Torna a indice IIIBL'EUROPA DI FEDERICO CHABOD

 

La realtà "Europa Unita" è oggi presente e tangibile come non mai.
Temo che, purtroppo, nonostante la cospicua mole d'informazioni, la maggior parte delle persone che sono e saranno le più interessate da questo avvenimento sia, a causa da un lato di una sensibilizzazione errata o parziale e dall'altro anche di scelte politiche a parer mio poco popolari, ostile o quantomeno indifferente al fenomeno "Europa Unita".

Secondo me, che guardo con entusiasmo al progetto di realizzare una più completa Unione Europea, giornali ed emittenti televisive hanno insistito eccessivamente sui risvolti economici della questione, che sono senza dubbio importanti, ma hanno quasi totalmente messo in ombra i possibili mutamenti socio-culturali, primo fra tutti l'acuirsi del fattore integrazione, la conseguenza che certamente sottintende tutte le altre.

C'è il rischio che, per timori infondati, ci si richiuda nel proprio Stato, dando nuovamente vita a pericolose forme di nazionalismo, come è successo non troppo tempo fa. A partire dagli inizi del nostro secolo, infatti, dopo che per diversi anni era venuto ad affermarsi il principio del cosmopolitismo, molti pensatori ed uomini politici percepirono una situazione di contrasti tra nazione ed Europa e la affrontarono in due diversi modi: o in senso conservatore, rifacendosi al principio dell'equilibrio politico, cioè rifiutando di accettare le nazioni, come fece Metternich, che fu il maggiore esponente di un europeismo di stampo prettamente politico e conservatore ("La società moderna ci mostra l'applicazione del principio della solidarietà e dell'equilibrio fra gli Stati. Il ristabilimento dei rapporti internazionali sulla base della reciprocità, costituisce l'essenza della politica" ); o in senso progressista, esaltando la nazione vista però come mezzo per il compimento del fine supremo, cioè l'Umanità (ogni popolo ha avuto da Dio una sua missione "l'insieme di tutte quelle missioni presenterà un giorno la patria di tutti, l'Umanità" ). Per Mazzini infatti "L'idea di missione è il mezzo per accordare vigoroso sviluppo delle singole individualità nazionali e aspirazioni ad una più ampia comunità civile" .

Successivamente il nazionalismo, che aveva preso le mosse da una legittima necessità di alcuni Stati, particolarmente svantaggiati politicamente, degenerò e venne a disintegrarsi dopo aver mostrato, negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, la sua inadeguatezza e negatività: svanì ogni senso di solidarietà trans-nazionale, tutti gli stati affrontarono la crisi economica degli anni '29-'39 instaurando piani nazionali incuranti delle possibili ripercussioni all'estero.

In seguito a questo mutamento avvenuto nella coscienza politica degli Europei, alla fine della II guerra mondiale si ripropose quella che fu un'esigenza antica che trovò nel nostro secolo la situazione più adatta per svilupparsi: l'Europeismo. L'opinione pubblica aveva un sentimento indistinto della necessità di una nuova forma di solidarietà e unione fra i popoli e una simile diffusione di simpatie europeiste si è verificato in quasi tutte le organizzazioni professionali, industriali, commerciali, agricole ed operaie. La CEE, nata fra il 1955 e il 1958, riuscì a realizzare in mondo sostanzioso quei fini che gli Stati si erano impegnati a raggiungere: l'unione doganale, regole comuni sulla concorrenza, l'organizzazione comunitaria dei mercati agricoli ed una notevole mobilità della mano d'opera attraverso le frontiere. Per comprendere come sia stato possibile giungere a tale risultato, bisogna ripercorrere la storia dell'idea d'Europa, fermandosi a mettere in luce i suoi progressi ma anche i suoi lati più oscuri.

