Un ritratto tridimensionale

Sulla base di quello lasciatoci dal greco Plutarco

 

 

In questa prima lezione intendo lasciarvi un quadro di Cicerone, al quale poter fare riferimento per ritrovarne immediatamente i lineamenti, l’intensità, il significato.

Per questo avevo bisogno di un criterio, per orientarmi nella scelta di una biografia che si presenta prepotente sia per la mole degli scritti rimastici (58 orazioni, più di 20 opere filosofiche, politiche, retoriche, circa 900 lettere, oltre a opere poetiche e traduzioni), sia per l’intensa e incisiva attività in campo politico, giudiziario, culturale.

Ho deciso allora di avvalermi di un “ritrattista” greco, Plutarco (50-119) e, attraverso la sua biografia di Cicerone (in parallelo con quella di Demostene), recuperare le linee essenziali di un piano orizzontale/cronologico, verticale/eidologico, prospettico/speculare.

Anche caratteri graficamente diversi scandiranno i tre piani in modo tale che pur nell’insieme possano essere separatamente rintracciati.

Ho inoltre scandito in 3 fasi ben precise, come di fatto fu, la vita di Cicerone (106-43):

·        Il trentennio della formazione (106-76)

·        Il quindicennio del successo (75-59)

·        Il quindicennio delle grandi luci e delle grandi ombre (57-43)

 


Il trentennio della formazione (106 – 76)

 

Nasce ad Arpino (stessa città natale di C. Mario, nel Lazio meridionale) il 3 gennaio 106 da famiglia benestante (nobile la madre Elvia, appartenente all’ordine equestre il padre.

·        Fin da bambino rivelò un ingegno brillante, superiore, versatile.

·        Ebbe un’ottima formazione retorica e filosofica.   Fu precoce ed ottimo poeta.

·        Nell’80 (a 26 anni), spinto dagli amici, accettò di patrocinare una causa che nessuno osava sostenere: la pro Sexto Roscio Amerino, un giovane falsamente accusato di parricidio da un potente liberto di Silla, per spartirsene con lo stesso i beni.

Fu un successo tra l’ammirazione generale.

·        Ma in seguito, o per motivi di salute o per timore della reazione di Silla, si recò in Grecia dove rimase fino al 77.

Qui perfezionò la sua cultura presso i più grandi maestri di filosofia (l’accademico Filone di Larissa, l’accademico-stoico Antioco di Ascalona, lo stoico Posidonio) e di retorica (Apollonio Molone di Rodi) e si distinse per l’eccezionale bravura nel padroneggiare anche la lingua greca,  tanto da far esclamare ad Antioco che  educazione (παιδεία) ed eloquenza (λόγος), gli unici beni rimasti ai Greci, ormai, per merito di Cicerone, erano divenute patrimonio dei Romani (IV,7).

·        Tornato a Roma, già di natura ambizioso, fu indotto dalle pressioni del padre e degli amici ad intraprendere la carriera politica.

Ed allora lui, il Γραϊκός e lo σχολαστικός, il maniaco del greco e dello studio, come veniva soprannominato, mise ulteriormente a punto la sua preparazione frequentando famosi attori di teatro (il comico Quinto Roscio e il tragico Clodio Esopo) per apprendere, attraverso l’abilità mimica, l’opportunità del gesto, la modulazione della voce, soprattutto la capacità di persuadere l’uditorio.

 

E’ insita nell’elogio di Antioco anche la diversità fondamentale con quello che, fino all’ultimo, costituì il modello ideale di Cicerone, e cioè Demostene.

Mentre Demostene (syncr. I,1) investì tutte le sue capacità naturali e frutto d’esercizio nell’uso della parola, così da riuscire superiore a tutti per evidenza e incisività, Cicerone non rinunciò mai a far trapelare il suo bagaglio culturale (ἐμπειρίαν τινὰ γραμμάτων).

