LE OPERE DI GARDELLA
In questa semplice maniglia si può cogliere la cura e la precisione che Gardella seguiva per realizzare anche dettagli apparentemente insignificanti. La forma conica e la superficie liscia favoriscono la presa anatomica e rispettano evidentemente precoci osservazioni ergonomiche che al giorno d'oggi ciascun designer è praticamente obbligato a seguire. Il metallo conferisce alla maniglia un aspetto solido e i riflessi luminosi impreziosiscono l'oggetto (C.B.) Maniglia Garda
Ignazio Gardella, Maniglia Garda, Produzione Olivari del 1951

Passeremo qui in rassegna alcune delle principali opere di Ignazio Gardella, premettendo alcune testimonianze critiche sul suo lavoro.

Iniziamo con una testimonianza di Aldo Rossi, un altro grande architetto italiano del '900 anch'egli purtroppo scomparso, che ha collabarato con Gardella

Altri esamineranno criticamente, in questo libro, l'architettura di Ignazio Gardella; ma certo la testimonianza si perde nell'aneddoto se non è verificata dall'opera o a questa non si riferisce. Il mio riferimento sarà personale come personale è il mio rapporto con Ignazio Gardella, con la sua opera e con i suoi luoghi; un'opera che conosco bene, credo, anche se, nel corso del tempo, non abbiamo mai parlato troppo del nostro lavoro. Intendo per "troppo" quella sorta di verbosità che induce spesso gli artisti minori, o meglio i mediocri, a parlare diffusamente di ciò che fanno e in genere del proprio lavoro. Qualsiasi tecnica, una volta posseduta, richiede sempre delle decisioni personali che difficilmente possono essere discusse; ed è difficile per noi stessi penetrare in ciò che è proprio di queste decisioni. Spesso parliamo per metafore, per discorsi paralleli, di ciò che stiamo facendo; e così è sempre stato anche e con Ignazio Gardella. Nonostante questo cercherò di parlare di alcune "decisioni" che riguardano la sua architettura; come parte di un discorso con lui o come parte del suo insegnamento. O forse, nel male e nel bene, anche per quello che attribuisco a lui delle mie scelte. Dirò subito che la sistemazione critica di Ignazio Gardella all'interno del "razionalismo lombardo", che esista o meno, non dice proprio nulla per un artista che è difficile identificare in qualche gruppo per tutto il corso della sua vita; e lo stesso dicasi per la sua opera. In questo razionalismo "lombardo" è compresa anche una vena di neoclassicismo (che anche questo dovrebbe essere lombardo anche se è direttamente genovese come egli stesso sempre sottolinea). Neoclassicismo che gli è sempre stato, per così dire, "perdonato" per via di una sua presunta gracilità. Si stabilisce così una "continuità" che la stessa Casa alle Zattere non mette in crisi in quanto viene riassorbita nel "virtuosismo stilistico".

Non continuerò con la mia opposizione a questo tipo di critica ma è certo che essa ha dato un'immagine distorta dei valori profondi dell'architettura di Ignazio Gardella. Si veda l'importanza attribuita al particolare costruttivo proprio in un architetto che nei corso della sua opera (fino al grande Teatro genovese, come del resto aveva fatto nel Teatro di Vicenza) ha sempre privilegiato l'immagine. (Lo stesso equivoco esiste per l'opera di Mario Ridolfi dove il disegno dei particolari è chiaramente ossessione ed esplorazione di un mondo di forme non più riconoscibili nell'insieme). Togliendo Ignazio Gardella da tanti luoghi comuni, privilegio concesso comunque al "testimone", bisogna vedere nelle sue opere un "sentimento" dell'architettura che si sviluppa in modo prepotente. Per capire cosa sia questo "sentimento" possiamo avanzare un confronto, che giustamente è caro a Gardella, con Luchino Visconti. Non è certo un riferimento di maniera alla cultura lombarda ma proprio un confronto di tempi, di situazioni e di carattere. Per quanto valga il confronto tra cinema e architettura, che comunque voglio qui portare avanti, vi è fondamentalmente in questi due artisti la propensione ad abbandonare ciò che sarebbe loro più congeniale per dare alla loro opera un fondamento generale e proprio in questa propensione, a volte velleitaria a volte positiva, finiscono per essere sempre sé stessi. Ma questo essere sempre sé stessi coincide con un progresso imprevisto dell'opera. Ho sempre pensato, e presupposto, che Luchino Visconti doveva vivere un interesse enorme per i films di Lattuada (indipendentemente dal giudizio che poteva darne e che non conosco): perché Lattuada attraverso una cronaca deformata, morbosamente e insistentemente deformata, offriva quello che Visconti poteva fare meglio e non voleva fare. (Penso, incidentalmente che sia stata una scoperta di questo tipo a rendere tanto interessanti i primi films di Antonioni). Visconti ci ha insegnato che solo un obiettivo più grande, più generalmente impegnato con la cultura del suo tempo, poteva elevare il cinema, non solo il suo, e ritrovare un'autentica descrizione della realtà. L'obiettivo ambizioso di "Senso", il carattere nazional-popolare di una nuova cultura italiana (che pur si frammenta anch'esso nella morbosità di un piccolo ambiente aristocratico-borghese) libera l'artista dai suoi stessi affetti. E Gardella? Ignazio Gardella realizzerà tutto questo nella Casa alle Zattere a Venezia. Pochi sono i monumenti dell'architettura moderna; pochi soprattutto quelli che hanno un significato che va oltre la loro qualità tecnica. L'Italia del dopoguerra, pur nella generale distruzione o nell'accanimento della ricostruzione, ne vede sorgere alcuni. Certamente due a Milano: il Monte Stella di Piero Bottoni e la Torre Velasca dei BBPR. Piero Bottoni è un artista insolito e mal conosciuto; non ha paura di costruire edifici che sono sgraditi alla critica e al pubblico, non ha paura di mischiare programmi e architettura come alla Triennale, rappresenta la parte più coraggiosa del Movimento Moderno in Italia. E proprio attraverso questi difetti e virtù trasforma un programma in una grande architettura: il Monte Stella. Anche i BBPR, e con loro il genio di Ernesto N. Rogers, arrivano per vie diverse alla grande opera, la Torre Velasca. Ed essa sorge e lasciando dietro di sé ogni mediocre finezza dell'architettura ed essa stessa non si cura dei propri dettagli sicura aver trovato la strada della grande architettura. Insieme a queste a lettura comune, si pone la Casa alle Zattere. Ignazio Gardella, ancor prima di affrontare quest'opera, poteva vivere tranquillamente della sua gloria giovanile: alcune sue opere erano monumenti consacrati mentre il nuovo spirito dei tempi era da lui colto in equilibrati arredamenti e in oggetti, oggetti ricchi di materiale e di ricordi. Il mondo degli architetti lombardi (o più semplicemente e restrittivamente milanese) gli è relativamente estraneo. Direi che da un lato vi è il professionalismo attento di Albini, dall'altro il disincanto di Caccia Dominioni; due architetti altamente rappresentativi nella loro differenza. Tra questi, Gardella sembra possedere le virtù di entrambi ma non compiere una scelta; indubbiamente una scelta tra queste due strade sarebbe stata una limitazione. E vi sono tempi in cui l'artista avverte che la limitazione non è sicurezza, approfondimento; ma si tramuta in una perdita.

