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Il Jainismo è un movimento religioso indiano vivo dal V secolo
a.C., epoca in cui si è organizzato per reazione contro il Brahmanesimo per impulso di
Mahavira, lultimo dei 24 Jina (Jaina "vincitori" delle trasmigrazioni).
Linsegnamento di questi maestri onniscienti, successivamente affidato a numerosi
trattati, mira allannichilimento del karman e alla salvezza individuale.
La conoscenza delle Scritture, la fede nella dottrina, unetica di ascesi e di
non-violenza (ahimsa), ne costituiscono i capisaldi. Due vie sono offerte al
credente, quella del religioso, errante, mendicante, insegnante e quella del pio laico.
I Jaina formano una minoranza religiosa ben integrata nelle
società indiana, influente soprattutto nellOvest della penisola (Mahrastra,
Gujarat, Rajasthan), ove detiene spesso posti chiave nella vita economica e intellettuale
e nel Sud (Karnatak); malgrado il loro scarso numero (3.206.038, aderenti, cioè lo 0,48%
della popolazione indiana nel 1981), i Jaina non costituiscono un gruppo monolitico. Un
solco profondo divide, fin dal I secolo dellera cristiana, gli svetambara, i
cui monaci vestono di bianco, e i digambara i cui monaci ferventi vanno nudi. Le
due Chiese non hanno sostanziali divergenze di vedute: ma non riconoscono le stesse
Scritture. Gli svetambara ammettono leguaglianza dei sessi di fronte alla
liberazione; i digambara la respingono e si caratterizzano per maggiore rigorismo.
Movimenti di riforma, di dissidenza e di reazione hanno determinato il sorgere di parecchi
gruppi negli uni e negli altri. Le differenze riguardano particolarmente il numero dei
testi considerati canonici, gli
accessori dei monaci, la necessità di adattare le antiche prescrizioni alla vita moderna,
lorganizzazione delle comunità monastiche, la forma del culto laico. Così, una
opposizione significativa si è sviluppata nel gruppo degli svetambara tra i murtpujak,
idolatri che incarnano la tendenza ritualista integralista, e i non-idolatri,
rappresentati dagli sthanakvasin e il potente gruppo dissidente dei terapanthin,
organizzato attorno ad un capo religioso. La distinzione tra i bisapanthin digambara
riguarda le sostanze impiegate nel culto: fiori, frutti e sandalo sono proibiti tra questi
ultimi. I Jaina non credono in una rivelazione divina. La fonte ultima
dellinsegnamento sono i Jina, esseri umani che, raggiunta progressivamente con
lascesi la perfezione e lonniscienza, hanno predicato la via della salvezza.
Dapprima solo orale, la tradizione è stata trasmessa dalle generazioni di discepoli che
hanno seguito Mahavira, organizzatore storico del movimento (V secolo a. C.). E
soltanto dopo parecchi concili, dopo aver subito perdite e rimaneggiamenti, che la
tradizione è stata fissata per iscritto e largamente diffusa. La versione del Canone che
oggi leggiamo risale al V secolo a.C. e ci è nota tramite innumerevoli manoscritti su
carta (XIV secolo) e grazie a interessanti ma più rari manoscritti su palma (XI-XII
secolo).
