De gustibus non disputandum: cibi e ricette d’allora e di ora

 

 

 

Prima di storcere il naso davanti ad insolite proposte gastronomiche, come ad esempio l’onnipresente garum, un condimento a base di mosto e pesce fermentato, o i ghiri farciti, raffinato e apprezzato antipasto, o lingue e cervello di fenicottero con salsa speziata di datteri, vale forse la pena di evidenziare subito che cosa NON mangiavano i Romani. E questo proprio per tracciare una linea precisa di demarcazione tra ieri e oggi che ci consenta, il più possibile, di entrare nell’atmosfera propria di quella cucina, con quei sapori, con quei gusti, con quelle possibilità d’allora.

 

Cosa NON mangiavano i Romani

 

Fra i nostri cibi più in uso i Romani non mangiavano pomodori e patate (importati dopo la scoperta dell’America), granoturco – e quindi la polenta - e tacchino (turkey in inglese, entrambi di origine turca, come ricorda il nome stesso), pasta e riso (anche se lo importavano dall’India, ma ne ricavavano solo l’amido come collante), le arance (che saranno trapiantate in Sicilia dagli Arabi solo dal X sec.; conoscevano e usavano invece il malum medicum, il limone, trapiantato in Grecia da Alessandro Magno), il burro (usato solo in medicina), tè, caffè, cioccolato, zucchero (introdotti in Europa a partire dal Medio Evo), il sale (sostituito dal garum) e, in generale, la carne bovina.

 

Cosa mangiavano

Innanzitutto pesce e poi carne: di maiale, d’agnello, di capretto, di pollo, d’oca, d’anatra. Ogni tipo di selvaggina (lepri, cinghiali, fagiani, cervi, caprioli) e di volatili.

Numerose le verdure, che spesso erano servite come antipasto (asparagi, carciofi, zucche, carote, cetrioli, rapanelli, insalate di vario tipo).

I legumi, invece (fave, lenticchie, piselli, ceci), erano prevalentemente usati come contorno, o come base per le zuppe della gente comune.

Funghi e tartufi, anche allora, erano un cibo ricercato e molto apprezzato.

Fra i cereali: orzo, farro, grano, avena, segale.

Vari erano i formaggi, prevalentemente di capra e di pecora.

E poi la frutta: mele, pere, ciliegie (importate dal Mar Nero proprio da Lucullo), pesche e albicocche (il malum persicum proveniente dalla Persia e il malum praecox proveniente dall’Armenia), ma soprattutto fichi e uva e, d’estate, meloni e cocomeri, come, d’inverno, frutta secca di ogni tipo. Ma regina assoluta  era ovviamente l’oliva.

Consistente l’uso di erbe e di spezie di ogni tipo e provenienza. Così menta, ginepro, timo, mirto, alloro, origano, prezzemolo, silfio (probabilmente aglio); pepe, chiodi di garofano, zafferano, semi di papavero, di sesamo, di finocchio, di senape, aromatizzavano e insaporivano le portate.

 

Cosa bevevano

A parte il latte e la birra (cervisia), che era ricavata dalla fermentazione di frumento e orzo, la bevanda divina, degna di questo nome, era il vino.

Si può affermare senz’altro che i Romani mangiassero per bere e non viceversa.

Dal mulsum iniziale, vino mescolato con miele, servito freddo, che accompagnava i gustus, gli antipasti, al passum, vino passito, forte e dolce, ottenuto dall’uva passa, servito durante le secundae mensae (il dessert), alle comissationes finali, ripetuti brindisi al padrone di casa, ai presenti, agli amici, a personaggi di prestigio, ecc., ecc., si calcola che a testa, durante i banchetti, venissero consumati dai 3 ai 5 litri di vino.

Falerno, Massico, Cecubo, ma anche celebrate etichette d’importazione (dalla Grecia, dalla Gallia, dalla Spagna), qualificavano ed esaltavano le numerose portate della mensa prima.

Il vino, mai puro, ma per ¾ annacquato, era sovente profumato con spezie (pepe), erbe (assenzio), essenze di fiori (violetta o rosa), semi (finocchio, cumino).

Così, per esempio, il vinum absinthiatum, attraverso la traduzione letterale in lingua tedesca di Wermut-Wein, ha conservato nel nostro vermouth la sua discendenza.

 

Ab ovo usque ad mala

L’espressione proverbiale per indicare “dall’inizio alla fine” nasceva proprio dagli alimenti che aprivano e chiudevano normalmente una cena, vale a dire: uova sode e frutta.

Il banchetto si svolgeva attraverso tre momenti ben distinti: il gustum, la mensa prima o caput mensae, la mensa secunda.

 

Gustum

L’antipasto era sempre vario e ricco: uova sode con lattuga e tonno, verdure, formaggi, omelettes, olive, frutti di mare, salsicce (le migliori quelle lucane; cfr. in milanese lüganega), pasticci servivano a stuzzicare l’appetito e a preparare lo stomaco ai piatti forti della mensa prima.

Ancora una volta il nostro Apicio aveva perfezionato un gustoso antipastino,  a base di bastoncini di zucchine fritte, passate quindi in una salamoia di aceto, aglio, miele, mirto. E la denominazione di esca Apicii, con cui era noto, si è conservata nelle verdure o nei pesciolini “a scapece” tuttora in uso nel nostro Meridione.

 

Mensa prima

Comprendeva da due a sei - sette portate di carne e pesce.

Le carni (come abbiamo già visto, di maiale, selvaggina di ogni tipo, galline, anatre, oche, pavoni, agnelli, capretti) erano arrostite allo spiedo, farcite, ridotte in polpette o spezzatino, arricchite da erbe aromatiche, accompagnate spesso da salse agro - dolci e condimenti particolari, e costituivano i piatti forti.

Raffinati e costosi e molto apprezzati erano i piatti a base di pesce. Immessi quotidianamente sul Forum Piscarium, il mercato del pesce, o provenienti da apposite riserve, o ancora allevati nelle  piscinae delle ville più sontuose, tonni, dentici, murene, aragoste, calamari, seppie, sogliole erano cucinati alla griglia, o bolliti, o farciti e sempre accompagnati da salse gustose.

 

Mensa secunda

Ricca e varia, a base di frutta fresca e secca e di dolci, dai più semplici (biscotti, frittelle, panini dolci) ai più raffinati (creme, omelettes, soufflé), suggellava, insieme al passum, la fine della cena.

 

Ricette e menu

Completate le informazioni di carattere generale, non resta che sfogliare le nostre fonti, Apicio soprattutto, e selezionare quelle ricette, fattibili, piacevoli e non eccessivamente dispendiose, che possono concorrere alla definizione del menu della cena conclusiva del prossimo 30 aprile.