteraria non deve lasciare spazio all'invenzione fantastica, ma deve farsi
portavoce del vero, soprattutto del vero storico. È indubbio che, sotto un
certo aspetto, viene sconfessata l'ispirazione da cui hanno preso le mosse i Promessi
Sposi. Il Rosmini suggerisce anche i temi che sono enucleati nel trattato Del
piacere (1851).
Segue un decennio di riflessioni storiche e ricerche linguistiche, le quali convergono nel
saggio Sulla rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione del 1859, composto nel
1860 (ma pubblicato postumo nel 1889).
Nel 1860 Manzoni accetta la nomina a senatore del Regno d'Italia. A Torino partecipa alla
seduta del Senato che conferisce a Vittorio Emanuele II il titolo di re d'Italia, il 26
febbraio 1861. Il disegno di legge passa alla Camera il 14 marzo e ne è relatore il
genero dello scrittore, Giovan Battista Giorgini.
Nell'agosto del 1861 muore anche la seconda moglie, Teresa Borri, mentre nel 1856 è
scomparso Claude Fauriel e, l'anno prima, nel 1855, il Manzoni ha perso il conforto del
grande amico Rosmini. Qual è l'influsso del filosofo nel pensiero del Manzoni? Egli ha
definito, aderendo al pensiero dell'abate, il concetto di creatività come
scintilla divina che si esprime attraverso il genio dell'uomo. Con il suo aiuto, inoltre,
ha approfondito i concetti della morale cattolica, eliminando ogni traccia dell'antico
giansenismo.
Alessandro Manzoni resta lucidissimo sino alla fine della sua vita.
Muore alle sei di sera del 22 maggio 1873, dopo penosa agonia, quasi un mese dopo la morte
del figlio Pietro. La sua decadenza è cominciata nel gennaio precedente, quando, uscendo
dalla chiesa di San Fedele, a Milano, cade battendo la testa. I suoi funerali sono un
momento solenne a cui partecipa tutta Milano. Il corteo funebre, attraverso corso Vittorio
Emanuele, giunge sino al Cimitero Monumentale e, l'anno dopo, nel primo anniversario della
morte, Giuseppe Verdi gli dedica la sua Messa di Requiem, che personalmente dirige
la mattina nella chiesa di San Marco e la sera nel teatro alla Scala.
Bibliografia
La presente biografia è stata tratta da: Antologia da I Promessi
Sposi, Introduzione, scelta, commento e apparato didattico, appendice critica a
cura di Maria Adele Garavaglia, Mursia, Milano 1996, ed è stata riveduta e
ampliata rispetto all'edizione cartacea in collaborazione con Giuseppe Bonghi.
L'edizione telematica, HTML, impaginazione e revisione sono a cura di Giuseppe Bonghi.
La presente Biografia può essere riprodotta su qualsiasi tipo di supporto magnetico, ma
non su carta in qualsiasi forma.