La lingua del Canone è Ardhamagadhi, una varietà di pracrito antico che i Jaina
considerano sacro. Il Canone è costituito da un complesso di testi di epoche, stili e
contenuti diversi, in versi o prosa. Lesame filologico permette di stabilire una
cronologia relativa, e gli studi metrici sono riusciti, con successo, a scoprire degli
strati testuali (nucleo/amplificazioni), contribuendo così a meglio districare la
successione delle idee nei trattati. Lo studio di alcune varianti mostra che il ruolo
unificatore dei concili non è stata assoluta. Lo stile antico è altamente formulare
(stanze e moduli narrativi o descrittivi che si ripetono). Il corpus canonico
tratta di cosmologia, etica, filosofia, riassume molte leggende agiografiche o critica le
dottrine eterodosse. E tradizionalmente diviso in sei gruppi: i Membri, i Membri
ausiliari, le Miscellanee, i Testi di diritto monastico, due esposizioni metodologiche, i
Testi di base; questi ultimi vengono insegnati fin dal noviziato. Nessuna di queste
categorie, salvo forse la quarta, è esclusa dallapprendistato: linsegnamento
dei Jina è tradizionalmente "aperto" accessibile a tutti, allopposto
dellesoterismo brahmanico. Gli scritti canonici hanno dato luogo ad una letteratura
esegetica molto elaborata, in cui si fa grande impiego di procedimenti scolastici. In
seguito, essa prende la forma di "riassunti" versificati - canovacci per la
memorizzazione e spiegazione orale -, di commentari discorsivi in pracrito, di spiegazioni
redatte in sanscrito (VII-VIII secolo) e poi nelle lingue neo-indiane, tanto da trovarsi
di fronte ad una tradizione scritta ininterrotta.
Il rinnovamento delle idee avviene quasi impercettibilmente, ma sussiste: così, i grandi maestri del Medio Evo (XI-XII secolo), hanno largamente contribuito a valorizzare la nozione di non-violenza, ad esempio censurando e purgando i racconti precedenti, più crudi. Oggi la predicazione trae argomenti dal Canone, ma molto frequentemente il fedele vi accede in modo indiretto, attraverso traduzioni e adattamenti. Tuttavia, il Canone non raccoglie lunanimità. La sua autenticità viene rifiutata in blocco dai digambara, che gli sostituiscono degli scritti "procanonici" dovuti ad alcuni vecchi maestri dellIndia meridionale. Essi sono redatti in una varietà del pracrito un po diversa da quella del Canone. Quanto agli svetambara, non tutti riconoscono come canonici lo stesso numero di trattati: gli sthanakvasin ne accettano solo 32 su 45 e considerano apocrifi gli altri. Vi è inoltre unopera fondamentale che tutti rivendicano, sulla base di alcune varianti, tanto che si è potuto parlare di "canonizzazione fuori del Canone". Primo trattato Jaina in sanscrito, contiene, nello stile conciso del sutra, una summa sistematica della dottrina. In senso più ampio, nessun campo delle lettere è rimasto estraneo ai Jaina il cui patrimonio è immenso. Il libro ha una parte di primo piano nella vita religiosa: ispira i sermoni dei maestri, viene offerto nel tempio e celebrato nel corso di una festa annuale, come fonte di conoscenza. Sponsorizzare copisti o artisti è uno dei mezzi di cui un laico dispone per acquisire meriti, e le biblioteche Jaina sono celebri per i loro tesori. Oggi, le fondazioni sovvenzionate da ricchi fedeli si fanno carico della pubblicazione dei testi.
Raffigurazione di un profeta jainista e "preparatore del guado". |
MAESTRI RELIGIOSI, MONACI E LAICI
Ma rigore non è sinonimo di inumanità, e tocca ai maestri di adattare le austerità
ai loro adepti. Così alcune espiazioni permettono a chi contravviene alle regole di
riparare; esse sono stabilite dal maestro in funzione dello statuto del colpevole, della
sua salute e del suo grado di progresso spirituale. Lelenco tradizionale ne
comprende dieci, tra le quali lo studio, la confessione e il pentimento. La confessione
dà anche luogo ad una cerimonia pubblica annuale (il paryusana), in cui tutti,
monaci e laici, sollecitano da tutti il perdono per i loro errori e fanno propositi per
lavvenire. La vita dei laici è anchessa regolata in ogni particolare da un
insieme di dodici voti, di cui i primi cinque (detti minori) sono il riflesso dei
"grandi voti" (supra) mediante i necessari adattamenti: il quarto esige
il rispetto della fedeltà coniugale e il quinto la limitazione dei beni posseduti. Ciò
non di meno, la ricchezza, che spesso non manca ai Jaina, non è disprezzata, purché non
dia luogo a tesaurizzazione, ma, al contrario, sia investita per la propagazione della
fede, nelle opere e nelle costruzioni o restauro di templi, nella creazione di fondazioni,
ecc. La carità e la virtù cardinale del laico pio e il dono al monaco vengono
continuamente esaltati. Daltra parte, la vita del credente ideale è costellata di
proibizioni di ogni genere: soprattutto alimentari e professionali.
