Il giorno che finì l´apartheid 

 Il 17 marzo di quindici anni fa si svolse l´ultima consultazione elettorale "per soli bianchi" nella storia del Sudafrica: la minoranza che aveva il monopolio del potere decise di rinunciare a quel vergognoso privilegio. Uno scrittore ricorda  Nel Paese cresceva la violenza, alimentata dall´estrema destra afrikaner ma anche dal partito degli zulu.  Ma l´attuale regime sembra aver tradito le speranze di allora scegliendo convenienza, arroganza e repressione 

 ANDRÉ BRINK 

 

Quando qualcuno parla, come succede tuttora, in qualsiasi parte del mondo, del «miracolo sudafricano», sono sempre più numerosi quelli che scuotono la testa arrabbiati o scettici. E in effetti non è facile recuperare l´entusiasmo di un tempo per i cambiamenti avvenuti in Sudafrica, che avevano acceso l´immaginazione quando Nelson Mandela varcò i cancelli della prigione, il 13 febbraio 1990, o quando milioni di persone di tutte le razze sfidarono il caldo o la pioggia, il 27 aprile del 1994, aspettando in coda ore e ore per poter tracciare una croce sul nome di un partito politico, sopra una scheda elettorale che per la maggioranza dei sudafricani rappresentava il passo più importante mai intrapreso nella loro vita.

Se ti guardi intorno oggi, la prima cosa che vedi è l´ondata di violenza che sta risucchiando il Paese, gli omicidi che vengono commessi ogni giorno, gli stupri ai danni di bambini o donne anziane, il flagello costante dei poveri e dei senzatetto, la corruzione, l´arricchimento personale e il nepotismo, il ghigno compiaciuto di un importante esponente del governo che casualmente è anche un criminale con tanto di condanna, ed è scortato in galera da importanti uomini politici in venerazione dell´eroe. Vedi una nuova élite nera che si fa bella del potere attribuitole non in virtù del merito ma del denaro, pappa e ciccia con la vecchia élite bianca che ancora raccoglie i frutti dei privilegi passati, mentre i tantissimi poveri, sia neri che bianchi, non trovano via d´uscita dalla loro condizione. Vedi ragazzini privi di qualifica nominati - unicamente in virtù del colore della loro pelle - a incarichi che non avrebbero titolo a ricoprire; mentre migliaia di altri, tra cui molti qualificati e dotati di talento, sono costretti a lasciare il Paese per cercare lavoro all´estero, anche in questo caso unicamente in virtù del colore della loro pelle (tra questi, anche miei parenti). Vedi uno spreco di potenziale umano fra i cosiddetti coloured, i mulatti, che un tempo venivano relegati in una terra di nessuno perché di pelle troppo scura per i bianchi che governavano allora, e che ancora oggi (tranne che per brevi momenti durante le elezioni) si trovano imprigionati in un limbo, perché adesso hanno la pelle troppo chiara per i neri che governano.

Vedendo tutto ciò, si può ancora parlare di un «miracolo sudafricano»? Dire una cosa del genere, a prima vista, può sembrare un´esibizione di totale cinismo o una prova di sconsiderata ingenuità. Sarebbe sbagliato, però, pensare che il miracolo dei primi anni Novanta fosse una mera illusione, o che sia andato perduto irreparabilmente. Dopo oltre tre secoli di oppressione coloniale Mandela uscì davvero di galera e una larga maggioranza dei sudafricani ebbe la possibilità di recarsi alle urne per le prime elezioni democratiche mai tenute nel Paese e venne scritta una nuova Costituzione che diventò l´invidia di tutto il mondo libero. E tutto ciò avvenne senza che il Sudafrica precipitasse nel bagno di sangue che molti di noi avevano creduto inevitabile. In confronto con le lunghe guerre di liberazione combattute in altre zone del continente, anche alle nostre stesse frontiere, nello Zimbabwe, in Namibia e in Mozambico, abbiamo assistito a una rivoluzione pacifica che ha portato un cambiamento profondo e radicale in quasi tutti gli ambiti dell´esistenza. Sì, stiamo pagando un prezzo per tutto questo, com´è successo a ogni Paese sconvolto da analoghe convulsioni sociopolitiche ( la Russia , il Cile, la Bosnia ). Ma il cambiamento c´è stato davvero e tutti noi che viviamo qui ne siamo segnati.

Ed è bene, ed è necessario, rivisitare il momento della nostra trasformazione per valutare con occhi nuovi le verità più profonde di quella esperienza, e, se possibile, recuperare almeno una parte di quel senso spesso dimenticato.

La transizione dall´oscurità alla luce poggia su una scelta altrettanto esplicita: la scelta tra la violenza e la pace, tra il conflitto e il tavolo delle trattative, tra le armi e la parola. (Per me che sono scrittore, questa, inevitabilmente, è la scelta più importante di tutte, poiché implica la differenza tra l´inumano e l´umano, tra la follia e la ragionevolezza). E il momento chiave per quella scelta storica è stato forse un evento avvenuto esattamente quindici anni fa, il 17 marzo 1992. Quel giorno si tenne il referendum - l´ultimo evento di questo genere riservato ai soli bianchi nella storia del Sudafrica - convocato dall´allora presidente F. W. de Klerk per decidere se la minoranza bianca che governava il Paese era disposta a sostenere le trattative della Codesa (Convention for a Democratic South Africa) tra il governo bianco e l´Anc.

