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IL GIARDINO DELL'ARCADIA

"La scuola adotta un monumento"


Liceo Berchet

Dall'Arcadia all'istituzione

N.B. : Il testo qui sotto riportato è un libero riassunto e adattamento da alcune pagine del libro L'Arcadia, trecento anni di Storia (Il recupero del Bosco Parrasio di Roma) di Acquaro Graziosi.

Storia dell'Arcadia

Foto Ignazio Felcher
Milano - Il giardino dell'Arcadia
Una delle poche statue superstiti

La Roma della metà del secolo XVII esercitava tutto il fascino del suo splendore barocco quando Cristina di Svezia, sovrana europea, in seguito alla clamorosa conversione religiosa e conseguente abdicazione, decide di trascorrervi il resto della propria vita e, per quasi trentacinque anni, sarà "regina" nel regno della cultura e delle arti.
Il suo salotto diventa centro di mondanità, scuola di gusto: musica, letteratura, pittura, scienza s'intrecciano in conversazioni erudite, alle quali ben presto si tenderà a dare finalità programmatiche. L'Accademia fondata nel 1674 ha lo scopo di coltivare la purezza della lingua italiana considerata più moderna, più naturale, più bella. Il fasto della corte papale, per niente castigato da istanze controriformistiche ispirate a una maggior sobrietà d'apparato, stimola nella nuova corte di Cristina atteggiamenti e interessi da avanguardia intellettuale, alimentati anche dallo spirito anticonformista della regina.
Musica, arte figurativa, erudizione antiquaria, collezionismo, astronomia, occultismo sono altrettanti interessi di cui troviamo precisi riscontri storici: ad esempio la famosa collezione di dipinti.
E' da notare inoltre come Cristina di Svezia fosse per sua natura più propensa alla semplicità, all'essenzialità, all'intimismo, quasi indiretta testimonianza della sua origine nordica. Comunque, figura eccezionale già nella coscienza dei contemporanei, Cristina di Svezia, subito dopo la sua morte, è diventata un vero e proprio mito. E' in un ideale omaggio ad memoriam con l'intento di proseguirne, ampliandoli, gli scopi, che, circa un anno dopo, il 5 ottobre 1690, veniva fondata l'Accademia d'Arcadia.
Fondatore ed animatore del sodalizio, colui che per quasi quarant'anni lo monopolizzerà di fatto, è il canonico letterato e poeta Giovan Mario Crescimbeni, nativo di Macerata.
L'Accademia contava prelati come il cardinale Albani (il futuro papa Clemente XI), artisti come Bernini, musicisti come Scarlatti, eruditi come Bellori, per citare solo alcuni dei nomi più famosi della storia e della cultura di quel periodo.
Luogo della riunione che uffìcializza la fondazione è il giardino del Convento dei Padri Minori Riformati di San Pietro in Montorio, vicinissimo al giardino di Palazzo Riario (poi Corsini), che era stato dimora della defunta regina e luogo delle sue « accademie ». Quasi un segno del destino, sul quale non ci saranno più dubbi quando l'Arcadia si doterà di una propria sede: il Bosco Parrasio infatti sorgerà - e sorge tuttora - su quella striscia di colle situato fra il giardino di Palazzo Riario e l'orto del Convento, divenuto nel tardo Ottocento sede dell'Accademia di Spagna di Belle Arti.
C'è dunque un rapporto di discendenza diretta tra le prime conversazioni letterarie e l'istituzione del 'Accademia d'Arcadia, nella quale la vivissima memoria di Cristina di Svezia viene celebrata con la sua proclamazione, da parte dei quattordici membri fondatori,a Basilissa (cioè a patrona ispiratrice).
Quando si parla di Arcadia, la cultura umanistica identifìca immediatamente una serie di fatti che, disseminati nello spazio e nel tempo, costituiscono la robusta trama di forme mentali, di atteggiamenti culturali, di sentimenti e virtù morali, frutti tutti di un identico seme.