Le manifestazioni della vita religiosa possono differire nei dettagli in funzione della appartenenza a questa o a quella setta, ma per tutti i fedeli, i Jina ne sono al centro; in esse, il sacrificio di tipo brahmanico, la cui critica severa è in parte allorigine del jainismo, e gli dei, non hanno alcun posto. Il credo salvifico, conosciuto da tutti gli adepti, dei quali colma lanimo di serenità, può essere così riassunto: "Omaggio ai Jina, omaggio alle anime perfette, omaggio ai maestri, omaggio ai precettori, omaggio a tutti i religiosi jaina del mondo - ecco il quintuplice omaggio, distruttore di tutti i peccati, beneaugurante tra i beneauguranti". I non idolatri fra i Jaina pongono laccento sul "culto interiore" e la meditazione. Gli idolatri, invece, si recano al tempio indossando un vestito bianco apposito per il culto, provvisti di grani di riso, di pasta di sandalo, e, se necessario, di fiori che offrono alle statue dei Jina, preventivamente bagnate. Queste ultime sono uno dei molteplici supporti della meditazione: i fedeli le venerano in quattro rappresentazioni materiali di anime liberate e perfette che ispirano la loro condotta. I credenti, tuttavia non dimenticano che prima di giungere alla salvezza i Jina sono stati degli esseri umani, di cui la tradizione sottolinea il carattere eccezionale, riferendo le loro gesta e miracoli. Si commemorano dunque i "cinque avvenimenti augurali" che ritmano la carriera di ogni Jina: lincarnazione in una matrice umana, lultima venuta al mondo, lordinazione, il Risveglio e la Liberazione. Si organizzano pellegrinaggi ai luoghi che si suppone esser stati santificati dalla loro presenza: le città templari
di Satrunjaya, di Girnar, di Monte Abu sono considerate tra i gioielli della architettura indiana e se ne cantano le lodi. Le prediche quotidiane dei religiosi contribuiscono a trasmettere e mantenere vivi principi e leggende della dottrina. La predicazione sfrutta un ricco repertorio di storie pie e presenta al fedele modelli accessibili, in cui ha una certa parte il meraviglioso. Tutte queste attività collettive contribuiscono a rinsaldare lidentità comunitaria e ad educare le giovani generazioni. Il maestro religioso è talvolta un direttore di coscienza o un consigliere molto ascoltato. La sua forte personalità può suscitare vocazioni e portare il fedele a sollecitare lordinazione (diksa). Questo rito di passaggio, insieme doloroso e benedetto, è sempre occasione di una festa sontuosa cui partecipa tutta la comunità. Il novizio viene affidato ad un maestro, che gli rimette le insegne della sua nuova vita e gli dà un nuovo nome. Un gesto simbolizza questa rottura con la vita secolare: lo strappamento dei capelli, a mano, effettuato in cinque volte. Il monaco e il laico possiedono i "sei doveri" quotidiani (avasyaka), che condensano lessenziale dellesperienza religiosa. Questi sono: lobbligo di equanimità, che insiste sul progresso spirituale dellindividuo, che cerca di trionfare sulle sue passioni; linvocazione ai ventiquattro Jina evidenzia limportanza della preghiera e dellinno come manifestazione esteriore del fervore religioso; lomaggio ai maestri è il fondamento del jainismo; il ripiegarsi su se stessi consente di formulare un bilancio delle manchevolezze del passato, e il raccoglimento è lesercizio spirituale per eccellenza; le astensioni volontarie dagli alimenti e dalle bevande rammentano limportanza del digiuno come pratica ascetica.