Innanzitutto bisogna specificare che il concetto di Europa si è formato per contrapposizione, in quanto esisteva qualcosa che non era Europa: il fondamento polemico è stato essenziale già a partire dalle distinzioni operate dai Greci tra Europa ed Asia, sia per quanto riguarda i costumi, sia per quanto riguarda l'organizzazione politica (libertà opposta a dispotismo).

E' necessario però dire che l'antitesi tra Europa ed Asia, che resterà presente in tutto il pensiero medioevale, ha previsto anche, sia per i Greci sia per gli uomini dell'anno Mille, una netta separazione tra Europa fisica, denominazione estesa a tutte le terre possedute dagli occidentali, ed Europa politica, denominazione ristretta al solo nucleo diciamo centrale delle popolazioni occidentali.

Questa discrepanza di concetti che invece devono procedere strettamente legati, comincia ad essere superata grazie alla sostituzione del criterio discriminante tra Europa e non Europa, ad opera della cristianità medioevale diventa la religione: anche la contrapposizione tra territori cristiani, cioè Europa, e territori non cristiani, cioè non Europa, è limitativa in quanto il carattere "fisico" non corrisponde ancora a quello morale, ma essa costituisce un punto di passaggio necessario per giungere a quella che è stata la prima formulazione completa ed esauriente della visione politica dell'Europa, cioè quella operata dagli uomini del 1400, che ormai la consideravano un corps politique.

Ho affermato con sicurezza che l'epoca della cristianità medioevale è stata un anello molto importante della catena poiché l' "Ecclesia" abbracciava tutto, religione, politica ed anche cultura, tanto che, benché alcuni umanisti del 1400, fra i quali Enea Silvio Piccolomini ed Erasmo da Rotterdam vedessero l'Europa come l'insieme dei dotti, accomunati da affinità culturali o identità di costumi, l'europeo era ancora il cristiano.

Per quanto riguarda il subentrare del carattere puramente terreno e, in particolare, politico, bisogna dunque aspettare la fine del 1440 quando Machiavelli individuò una diversità "costituzionale" tra Europa ed Asia che dava origine a due forme di governo rimaste invariate nei secoli: quello tirannico e quello repubblicano che, grazie alla sua strutturale libertà, permetteva una produttiva gara fra i partiti e quindi una maggiore potenza dello stato ("...e' pricipati, de' quali si ha memoria, si trovano governati in due modi diversi: o per uno principe e tutti li altri servi...o per uno principe e per baroni... come el Turco e il re di Francia" ).

Questo pensiero ebbe di seguito una grande eco e anche un pieno sviluppo in quanto si accordava con la voglia di individualità libera dei vari stati europei: così nella "dottrina dell'equilibrio di Lorenzo il Magnifico, ove si richiedeva una molteplicità di Stati per impedire l'avvento di una monarchia universale, l'Europa è un Corps politique unitario anche se diviso in vari organismi statali.
Il tema della diversità, invece, si pose fortemente nel '500 quando, ormai, formatosi il tipo politico europeo, le grandi scoperte geografiche misero tutti di fronte al problema di civiltà profondamente differenti tra loro, inducendo dunque gli europei a delineare i propri caratteri in contrapposizione a quelli altrui, basandosi soprattutto su fattori culturali, politici e morali più che religiosi a causa della progressiva laicizzazione del pensiero.

A questo punto nacque una corrente polemica anti-europea e con essa il mito del buon selvaggio (Rousseau) ispirato dal desiderio di pace e dall'orrore delle guerre che imperversavano nel vecchio continente e che culminerà poi nel '700 dopo aver influenzato il vagheggiamento rousseauiano dello stato di natura e l'esaltazione del cannibale rispetto all'europeo da parte di Montaigne nei suoi "Essais" ("Da noi l'arte, da loro la natura; da noi l'invenzione, da loro la spontaneità: ora, l'arte è molto ma molto inferiore alla natura" ).