 

Ad essi (syncr. III,1), dotati di un’eccezionale capacità nel parlare in pubblico e di acume politico, ricorsero per aiuto persino i signori della guerra (come Pompeo e il giovane Ottaviano per Cicerone), ma, mentre Demostene era scorbutico e intrattabile, il volto di Cicerone ispirava una bonaria serenità  (μειδίαμα καὶ γαλήνην).

 


Il quindicennio del successo

(75 – 59)

 

·        Per più di 15 anni, dalla questura in Sicilia nel 75 al volontario esilio nel 58, Cicerone fu il principe incontrastato del foro e della scena politica, nonostante la dilagante corruzione giudiziaria e la faziosità che ormai dilaniava lo stato.

 

·        E il riconoscimento unanime che gli venne tributato (ὡς οὐδένα τῶν πώποθ' ἡγεμόνων ἐτίμησαν), Plutarco  (VI,1) lo ascrive soprattutto a tre sue qualità: la meticolosità (ἐπιμέλεια), il rispetto della giustizia (διακιοσύνη), l’affabilità (πραότης).

 

·        Sono di questo periodo le famose Verrine (70), la pro lege Manilia de imperio Gn. Pompei (66), la de lege agraria (63, suo programma politico), le Catilinarie (63), la pro Archia (62).

Fu soprattutto con queste che Cicerone riuscì a dimostrare ai Romani, meglio di chiunque altro (XIII,1):

 

 

 

 

 (trad.: di quanto fascino la parola sappia arricchire un buon contenuto; che il giusto è imbattibile, se è espresso senza mezzi termini; che il bravo politico deve sempre preferire nei fatti ciò che è bene a ciò che blandisce e, quando parla, deve sfrondare il discorso da tutto ciò che è offensivo pur di trovare un’intesa).

 

·        Console nel 63, coi voti di aristocratici e democratici, Cicerone sventò la congiura di Catilina denunciandolo inopinatamente e apertamente in senato.

Allora il potente, prudente, emergente G. Cesare non valse a salvare i congiurati dal supplicium more maiorum proposto in senato con fermezza da Catone l’Uticense. E il console Cicerone, scortato dal senato, fece eseguire la condanna a morte dei congiurati riportando la pace in città.

 

Salvatore e Padre della patria

     era il grido che  unanime si alzava nella notte del suo trionfo. Soprattutto  perché, con il minimo danno, senza disordini e rivolte, Cicerone era riuscito a spegnere la più grave insurrezione politica di tutti i tempi (XXII,5 –7).

 

 

  

·        Ma la politica delle armi, degli accordi personali, degli intrighi di parte stava ormai avvelenando la concorrenza democratica. E’ del 60 il I triumvirato tra Cesare, Pompeo e Crasso la cui immediata ripercussione fu il consolato di Cesare nel 59.

E Cicerone è una presenza ingombrante (XXVII,7). Fa ombra la sua politica corretta e dialettica, fa ombra  la sua irrefrenabile ambizione (ἄκρατος φιλοτιμία), capace di indurlo a riempire dei suoi elogi anche i suoi scritti (XXIV, 1-4), fanno ombra quelle sue continue battute pungenti (σκώμμασι χρῆσθαι πικροτέροις).

·        Ci pensò allora lo spregiudicato e violento tribuno Clodio, manovrato dai tre nuovi leaders, con la lex Clodia de capite civis Romani, fatta approvare nel 58, ma di proposito retroattiva, ad eliminare dalla scena politica lo strenuo difensore della repubblica.

·        Intelligenza (φρόνησις) e autorità (δύναμις τέ μεγάλη) unite a un profondo senso di giustizia (μετὰ δικαιοσύνης), doti di rado riscontrabili contemporaneamente nella stessa persona, insieme a disinteresse e generosità (neppure Demostene fu insensibile al fascino del guadagno, come evidenziano le fortune accumulate con una spregiudicata attività logografica o lo scandalo di Arpalo), alla Roma dei padri, che precipita sempre più rapidamente in un’avventura politica senza ritorno, ormai non servono più (syncr. II, 3-4).