PRINCIPI ETICI E PRESCRIZIONIPer i Jaina, come per gli altri Indiani, le molteplici forme dellesperienza religiosa tendono a un solo fine: la liberazione del karman dal mondo delle trasmigrazioni. Ora la salvezza è, secondo il jainismo, unoperazione individuale di cui ciascuno è responsabile; vi si accede non per mezzo di una qualunque grazia divina, ma seguendo lesempio dei maestri passati, i Jina, o con laiuto di maestri contemporanei che indicano la via da seguire.
Letica vi ha un grande posto: essa si fonda su una complessa
analisi del mondo e dei principi che lo reggono; la struttura ne è ben definita.
Circondato dal non-mondo, luniverso è diviso in tre parti principali: il mondo
inferiore, quello dei dannati; il mondo superiore, soggiorno di parecchie categorie di
divinità; e il mondo mediano. Questultimo è importante: è qui che si trovano le
terre ove regna il tempo, ove può operare la legge del karman, ove, dunque, si
può giungere alla liberazione (moksa, siddhi), che procura la felicità suprema.
Il tempo è ciclico: la ruota del tempo si divide in una metà discendente ed una metà
ascendente, che si susseguono ininterrottamente: il jainismo non ammette la nozione di
dissoluzione totale del mondo; crede alla perennità del progresso, di modo che a poco a
poco si è affermata lidea che anche lavvenire vedrà la nascita di
ventiquattro Jina.
Nella tavola dei princìpi dominano le opposizioni vivo non-vivo (jiva ajiva),
servitù libertà: il jiva, monade spirituale libera per essenza, è prigioniero
della sua materia, fintanto che non ha contenuto o espulso il karman che
limpaccia.
Per altro, esseri viventi diversamente sviluppati esistono nel mondo umano, nel mondo animale e anche nel mondo vegetale: e questa vita onnipresente devessere rispettata. Così si spiega il principio di non violenza (ahimsa) che ha dato origine ad alcune usanze che stupiscono più di un osservatore; uno stretto vegetarianismo che esclude anche il consumo di piante bulbose; listituzione di ospedali per animali; lastensione da ogni cibo dopo il tramonto del sole; lutilizzo, da parte dei religiosi di alcune sette, di un fazzoletto sulla bocca, di un piumino per pulire il suolo su cui ci si vuol sedere (insetti e animaletti hanno anchessi diritto alla vita).
Lo stesso spirito regola linsieme delle prescrizioni, ma le loro modalità differiscono a seconda che si tratti di un religioso o di un laico. La vita monacale, interamente dedicata allo studio, allinsegnamento e allascesi, è ritenuta superiore per natura, ma è uno dei punti di forza del jainismo, e probabilmente uno dei motivi della sua persistenza, il non aver mai trascurato luomo secolare e laver compreso ciò che può avere di positivo la stretta solidarietà esistente tra le due parti della comunità.
I religiosi vivono in congregazioni; la vita solitaria, difficile, viene di solito riprovata, solo i più saldamente convinti possono dispensarsi dalle costrizioni e dalle stimolazioni del gruppo. Il jainismo non ha mai escluso le monache; attualmente, queste sono più numerose che i monaci nella maggior parte delle sette, ma non sempre beneficiano della stessa istruzione dei loro confratelli e non sempre hanno il diritto di pregare; esse sono abitualmente subordinate ai monaci. Tra i digambara, per i quali la nudità è una condizione della liberazione, le monache hanno evidentemente uno status inferiore.
Oggi, solo la setta dei terapanthin svetambara è dotata di una organizzazione centralizzata con un capo religioso al vertice della gerarchia.
