IMMAGINI SUPPLEMENTARI

Ricostruzione foro Vista del foro Plastico Gismondi Domus Flavia Tempio di Saturno Arco di
Settimio Severo

Dopo aver affrontato alcuni argomenti al chiuso di un museo, ed esserci familiarizzati con lo scenario di Roma antica, almeno relativamente al metodo ed ai contenuti di alcuni monumenti, ecco la parte più affascinante della nostra scoperta: lo studio dei monumenti dal vivo, così come essi sono giunti fino a noi attraverso il lungo ed inesorabile fluire dei secoli.
Del Foro antico (i fori imperiali non sono purtroppo aperti al pubblico), abbiamo scelto di approfondire e studiare i seguenti monumenti:


L'arco di Settimio Severo è situato tra i Rostra e la Curia.

Si tratta di un arco a tre fornici, alto m. 20.88, largo m. 23.27, profondo m. 11.20. E' costruito in travertino e mattoni, interamente rivestito di marmo. Su ogni facciata vi sono quattro colonne composite, poggianti su alte basi. La data della costruzione, come si ricava dall'iscrizione stessa, è il 203 d.C.

Sui due lati dell'attico, all'interno del quale vi sono quattro piccole stanze, si trova l'iscrizione con la dicatio a Settimio Severo e a Caracalla (1) in seguito alle campagne partiche:

IMP. CAES. LUCIO. SEPTIMIO. M. FIL. SEVERO. PIO. PERTINACI. AUG. PATRI. PATRIAE.
[PARTHICO.ARABICO.
ET. PARTHICO. ADEBENICO. PONTIFIC. MAXIMO. TRIBUNI. POTEST. XI. COS. III. PROCOS. [ET.
IMP. CAES. M. AURELIO. L. FIL. ANTONINO. AUG. PIO. FELICI. TRIBUNI. POTEST. VI. COS. [PROCOS. P. P.
OPTIMIS. FORTISSIMISQUE. PRINCIPIBUS.
[P. SEPTIMIO. GETAE. NOB. CAESARI].
OB. REM. PUBLICAM. RESTITUTAM. IMPERIUMQUE. POPULI. ROMANI. PROPAGATUM. INSIGNIBUS. VIRTUTIBUS. EORUM. DOMI. FORISQUE. S. P. Q. R.
trad.:  "All'imperatore Cesare  Lucio Settimio Severo, figlio di Marco Pio Pertinace Augusto padre della patria Partico Arabico,   Partico Adiabenico, Pontefice Massimo rivestito della potestà tribunizia per l'undicesima volta, acclamato imperatore per l'undicesima volta, console per la terza volta, proconsole; e all'imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, figlio di Lucio Augusto Pio Felice rivestito della potestà tribunizia per la sesta volta, console, proconsole, padre della patria, ottimi e fortissimi principi, per aver salvato lo stato e ampliato il dominio del popolo romano e per le loro insigni virtù, in patria e all'estero, il Senato e il Popolo Romano."

Le lettere sono scolpite nel marmo e anticamente sulle scalpellature di esse erano applicate delle lettere in bronzo. La caduta di queste ultime ci permette oggi di notare nella quarta riga una serie di fori che non coincidono con le lettere attuali. L'iscrizione originale era infatti : "P. SEPTIMIO. GETAE. NOB. CAESARI." poi corretta in "OPTIMIS. FORTISSIMISQUE. PRINCIPIBUS." in seguito alla damnatio memoriae nei confronti di Geta ad opera di Caracalla.

La decorazione, assai ricca, viene spiegata dal disegno seguente, con una breve indicazione per ciascun settore:

(1) Attico con l'iscrizione, uguale su entrambi i lati;
(2) Vittorie con trofei;
(3) Chiave di volta del fornice maggiore - statue di Marte;
(4) Lati dell'archivolta dei fornici minori - divinità fluviali;
(5) Quattro divinità (due maschili e due femminili) non ben identificabili;
(6) Rappresentazione del trionfo degli imperatori;
(7) Soldati romani con prigionieri Parti;
(8) Scene molto articolate che rappresentano alcuni momenti salienti delle campagne partiche. Ve ne sono quattro (due davanti e due dietro). Quelli davanti sono divisi in tre fasce sovrapposte, quelli dietro a due fasce;

Particolare di uno dei quattro fregi raffiguranti scene delle campagne partiche. Dal basso verso l'alto sono visibili due scene: l'attacco a Ctesifonte con macchine da guerra e la caduta della città; sopra, l'allocuzione finale dell'imperatore davanti a Ctesifonte. Questo pannello è il quarto, ed è visualizzabile ponendosi con il Tabularium alle spalle, guardando verso il Foro, sulla destra di chi ha così davanti a sè l'arco. A fianco della colonna visibile nella fotografia, si deve dunque immaginare collocato il fornice maggiore.

