A cura di Matteo Fumagalli e Irene Senna

 

Vita
Pitagora nacque intorno al 570 a.C. a Samo, un’isola del Dodecanneso nella Ionia. Compì lunghi viaggi in Egitto, in Asia Minore, a Babilonia, e forse anche in India, durante i quali si documentò su materie quali la matematica e l’astronomia e venne a contatto con le dottrine religiose degli Egizi, dei Persiani, dei Caldei, degli Ebrei e degli Indiani. All’età di circa 40 anni si stabilì a Crotone, in Magna Grecia, per fuggire dalla


Tempio di Hera, Samo

tirannia di Policrate, dove fondò una comunità di tipo orfico, con basi matematiche e filosofiche. I pitagorici conquistarono il favore dell’aristocrazia locale, in quanto sostenitori di un governo oligarchico non solo a Crotone, ma anche a Sibari, Agrigento, Reggio. In occasione di una sommossa popolare, i democratici, capeggiati Cilona, un ricco cittadino escluso dalla comunità, incendiarono la casa di Milone, dove erano riuniti i maggiori esponenti della setta. Pitagora scampò all’incendio e fuggì dapprima a Locri, e di qui a Metaponto dove morì verso il 490 a.C.

Pensiero
In quanto setta segreta e comunitaria non è facile individuare quali siano state le scoperte effettive di Pitagora e quali quelle dei suoi discepoli, poiché in antichità si era soliti attribuire tutto il merito al Maestro. Punto focale della società pitagorica era il considerare gli studi filosofici e matematici fondamenti della vita morale di ciascuno. Si suppone infatti che Pitagora coniò i termini Filosofia (amore della saggezza) e Matematica (ciò che si impara) per descrivere la propria attività intellettuale. Mentre per gli Egizi e i Mesopotamici la matematica era legata a problemi di tipo pratico, come la costruzione delle piramidi, per i Pitagorici essa appariva legata all’amore per la scienza e poneva le basi di una scienza astratta e puramente intellettuale. Inoltre la comunità pitagorica considerava la matematica parte essenziale dei loro riti religiosi in quanto l’avvicinarsi ad essa portava alla purificazione dell’anima. L’importanza dei numeri e della matematica si trova anche nel motto della scuola pitagorica "Tutto è numero", motto legato alla cultura mesopotamica, che aveva assegnato misure numeriche a tutte le cose; il teorema stesso, che viene ancora associato al nome di Pitagora molto probabilmente aveva origini babilonesi, anche se la dimostrazione sembra risalire ai pitagorici. Un tempo si era convinti che gran parte del contenuto dei primi due libri degli Elementi fosse dovuta ai pitagorici. Questo era un manuale introduttivo di Euclide di Alessandria diviso in tredici libri che abbracciava tutta la matematica elementare, l’aritmetica (teoria dei numeri), la geometria e l’algebra (non quella moderna simbolica, ma un equivalente in termine geometrici). Questa convinzione porterebbe a pensare che la matematica avesse avuto un grande sviluppo dopo Talete e Pitagora raggiungendo risultati di alto livello. Seri dubbi sono stati posti recentemente da parte di studiosi che hanno evidenziato il livello primitivo di alcuni concetti dell’aritmetica pitagorica. Deduciamo quindi che i pitagorici, nuovi arrivati sulla scena del Mediterraneo, si sarebbero impadroniti del materiale ereditato dai loro vicini, Egizi e Mesopotamici, e avrebbero poi fatto rapidamente nuove conquiste, stabilendo nel frattempo la struttura essenzialmente deduttiva dei loro teoremi. I numeri, gli elementi più semplici della matematica, presentano molte analogie con ciò che esiste e avviene nel mondo. Da qui derivano due rappresentazioni del rapporto fra i numeri e le cose che esistono: da una parte i numeri sono per loro ciò da cui le cose derivano e a cui ritornano, dall’altra sono i modelli che le cose imitano. In base a una tendenza religiosa assai antica ai numeri veniva attribuito un valore sacro e una virtù misteriosa, ma Pitagora dà una spiegazione matematica delle cose osservando che la qualità e i rapporti degli accordi musicali sono costituiti da numeri. Il misticismo del numero però non nacque con i pitagorici: il numero sette, per esempio, godeva di una posizione privilegiata di speciale reverenza, presumibilmente in considerazione delle sette stelle vaganti o pianeti da cui deriva la settimana e i nomi dei giorni di questa. I pitagorici non furono gli unici a pensare che i numeri dispari avessero attributi maschili e i numeri pari femminili, con la conseguente convinzione che "v’è divinità nei numeri dispari". Parecchie civiltà primitive condividevano diversi aspetti della numerologia, ma i pitagorici portarono all’estremo il culto del numero, basando su di esso la loro filosofia e il loro modo di vivere. Il numero uno è il generatore dei numeri ed è il numero della ragione; il numero due è il primo numero pari o femminile, il numero dell’opinione; tre è il primo vero numero maschile, il numero dell’armonia, essendo composto di unità e diversità; quattro è il numero della giustizia o del castigo, e indica il far quadrare i conti; cinque è il numero del matrimonio, l’unione del primo vero numero maschile con il primo numero femminile; e sei è il numero della creazione. Ciascun numero possedeva a sua volta attributi suoi particolari. Il più sacro di tutti era il numero dieci, o tetractys, poiché esso rappresentava il numero dell’universo; infatti conteneva la somma di tutte le dimensioni geometriche possibili. I numeri sono concepiti in maniera spaziale: sono figure e grandezze geometriche: l’uno, è un punto generatore delle dimensioni, due punti determinano una linea a una dimensione, tre punti (non allineati) determinano un triangolo con un’area a due dimensioni, e quattro punti (non giacenti nello stesso piano) determinano un tetraedro con un volume a tre dimensioni: la somma dei numeri rappresentanti tutte le dimensioni è pertanto il venerato numero dieci, quindi la venerazione di questo numero non deriva dall’ anatomia della mano o del piede, come di solito accadeva, ma dall’ astrazione della matematica.