Ma non si deve credere che gli intellettuali che polemizzarono contro i loro Stati fossero anti-europei: essi esaltavano gli altri popoli finendo però per inneggiare all'Europa come fecero, ad es., Voltaire e Montesquieu. Nonostante ora finalmente vengano prese in considerazione varie civiltà portate ad esempio per la loro saggezza e per la loro pace (Cina) o per la loro filosofia e la loro morale (Egitto), proprio a conseguenza di questa contrapposizione in ogni scritto dell'epoca venivano tratteggiati gli usi e l'economia europea, caratterizzata da una sola pecca: il fanatismo religioso, come afferma Montesquieu, nelle "Lettres Persanes": da questo fanatismo "quello spirito di vertigine i cui progressi devono essere considerati come un'eclissi totale della ragione umana" .

Dunque, a partire dal '500 e poi per tutto il Sei-Settecento, ci furono uomini sensibile alla questione dell'altro, balzata in primo piano con le scoperte geografiche: uomini come Montaigne, Rousseau, Las Casas, Montesquieu, Voltaire, che nei rapporti tra l'Europa e le altre terre, abbandonarono il binomio superiorità-inferiorità, per adottare la categoria di "diversità", tanto è vero che Voltaire afferma che republique littéraire si costituisce "malgré les guerres et malgré les réligions différentes" .

La Storia dell'Europa unita proseguì imboccando una nuova via, dovuta forse proprio alla coscienza di quella crisi, che il vecchio continente stava attraversando, messa in luce dagli scritti polemici settecenteschi che tentavano di porvi rimedio: alla vigilia della Rivoluzione Francese, infatti, si cominciò a temere che l'universalità potesse soffocare l'individualità.
Fu in questo periodo che nacque il senso di nazionalità che conobbe il suo trionfo contemporaneamente al Romanticismo: fu una reazione alle tendenze universalizzanti , come l'assolutismo illuminato, che cercavano leggi valide per ogni governo e norme uguali per l'uomo saggio.

Le prime manifestazioni dell'idea di Nazione si ebbero in Svizzera nei primi decenni del Settecento per reagire all'influsso dello spirito francese.
Si assunse la storia della nazione come documento che legittima il suo stesso essere, e da questo atteggiamento nacque quel movimento di pensiero che nell'Ottocento studiò come si erano formati i caratteri tipici della civiltà europea, che ebbe nel Guizot uno dei suoi massimi esponenti.

Dunque alcuni svizzeri come Van Murolt e Giacomo Bodmer dettero importanza ai costumi, alle tradizioni e alla libertà, tutte istituzioni da difendere, su terreno politico e morale, dalla minaccia esterna, e su questa scia nacque nel 1727, la prima società di storia patria.
Il Bodmer, infatti, nel settimanale che fondò e diresse, i "Discours der Mahlern", descrive gli usi locali, fornisce notizie "sulle diverse specie di conversazioni, sui vestiti, sulle cerimonie, sui riti per distinguere il carattere della vostra nazione" .

L'individualità nazionale fu poi molto sentita in altri due Paesi, forse perché non politicamente uniti, cioè in Germania e in Italia, anche se in modo molto diverso: in Germania ci si basò sulla valutazione etnica: Herder sui caratteri fisici della propria nazione, Schlegel sulla purezza di costumi derivata dalla purezza del ceppo, mentre Fichte sul linguaggio puro derivante dal ceppo puro.

A causa di questi atteggiamenti il pensiero tedesco trasferì il concetto la nazione in fattori esteriori quali razza e territorio ed ebbe in nuce i comportamenti razzisti che esploderanno negli anni 30. I pensatori italiani, invece, si basavano sul fattore volontaristico: la nazionalità , per Mazzini, è pensiero comune, finalità comune, missione comune.

Sono convinta del fatto che un'informazione che fornisca come base dati storici e culturali e a cui faccia riscontro un cresciuto interesse da parte di noi tutti direttamente toccati dalla questione Europa, potrebbe determinare il percepire la realtà europea come propria e personale.

Anna Minardi

 

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