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I prerequisiti indispensabili erano: maggiore età, curiosità inesausta, una buona dose di intraprendenza. Un festival dedicato al mondo del cinema d'autore non è soltanto un'esperienza "cinematografica": non basta insomma giudicare un film, come si fa di sfuggita terminata una proiezione; occorre invece osservare con occhio critico i delicati meccanismi che muovono la macchina (da presa) e tutto il contorno che accompagna la realizzazione di un lungometraggio. è bene imparare a riconoscere il valore di elementi apparentemente secondari, come la colonna sonora o il montaggio; bisogna "smontare" una pellicola, così come (ahinoi!) si usa fare di una poesia studiata a scuola; e poi, finito tutto questo, ci è concesso percepirne l'essenza: e pronunciarci sul "bello" o sul "brutto". Un aspetto prevalentemente poco conosciuto del film è la sua colonna sonora: spesso viene colta di sfuggita, come integrazione a ciò che si vede. Eppure, lungi dall'essere un cameriere delle immagini, la musica in un film ne rappresenta una complementare integrazione. La sua funzione principale, che pur varia a seconda delle intenzioni del regista, è quella di suscitare un'emozione parallela a quella del video. Rientra quindi a buon diritto nel novero degli elementi che contribuiscono a fare di ogni pellicola una forma d'arte. Conscia del suo ruolo precipuo, la legislazione italiana include lo stesso musicista nell'elenco dei "creatori" del film, accanto al regista ad al responsabile del montaggio. Nella storia cinematografica, la musica nasce come contenitore di un "vuoto" venutosi a creare dopo l'introduzione del sonoro: di fronte alla immagini in movimento, nulla sembrava più adatto che inserire una canzone riempitiva. Col tempo però, l'originalità richiesta ad ogni prodotto di cinema impose la creazione ex-novo di soluzioni sonore innovative: canzoni, dunque, ma anche fraseggi ripetuti che potessero connotare il film anche da un punto di vista musicale. Fondamentali a questo scopo sono i loop, ossia le frasi melodiche ripetute: questi riescono a dare un'impronta specifica al prodotto, "accompagnando" lo spettatore nella sequela delle immagini. Un'armonia aggiunge alla scena una caratteristica emotiva spesso immediatamente percepibile: indimenticabile, a questo proposito, la litania tintinnante di Shining, la musica "urlata" di certi Hitchcock, fino ai tormentoni dei film americani: dal Laureato -che consacrò il binomio Simon&Garfunkel- ad Armageddon (Aerosmith), passando per Il Gladiatore (Hans Zimmer, guru musicale dello stesso Spielberg). Coniugare immagine e musica singifica trasferire una sensazione uditiva che faccia risaltare quella visiva: di questo si occupa la psicoacustica, disciplina scientifica a metà tra l'acustica e la psicologia. Come il mitico cantore Orfeo riusciva ad ammaliare Persefone con la sua melodia, così lo spettatore è sottoposto ad una vera e propria mimesi teatrale, con cui esperisce personalmente -attraverso un suono che rimanda all'azione- la profondità emotiva della vicenda, e in essa si immerge. Ma la musica è, prima di tutto, del film: ecco che nell'ultimo Io non ho paura di Salvatores, musicato da Ezio Bosso, il percorso del piccolo Nicola è accompagnato dal suono della viola: stridente, talvolta, come la voce adolescenziale di chi si trova di fronte ad un pericolo che non sa fronteggiare e che contemporaneamente lo attrae (in questo caso, il bambino nel buco). Quando la musica stordisce lo spettatore, viene meno al suo compito principale: non dunque quello di astrarlo in un mondo parellelo, quello bensì di condurlo per mano tra i fotogrammi del film. Ricordandogli di tanto in tanto che quella è finzione. |
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