E' interessante notare che Settimio Severo inviò dall'Oriente pitture trionfali, destinate a illustrare le imprese dei generali vittoriosi. Occorre dunque forse pensare a tali pitture come modello di questi fregi, anche se è stato notato che il linguaggio scultoreo risulta assai vicino a quello della colonna aureliana.



La Curia Julia, vista attraverso le imponenti colonne del tempio
di Saturno, assieme all'arco di Settimio Severo.

Costruita  in sostituzione della Curia Hostilia che era andata bruciata in un incendio nell'80 a. C., fu terminata e inaugurata da Augusto il 28 agosto del 29 a. C.

Il suo aspetto attuale corrisponde all'ultimo rifacimento, effettuato da Diocleziano, in seguito all'incendio del 283 d. C.

E' alta m. 21, larga m. 18 e profonda m. 27; il pavimento marmoreo, in parte ricostruito con i marmi antichi, è quello di età dioclezianea, come anche la decorazione architettonica delle pareti.

Nel VII sec. fu trasformata in chiesa; a quel periodo risalgono infatti le pitture bizantine.

L'aula è suddivisa in tre settori longitudinali; quello di destra e quello di sinistra sono occupate da tre larghi e bassi gradini destinati a sostenere i seggi dei senatori (circa 300), in seguito utilizzati per il coro.

In questo spazio sono oggi esposti due grandi rilievi, noti come plutei o anaglifi di Traiano, rappresentanti scene del suo principato, tra cui una rappresentazione dell'annullamento pubblico dei debiti tramite il rogo dei registri e la politica degli alimenta. I due fregi sono stati ritrovati al centro del foro. Le scene rappresentate si svolgono nel foro, di cui  essi costituiscono una delle rare immagini antiche. E' visibile l'imperatore Traiano che siede su un podio davanti alla Basilica Julia, forse lo stesso a cui appartenevano i rilievi.
L'anaglifo di destra, fotografato dall'ingresso.

Le porte in bronzo sono copie delle originali, rimosse in epoca cristiana.


Le prime testimonianze di questa costruzione arrivano dallo storico Varrone, vissuto a Roma nel I secolo a.C., secondo il quale presso il Foro erano 12 statue dorate degli Dei Consentes, sei dee e sei dei, versione romana dei dodici dei greci.

Nel 1834 alle pendici del Campidoglio venne scoperto uno strano edificio, formato da otto ambienti in mattoni disposti su due lati ad angolo ottuso. Davanti ad essi vi erano i resti di un portico colonnato, che fu rialzato e restaurato nel 1858.

Il portico poggia su un rialzo nel quale si aprono sette taberne. E' probabile che in sei di questi ambienti fossero ospitate a coppie le statue delle dodici divinità. Infatti, l'iscrizione sull'architrave del portico ricorda che i simulacri degli Dei Consenti, insieme all'edificio che li conteneva, erano stati restaurati ad opera di Vettio Agorio Pretestato, praefectus urbi nel 367.

Le taberne, l'architrave e i capitelli, corinzi con la rappresentazione di trofei, appartangono tuttavia alla fase precedente, probabilmente Flavia.

Il portico degli Dei Consenti è una delle ultime testimonianze della rinascita pagana del IV secolo avvenuta sotto Giuliano l'Apostata.


Il Lacus Curtius è un'area trapezoidale, a livello più basso del restante pavimento, che ha conservato infatti un tratto dell'antica pavimentazione cesariana e, dove questa manca, quella precedente di tufo. Sul lato orientale è un dodecagono in tufo friabile (cappellaccio) in mezzo al quale è un basamento circolare aperto al centro: probabilmente il sostegno di un pozzo. Più a ovest si notano due incassi rettangolari, probabili basamenti di altari. Sul monumento sono state tramandate molte leggende. Secondo una di queste si sarebbe trattato inizialmente di una voragine, nella quale sarebbe caduto, a cavallo, il capo sabino Mettius Curtius durante la guerra tra Romani e Sabini; secondo un'altra, sarebbe stato invece un Romano, Marco Curzio, che si sarebbe sacrificato in seguito a un oracolo. E' però più probabile la versione di Livio, secondo il quale si tratterebbe semplicemente del console del 445 a. C., C. Curtius, che, su ordine del Senato, avrebbe fatto recingere un luogo colpito dal fulmine. Al tempo di Augusto, il popolo usava gettare monete nel pozzo. Presso il Lacus Curtius fu ucciso nel 69 d. C. l'imperatore Galba.