Adesso, riprendendo il discorso parallelo al cinema, vorrei tornare a quanto ho detto della relazione Visconti e Lattuada. Sto pensando agli interni, o meglio all'architettura di Luigi Vietti che se non sbaglio ha circa gli anni di Gardella. Intanto sarebbe interessante studiare insieme Lattuada e Vietti e un certo loro mondo che si svolge tra le case di vacanza (Versilia, Brianza, Cortina); anzi una casa di vacanza di Luigi Vietti è lo sfondo di un famoso film di Antonioni. (Anche questo mondo non è estraneo all'esperienza di Gardella; si pensi ad Arenzano). Mi sembra che attraverso tutte queste osservazioni il richiamo a Vietti emerga chiaramente ed emerga anche il mio interesse per questo architetto; perché, oltre ad essere bravo, ha saputo dare un'immagine incontestabile alla borghesia lombarda, o italiana. Credo che pochissimi architetti abbiano raggiunto questo in Europa e in America. E anche questo poteva essere una tentazione (o forse lo è stata) di Ignazio Gardella. Ma mi rendo conto che mi allontano dalla testimonianza per inventare una storia dell'architettura lombarda, o italiana. Eppure questa storia si potrebbe fare proprio nell'incrocio delle opere e delle scelte; e solo ad iniziarla si affolla di motivi, di cose, di uomini che è difficile seguire. Eppure ogni testimonianza, anche la più burocratica, è sempre una ricostruzione se non una costruzione del fatto. Comunque parlando della Casa alle Zattere ho anticipato la fine, o la fine di un capitolo, di questa storia. Con il progetto veneziano Ignazio Gardella entra nella scena della nuova architettura. O meglio di un momento di profondo rinnovamento dell'architettura. Assieme alle altre opere che ho citato, assieme al progetto per Philadelphia di Louis Kahn, entra nelle scuole d'architettura e interrompe il grigiore dell'architettura modernista. i giovani cominciano a rifiutare gli accademici della parete vetrata e cercano i loro maestri.

Ignazio Gardella diventa l'architetto della scuola veneziana, come Giuseppe Samonà ne sarà per sempre il direttore. Alla loro scuola si formano direttamente tanti architetti e soprattutto si forma la scuola di Venezia, in cui Gardella ha insegnato e insegna. La scelta, seppur difficile, è compiuta. E si manifesta anche nel bellissimo Teatro di Vicenza, che speriamo ancora di vedere costruito. E ancora l'ultima opera, il felicissimo Teatro Carlo Felice di Genova che ha assorbito completamente per tanto tempo i suoi interessi e il suo amore per l'architettura. Certo, il suo amore per l'architettura e la sua ostinazione a comprenderla nei suoi molteplici significati, rifiutano ogni soluzione accademica. Questa è certamente la testimonianza più sicura e sgombra da ogni costruzione letteraria. Esattamente come la mia amicizia per lui.
Testimonianza di Aldo Rossi (ne L'architettura di Ignazio Gardella, a cura di Marco Porta, pp.66-67)

Le principali opere di Gardella fuori Milano

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