                          


Il quindicennio delle grandi luci e delle grandi ombre (57 - 43)

 

·        Tra il 58–57 si colloca, per 16 mesi, e fino al risolutivo intervento di Pompeo, l’esilio di Cicerone, prima a Durazzo (Epiro), poi a Tessalonica (Macedonia).

Fu un’esperienza dolorosa e devastante (cfr. Epistolario) che lo prostrò nel fisico e nello spirito, precipitandolo in una cupa depressione: gli mancava la ribalta, l'altra metà di se stesso.

Cicerone non si identificava con le sue idee, ma con l’opinione pubblica (syncr. IV,1). Ed in questo sta la diversità tra l’esilio meritato ma attivo di Demostene e quello ingiusto ma apatico di Cicerone.

·        Durante il successivo quindicennio (57 – 43), in un sistema politico ormai drasticamente degenerato, Cicerone, idealmente certo, ma anche ingenuamente, cercò ancora un ruolo all’altezza del proprio passato, oscillando spesso nel disperato tentativo di riproporsi come mediatore, come punto d’equilibrio tra interessi avversi.

·    Ripresa con maggior disponibilità l’attività forense (in questo senso l’ironico optimus omnium patronus di Catullo, carm. XLIX ?), si susseguirono tra le numerose altre la pro domo sua (57), la pro Caelio (56, accusato di veneficio da Clodia-Lesbia), la de provinciis consularibus (56, in appoggio alla proroga dell’imperium di Cesare nelle Gallie), la in Pisonem (55), la pro Milone (52, accusato dell’assassinio di Clodio).

·        Sono ancora questi gli anni delle grandi opere sistematiche sia in campo oratorio che politico: il De oratore (55, in 3 libri), il De republica (54-52, in 6 libri) e fors’anche il De legibus.

·     Nel 51 assolse il suo dignitoso proconsolato in Cilicia (XXXVI, 2) in modo irreprensibile, senza  bisogno  di  guerre,  diplomaticamente  (ἀμέμπτως ἄτερ πολέμου ... ἡμέρως).

·        Decisosi tra molte incertezze e oscillazioni per Pompeo nella guerra contro Cesare, solo perché là gli sembrava piuttosto risiedere la legalità, non combatté a Farsalo, ma ritornò a Brindisi dove Cesare, andandogli incontro con premura e stima, gli evitò l’umiliazione di una pubblica ammenda.

·        Seguirono per Cicerone anni duri dal punto di vista familiare (due divorzi, la morte della figlia) e sostanzialmente, nonostante un’apparente considerazione, di emarginazione politica).

·        Sono però gli anni culturalmente e letterariamente più fecondi.

Del 46 sono infatti l’Hortensius, il Brutus, l’Orator.

Del 45-44 le Tusculanae disputationes, il De finibus bonorum et malorum, il De natura deorum.

Del 44 il De fato, il De divinatione, il De senectute,  il De amicitia, il De officiis.

·        Il 15 marzo 44 Cesare venne assassinato e tra i congiurati, Bruto, uno dei più intimi amici di Cicerone e il dedicatario di tante sue opere.

Si apre per lo stato un delicato momento critico e per Cicerone il richiamo ad un’ennesima assunzione di responsabilità, ma anche, secondo Plutarco (XLV), l’illusione di riconquistare il suo ruolo politico.

Il giovane Ottaviano, sincero ammiratore di Cicerone, all’inizio ne sfruttò abilmente tutto il prestigio e il peso per arrivare al consolato e battere la concorrenza di Antonio. In seguito, tornandogli più opportuno per la gestione del potere un accordo con lo stesso e Lepido (2° triumvirato), non esitò a sacrificare l’ingenuo Cicerone.

·        E così Cicerone, a 64 anni, per ordine di Antonio, fu ucciso. Gli furono tagliate la testa e le mani, perché con quelle aveva scritto contro di lui le accese Filippiche, e furono esposte sui rostri di quel foro che per 30 anni, si può dire, lo avevano visto protagonista di quella Respublica che con lui definitivamente moriva.