Nelle altre sette lorganizzazione è tradizionale: i religiosi sono suddivisi in piccoli gruppi a capo dei quali vi è un maestro che provvede alla salute fisica e spirituale del suo gruppo. Le comunità jaina sono sedentarie nei quattro mesi del monsone (da Giugno a Settembre); il resto dellanno percorrono le strade, dato che non sono autorizzate a risiedere nello stesso posto che per tre o quattro giorni. "Cinque grandi voti", che rammentano prescrizioni analoghe nellinduismo e nel buddhismo, definiscono le proibizioni e gestiscono la vita dei religiosi: non recare offesa agli esseri viventi, non mentire, non prendere ciò che non è stato dato, non mancare allimpegno di castità, non possedere nulla. La povertà assoluta è dunque di regola. Il monaco vive in mendicità; anche gli oggetti che porta (vesti e ciotola per le elemosine, alloccorrenza piumino e bastone), non gli appartengono personalmente. Si sottolinea la vigilanza che deve accompagnare tutti gli atti della vita: richiesta di elemosine, le cui regole sono rigorosamente fissate, deambulazione, parole, ecc. Lascesi, in tutte le sue forme, è altamente stimata: il monaco deve anche saper sopportare, senza battere ciglio, una serie di ventidue "torture" (freddo, caldo, punture di insetti, elemosina insufficiente o cattiva...). I digiuni costituiscono lascesi per eccellenza: sono di durata ed entità variabili, ma sempre costituiscono un progresso spirituale; e, ancora oggi, la morte per digiuno, preceduta da una lunga preparazione, è il compimento della carriera del saggio. Gli esercizi spirituali includono, soprattutto, le posture ascetiche, e, fra esse, il kayotsarga, immortalato dalla colossale statua che si erge a Sravana Belgola: diritto, immobile, lasceta si raccoglie e trattiene il respiro, indifferente alle liane e agli insetti che attaccano il suo corpo da ogni parte.
IL CREDO JAINA
Il jaina crede che:
Ci sono cinque cause che hanno una stretta connessione con tutte le azioni che accadono; senza una causa nessuna azione può avere luogo. Samavay è il nome dato alla connessione tra lazione e la causa; in accordo con il sistema filosofico jainista ci sono cinque samavays (o gruppi di cause):
che sono responsabili di tutti gli eventi (cambiamenti - positivi o negativi) nelluniverso. Solo dallazione di questi cinque samavays ha luogo ogni fatto nelluniverso. Qualcuno dà importanza a uno solo di questi gruppi e ignora gli altri. La filosofia jainista, per la sua molteplicità di punti di vista, rifiuta una visione assoluta unilaterale o un modo unilaterale di vedere le cose. La filosofia jainista rivela limportanza di tutti i samavays, perché esiste una forte importanza della molteplicità dei punti di vista; e considera questi cinque samavays come la causa di ogni azione e reazione. Senza di essi nulla può accadere.
Qual è il più importante di questi cinque? Qual è quello che ha più effetto? La controversia riguardante queste domande non è un problema di ora; ma lo è stato per secoli. Innumerevoli argomenti e discussioni sono state fatte pro e contro queste asserzioni. Chi sostiene una tesi non è daccordo con le altre. Ma la filosofia jainista non considera questi cinque da un singolo punto di vista e nemmeno considera una sola di queste come quella vera; considera valida e giusta la loro influenza collettiva. La verità nella sua interezza può essere compresa solo se tutti e cinque sono considerati come esistenti. La filosofia jainista mette anche più enfasi nel purushartha poiché è lunico che si può controllare. Il proprio sforzo può cambiare il karman di ognuno, può sradicare il karman. Se si continua ad usare il proprio sforzo per perdere il karman il nostro destino può migliorare, può prendere una natura più desiderabile e ciò può accadere più presto a seconda dellintensità della sradicazione del karman. Si deve capire che ci vogliono cinque cause per far sì che una azione accada.
BIBLIOGRAFIA:
LAVORO DEGLI STUDENTI:
Davide Bruni (IVD)
Andrea Cannizzaro (IVD)
Giorgio Lamacchia (IVD)
Ivan Nussi (IVD)