La domanda posta all´elettorato era formulata in modo estremamente semplice e diretto: «Siete a favore del prosieguo del processo di riforma avviato dal capo dello Stato il 2 febbraio 1990, finalizzato all´elaborazione, attraverso il dialogo, di una nuova Costituzione?».

Molti all´epoca, io compreso, non erano molto a loro agio con l´idea stessa di un referendum riservato solo ai bianchi. Ma in quella particolare congiuntura storica non c´era davvero nessuna alternativa ed è stato significativo che perfino l´African National Congress (il partito di Nelson Mandela, ndr) ne abbia riconosciuto l´importanza.

Lo scenario in cui si svolse il referendum era caratterizzato da un´escalation di violenza in tutto il Paese, provocata in primo luogo dall´estrema destra afrikaner, che rifiutava qualsiasi concetto di trattativa con il "nemico", ma anche dall´Inkatha Freedom Party, la formazione politica a dominanza zulu concentrata nella provincia del Natal, ma che si stava diffondendo rapidamente in molte zone del Paese, in particolare nei dintorni di Johannesburg. Il leader dell´Inkatha, Mangosuthu Buthelezi, contestava il diritto dell´Anc a negoziare a nome di tutti i neri, anche se alla Codesa partecipavano anche altri partiti neri e l´Inkatha stessa era stata invitata a prendervi parte ma aveva rifiutato. Sull´altro versante, l´estrema destra bianca, il Partito conservatore (guidato da un fondamentalista religioso, Andries Treurnicht, e alleato con l´Awb - Movimento di resistenza afrikaner - una formazione sempre più militante), insisteva che il governo di de Klerk non aveva mandato per negoziare a nome di tutti i bianchi. Per qualche tempo, dopo la sconfitta del National Party di De Klerk in un´elezione suppletiva nel febbraio del 1992, sembrò addirittura che Treurnicht potesse avere ragione. Questo stato di cose rendeva non solo necessario, ma inevitabile ascoltare l´opinione degli elettori bianchi. Ad aggiungere ulteriore pressione alla situazione c´era il fatto che all´inizio del 1990 la confinante Namibia aveva conquistato l´indipendenza. Sullo sfondo, naturalmente, c´era la consapevolezza di quello che stava succedendo in Europa: la caduta del Muro di Berlino e lo sgretolamento dell´Unione Sovietica e le ripercussioni che questi eventi stavano avendo in tutta l´Africa.

De Klerk vinse la sua scommessa. Quasi il sessantanove per cento dei voti espressi nel referendum fu a favore della proposta di trattativa. Meno di un terzo degli elettori, il 31,27 per cento, votò contro. «Oggi», annunciò il presidente dopo il voto, «abbiamo scritto il punto di svolta fondamentale della nostra storia». E quel punto di svolta, spiegò, era «la chiusura della pagina dell´apartheid».

Non sono mai stato un ammiratore di de Klerk. La sua insistenza, anche molto tempo dopo tutti i cambiamenti avvenuti, a credere di poter imporre al Sudafrica la regola della «condivisione del potere» invece della regola del governo della maggioranza; il meschino trattamento da lui riservato a Mandela durante i negoziati della Codesa; il modo petulante in cui uscì dal governo di unità nazionale: tutto ciò mi induce a pensare che le sue iniziali inclinazioni in senso democratico non siano mai state frutto di una convinzione, ma un mero espediente, motivato da interesse personale. Ma gli riconosco l´acume (anche se arrivato sotto una fortissima pressione esterna) di aver capito nel 1990 che il Paese si trovava in un vicolo cieco e che il cambiamento politico era diventato inevitabile. E il coraggio per fare i primi passi verso la democrazia. Ammetto anche che negli ultimi anni, da pragmatico assoluto qual era, abbia potuto modificare significativamente la sua posizione, acquisendo una mentalità autenticamente democratica. E per lui, indubbiamente, tutto è cominciato con quel referendum di cui oggi celebriamo la ricorrenza.

È triste che, quindici anni dopo, così tanta parte della speranza, così tante delle legittime aspettative di quel periodo siano state tradite dalla scelta che l´attuale regime sembra aver compiuto. La scelta di perseguire il benessere invece della giustizia, la convenienza invece della moralità, l´arroganza invece della compassione, la disuguaglianza e la repressione invece della libertà autentica. Ma questo non significa che tutto sia perduto. Per pochi, brevi istanti, nei primi anni Novanta, i sudafricani hanno visto - e dimostrato al mondo intero - che una via d´uscita dall´oppressione e dalla miseria di diversi secoli era possibile. Che persone che avevano detenuto per così tanto tempo un potere pressoché assoluto, potevano - messe di fronte alla necessità (ma anche, spero profondamente, sotto la pressione di una convinzione morale) - rinunciare a quel potere in cambio di un ordinamento basato non sull´avidità ma sull´equità, non sul rifiuto ma sulla condivisione, non sull´interesse personale ma su obbiettivi comuni. E avendo visto ciò, noi sappiamo che quelle possibilità, quelle scelte, esistono ancora. E possiamo continuare - o ricominciare - a costruire i nostri sogni a partire da esse.

[ La Repubblica 11 marzo 2007] 

 

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