Il tempio di Saturno è uno dei più antichi monumenti del foro, ai piedi del Capitolium, a sud-ovest dei rostra. E' stato iniziato in periodo regio ed inaugurato nel 498 a. C.: si tratta quindi del più antico tempio del periodo repubblicano dopo il tempio di Giove Capitolino. E' stato, nel corso della storia, sottoposto a numerosi restauri: fu interamente ricostruito a partire dal 42 a. C. dal praefectus urbis Munazio Planco, ed in seguito, dopo l'incendio di Carino nel 283 d. C. Probabilmente a questo restauro appartiene quanto resta dell'elevato, delle colonne e del frontone principale, in gran parte costruite con materiale di recupero. L'iscrizione, tutt'oggi visibile, ricorda il restauro dopo un incendio:

Senatus populusque romanus incendio consumptum restituit.
Il Senato e il popolo romano ricostruirono poiché distrutto da un incendio.

Alla ricostruzione di Munazio Planco appartiene il grandioso podio, rivestito di travertino.
Il 17 dicembre, giorno di dedica del tempio, ricorreva a Roma la festa dei Saturnalia, in cui ogni regola sociale era abbattuta, e molte licenze tollerate, in ricordo dell'età dell'oro e del mitico regno di Saturno.


L'Atrium Vestae era uno dei più antichi ed importanti santuari di Roma, costituito dalla Casa delle Vestali e dal tempio di Vesta, ed idealmente collegato con la Regia, abitazione antichissima del re, l'atrium publicum (abitazione del pontifex maximus) e quella del rex sacrorum. Nella foto sopra è raffigurato il tempio di Vesta, a pianta circolare, che nel suo aspetto attuale corrisponde all'ultimo restauro, eseguito a cura della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna, dopo l'incendio del 191 d. C.  Esso è costituito da un podio in opera cementizia, rivestito di marmo al quale si addossavano le basi che sostenevano la peristasi delle colonne corinzie. All'interno della cella, anch'essa circolare, era continuamente acceso il fuoco sacro, mentre il centro del tetto conico doveva essere aperto per permettere la fuoriuscita del fumo. Un problema complesso è costituito dall'identificazione del penus Vestae, il sancta sanctorum, proibito alla vista di tutti tranne le Vestali, dove erano conservati gli oggetti, pegno dell'impero, che Enea avrebbe trasportato da Troia secondo la leggenda. Il penus è forse identificabile con una cavità trapezoidale alla quale si poteva accedere solo dalla cella. A est del tempio si apre l'ingresso della Casa delle Vestali e sulla sua destra vi è un'edicola con un'iscrizione sul fregio che annuncia come essa sia stata costruita con denaro pubblico per decreto del Senato. I bolli laterizi permettono di attribuirla ad età adrianea. Da qui si penetra all'interno del cortile centrale della casa. Intorno al grande cortile porticato si dispongono gli ambienti della grande casa, in origine certamente su due piani. Augusto, divenuto pontifex maximus nel 12 a. C., trasferì nella sua casa del  Palatino la sede del sacerdozio e donò quindi alle Vestali l'antica abitazione del pontefice, l'Atrium Publicum, che venne definitivamente inglobato nell'Atrium Vestae. Dopo la fase neroniana si assiste a un totale rifacimento, databile al periodo di traiano, e ad un successivo restauro attribuibile a Settimio Severo. La casa dopo l'abolizione ufficiale dei culti pagani, fu abbandonata dalle ultime Vestali, e in parte rioccupata dai funzionari della corte imperiale prima, e della corte papale poi. Il centro dell'edificio è costituito da un vasto cortile rettangolare circondato in origine da un portico colonnato a due piani. Al di sotto del portico si disponevano le statue di numerose Vestali massime, ma attualmente la loro collocazione è del tutto casuale, dal momento che si ingnora quella originale. Le iscrizioni appartengono tutte all'ultima fase dell'edificio, a partire dall'epoca di Settimio Severo.Il lato meglio conservato è quello a sud; le stanze di questo lato si aprono su un lungo corridoio: la prima di esse è un forno, poi un mulino e probabilmente la cucina. Al piano superiore vi erano le stanze delle sacerdotesse e numerosi bagni, dotati di impianti di riscaldamento. Gli ambienti del lato nord sono in pessimo stato di conservazione e non è possibile alcuna identificazione.

Purtroppo non ci è stato possibile visitare la casa delle Vestali perchè oggi la sovrintendenza archeologica ha recintato il monumento per evitare che venisse danneggiato da comportamenti poco adeguati dei turisti.