Foto Cesare Badini
Milano - Il giardino dell'Arcadia

La scoperta dell'Arcadia come paesaggio spirituale è opera di Virgilio che reinterpreta la notizia desunta da Polibio (proveniente dall'autentica Arcadia peloponnesiaca e conoscitore della propria patria), il quale riferiva come i suoi abitanti venissero esercitati fin dalla prima giovinezza al canto.
Virgilio dunque attribuisce ai pastori-poeti delle Egloghe l'usanza del canto e li colloca in quella regione montuosa sfumando il tutto nell'irreale, con un intreccio di realtà e mito che da allora diverrà caratteristica di ogni Arcadia. Avremo infatti l'Arcadia intellettuale ed elitaria di Lorenzo il Magnifico e della sua cerchia, che ritrovano nella villa medicea di Careggi il concetto di natura amica; l'Arcadia letteraria che, col Sannazzaro, mette a punto il prototipo dell'opera pastorale, un romanzo allegorico con testo di prose alternate ad egloghe in versi; l'Arcadia poetica, espressione sublime della favola di Aminta creata dal Tasso per esaltare l'amore, legge suprema della vita, sentito e celebrato in tutti i suoi aspetti.
L'arte figurativa, inoltre, produce una serie di opere fondamentali; in particolare alcune tele, che poi hanno fatto scuola, divenendo prototipi per l' imitazione e la divulgazione dell'immagine visiva dell'Arcadia.
Pensiamo soprattutto alla celebre serie di dipinti intitolati « Et in Arcadia ego », inaugurata dal Guercino e completata dalle due versioni di Poussin con l'introduzione del cippo sepolcrale, suggerito dalla lettura attenta e meditata dell'opera di Sannazzaro.
In questo caso il legame tra pittura e letteratura è una citazione diretta e immediata, ma, anche quando risulta meno evidente, c'è sempre una mediazione o una intuizione alla base del significato più o meno recondito espresso dal dipinto, magari attraverso la rappresentazione di specifiche allegorie di patrimonio culturale comune a tutte le arti e interscambiabile.
Bisogna ricordare ancora il celebre motto « Et in Arcadia ego », che pare risalga ai versi del poeta latino Ausonio in riferimento alla tomba di Terenzio. E' un memento mori che, secondo la famosa analisi di Panofskij (E. PANOFSKIJ, « Et in Arcadia ego »: Poussin e la tradizione elegiaca, in ID., Il significato delle arti visive, trad. it., Torino, Einaudi, 1962) potrebbe tradursi tanto come «la morte esiste anche in Arcadia», oppure, cambiando il soggetto alla frase, «io pastore poeta vissi in Arcadia». Entrambi esprimono la calma e pensosa meditazione sul passato e sulla condizione mortale dell'uomo.
L'Arcadia raccontata in prose e in versi, raffigurata in forme e colori,, rappresentata in teatro è una sorta di gioco che, attraverso alcune varianti, interpreta e simboleggia culture diverse e successive.
La rigorosa ed essenziale semplicità si realizza a prezzo di un codificato artifizio, ricco di segni e suppellettili, che si esprime, ad esempio, nelle descrizioni d'ambiente: la selva, la fonte, la grotta, il ninfeo sono altrettanti luoghi-chiave, indispensabili alla visualizzazione del sogno pastorale etereo e immutabile.
La struttura gerarchica dell'Accademia,inoltre, ufficialmente propagandata coma «repubblica delle lettere », è di fatto gestita da una oligarchia al cui vertice si trova la figura del Custode generale, una sorta di presidente dai pieni poteri, di carica elettiva, coadiuvato da un consiglio di dodici membri, il Savio Collegio. Crescimbeni ha ricoperto l'incarico dalla fondazione dell'Accademia (1690) alla sua morte (1728).Un dato rilevante che ci permette di comprendere come lui e l'Arcadia abbiano finito per identificarsi, tanto che quasi tutti i suoi scritti sono finalizzati all'Accademia e svolgono di volta in volta opera di propaganda, di difesa, di encomio; dal canto suo l'Accademia ha espresso durante il primo lungo custodiato la sua azione più vitale e caratterizzante, storicamente più attiva.
Il fantasioso e nutrito repertorio dei nomi pastorali viene attinto in gran parte dall'Arcadia del Sannazzaro: al primo si accompagna un secondo nome (una sorta di cognome).

Foto Cesare Badini
Milano - Il giardino dell'Arcadia
Veduta della statua d'Ercole sullo sfondo
della casa progettata da Ignazio Gardella

L'organizzazione interna poi è di tipo verticistico e centralizzato. Con pretese di pianificazioni operative si tende a codificare anche i più piccoli particolari, dal complicato cerimoniale auto-celebrativo delle « solenni ragunanze», cioè le riunioni durante le quali si declamano in pubblico i componimenti poetici, al contenuto degli stessi o al tempo loro assegnato per la recitazione: «Il discorso o ragionamento non ecceda il quarto d'ora di lunghezza». Sembra una cosa di poco conto, e invece la limitazione temporale comporta uno svuotamento dei contenuti. Viene così a mancare il dibattito reale, la discussione, il confronto delle idee, insomma ciò che avrebbe dovuto costituire l'essenza stessa della vita accademica.
Questo sarà dunque il preludio alla definitiva morte dell'Accademia che, pur tentando di rinnovarsi dando luogo a diversi "scismi", a ormai perso il suo significato sociale e storico-culturale, per entrare nella storia della letteratura.


 

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