Si tratta di un arco a un solo fornice con quattro semicolonne composite per lato. E' largo m. 13.5, alto m. 15.4, profondo m. 4.75. Nelle chiavi di volta vi sono figure di Roma e del genio del popolo romano, mentre sopra l'archivolto sono inserite Vittorie volanti su globi, con stendardi. Il piccolo fregio sovrastante (superstite solo al centro del lato orientale) rappresentava il trionfo di Vespasiano e Tito sui Giudei, nel 71 d. C., che l'arco era destinato a commemorare. Due episodi di questo trionfo sono raffigurati su due grandi pannelli a rilievo, all'interno dell'arco. Quello a sud rappresenta il corteo nell'atto di traversare la porta Trionfale, cioè l'inizio della cerimonia. La porta, sormontata da due quadrighe, è sulla destra; i portatori dei fercula (le portantine) che sostengono la preda, sfilano da sinistra a destra. Gli oggetti trasportati sono le trombe d'argento e il candelabro a sette braccia (di cui troviamo qui la più antica riproduzione) tolti al tempio di Gerusalemme. Sul lato nord vi è invece l'episodio centrale del trionfo: Tito avanza sulla quadriga preceduto dai littori, i portatori dei fasci, che si dispongono sul fondo, variamente inclinati. La dea Roma in persona tiene per il morso i cavalli, mentre la Vittoria, stando sul carro, incorona l'imperatore. Seguono le figure allegoriche del popolo e del Senato romano. Al centro della volta, ricoperta da ricchi cassettoni, Tito è di nuovo rappresentato a cavalcioni su di un'aquila, che lo sta trasportando verso il cielo: anche questa rappresentazione si ricollega con l'apoteosi e la divinizzazione, tributata all'imperatore dopo la morte. Nell' attico vi è un'iscrizione della quale diamo di seguito il testo e la traduzione:

Senatus populusque romanus divo Tito divi Vespasiani f. Vespasiano Augusto
Il Senato e il popolo romano al divino Tito, figlio del divo Vespasiano, egli stesso Vespasiano Augusto.

Proprio dall'iscrizione si è potuta evincere la data di costruzione dell'arco, necessariamente successiva all'81 d. C., data della morte di Tito, dal momento che un imperatore diventava divo solo dopo la morte; probabilmente l'arco fu quindi fatto costruire da Domiziano in onore di Tito. L'arco è giunto fino a noi poichè durante il Medioevo venne inglobato nella fortificazione della residenza privata appartenente alla famiglia dei Frangipane.
Il lato che si affaccia sulla via Sacra reca un'iscrizione moderna, dovuta al Papa Pio VII:


L'iscrizione del papa Pio VII che testimonia il restauro ottocentesco dell'arco.
INSIGNE RELIGIONIS ATQUE ARTIS MONUMENTUM /
VETUSTATE FATISCENS /
PIUS SEPTIMUS PONTIFEX MAX /
NOVIS OPERIBUS PRISCUM EXEMPLAR IMITANTIBUS /
FULCIRI SERVARIQUE IUSSIT /
ANNO SACRI PRINCIPATUS EIUS XXIIII

Trad.: "Questo insigne monumento d'arte e devozione, fatiscente per l'antichità, il Pontefice Massimo Pio VII ordinò che fosse rinforzato e conservato con opere nuove che imitassero il vecchio modello, nell'anno ventiquattresimo del suo sacro principato", ovverosia nel 1824.


Il grande tempio ancora in piedi, a nord della Regia, entro cui si è insediata la chiesa di San Lorenzo in Miranda, che ne ha permesso la conservazione fino ai giorni nostri, è facilmente identificabile dalla grande iscrizione sull'architrave: Divo Antonino et / Divae Faustinae ex S(enatus) c(onsulto). Il tempio fu eretto nel 141 d. C. da Antonino Pio e dedicato alla moglie Faustina, morta in quell'anno e divinizzata. La prima riga dell'iscrizione fu aggiunta solo dopo la morte dell'imperatore, quando il tempio fu dedicato anche a lui. Il tempio sorge su un grande podio, preceduto da una scalinata (ricostruita modernamente in mattoni). Al centro di essa sono i resti in laterizio dell'antico altare. Sei grandi colonne di cipollino (marmo proveniente dall'Eubea) alte 17 metri, con capitelli corinzi di marmo bianco, formano la facciata, seguite da altre due per lato. La cella è costruita in opera quadrata di peperino; sui due lati maggiori corre un fregio marmoreo, con la rappresentazione di grifoni affrontati araldicamente a motivi vegetali, opera classicistica, tipica dell'età antonina. La cella in origine era rivestita di marmo. Le statue disposte sul podio, oltre le colonne, appartenevano forse al tempio. Si noteranno le scanalature oblique che solcano la parte alta delle colonne: esse erano destinate a trattenere le corde, a mezzo delle quali si tentò di far crollare l'edificio per recuperarne i materiali: ma le colonne, monolitiche, dovettero presentare una resistenza superiore al previsto. Su una di esse (la centrale a sinistra) sono graffite immagini (Ercole e il leone Nemeo, ecc.) che riproducono forse statue da qui visibili.