Ritorna a indiceDIRITTI UNIVERSALI E DIFFERENZE CULTURALI

 

Il problema del Chador
Il problema della mutilazioni sessuali
Alcuni interventi in classe sulle mutilazioni sessuali
Bibliografia

 

L'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata dall'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel dicembre del 1948, afferma che: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona".

Presupposto che esistono questi diritti fondamentali dell'uomo, una grave difficoltà per la loro applicazione si trova nel contrasto tra questi e le tradizioni di alcune culture.
È giusto intervenire in nome di questi diritti fondamentali contro le usanze di un'altra cultura o è più importante il rispetto delle diverse culture?

Secondo noi un individuo prima di essere appartenente a un popolo, a una religione, a una cultura, è innanzi tutto un uomo e come tale deve rispettare e vedersi rispettati questi diritti.
Abbiamo approfondito due casi in cui questo contrasto è piuttosto evidente e che inoltre creano anche grossi problemi nei paesi in cui, a causa dell'immigrazione proveniente da continenti diversi, si assiste allo scontro fra diverse culture.

 

Il problema del chador

Chador è il nome persiano del lungo velo che in Iran le donne musulmane portano per coprire il capo. Questo termine viene usato, in Occidente, per indicare genericamente ogni tipo di copertura del capo (e, a volte, di tutto il volto) in uso per le donne fra i seguaci della religione islamica. Non si tratta di un obbligo prescritto dal Corano ma fa parte della tradizione islamica. Nei paesi più ortodossi (Iran, Iraq, Arabia, Algeria, Emirati arabi) le donne sono obbligate ad indossarlo. Anche in Afghanistan il gruppo dei taliban, che ha conquistato il potere l'autunno passato, ha imposto alle donne l'uso del chador insieme ad altre restrizioni (alle donne è vietato di andare a lavorare e sono state chiuse le scuole femminili). Questo ha suscitato nei paesi occidentali molte polemiche e ci si chiede se sia giusto o meno che vengano fatte pressioni sull'Afghanistan per tutelare il diritto alla libertà che viene negato alle donne di quel paese.

Noi riteniamo che sia importante che la comunità internazionale cerchi di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, quindi anche il diritto alla libertà di scegliere. Però nel caso dell'Afghanistan la situazione politica non è ancora chiara e siamo consapevoli che "manifestazioni, cortei e sit-in non servono a niente quando non esiste un interlocutore in qualche modo raggiungibile dalla nostra protesta " (Miriam Mafai, Non faccio sit-in per Kabul, la Repubblica, 14-10-'96).

Il problema ci tocca più da vicino quando l'uso del velo da parte di donne immigrate si scontra con le regole vigenti nei paesi ospitanti. È il caso scoppiato nel novembre '89 in Francia, quando tre ragazze musulmane sono state espulse da una scuola perché indossavano il velo in classe.

La Francia è uno Stato laico che si basa sul principio che "c'è un solo diritto per tutti i cittadini e che le prescrizioni religiose vengono dopo e sono un fatto strettamente privato" ( Miriam Mafai, La guerra del chador, la Repubblica, 26-10-'89).
Al contrario nei paesi di provenienza delle tre ragazze la religione non è solo parte integrante della vita privata ma anche di quella pubblica, la quale è regolata sulle norme coraniche.

In questo caso, dunque, il dovere di obbedire alle leggi dello Stato francese si scontra con il diritto che lo Stato francese riconosce a tutti di praticare la propria religione. Il problema che in Francia sembra senza via d'uscita è stato affrontato in modo diverso dalla più pragmatica Inghilterra.
Per esempio alla Graveney School di Londra, che prevede come molte scuole inglesi che gli studenti indossino un'uniforme, le ragazze di religione musulmana possono indossare il chador purché abbia i colori della scuola. Lo stesso vale per il turbante dei ragazzi di religione sikh. Inoltre la mensa scolastica prevede differenti menù che tengono conto delle imposizioni alimentari delle diverse religioni.

In Italia un problema di questo tipo non è ancora sorto perché l'immigrazione è iniziata molto più tardi che in questi paesi.
Analizzando però la situazione francese abbiamo formulato alcune considerazioni :

  1. Per gli immigrati è forte l'esigenza di mantenere la propria identità culturale e di riuscire allo stesso tempo ad integrarsi nella società del paese ospitante. L'integrazione comporta inevitabilmente la rinuncia ad alcune tradizioni e consuetudini ma il mantenimento dell'identità culturale deve essere comunque possibile: come, per esempio, alla Graveney School dove alcune delle materie facoltative sono corsi di lingua e cultura dei paesi extraeuropei da cui provengono gli alunni. Lo Stato dovrebbe cercare di offrire a tutti i cittadini (nel loro interesse) la possibilità di conoscere e seguire diverse culture e religioni. Ha scritto un giornalista francese, a proposito del "caso chador '89": "quale conseguenza avrà il divieto di iscriverle alla scuola pubblica? La loro iscrizione in scuole coraniche. Invece alla scuola di Rousseau, di Voltaire e dell'illuminismo, con o senza il velo, queste ragazze impareranno meglio a resistere all'oscurantismo" (Le Monde, 17-10-1989 ).
  2. Nel caso del chador la tolleranza ci sembra la via più indicata anche perché indossare un velo sul capo non lede i diritti più fondamentali del rispetto dell'individuo come altre pratiche, in uso in alcuni paesi di provenienza degli immigrati, fra le quali vanno soprattutto ricordate l'infibulazione e le altre mutilazioni sessuali.

 

Il problema delle mutilazioni sessuali

Aspetti giuridici

In alcuni paesi musulmani l'infibulazione e il velo sono presenti da secoli e costituiscono tuttora la norma per molte donne (nel caso del velo, in certe situazioni, per tutte).
Non esiste una legislazione che regoli la materia: è compito della famiglia provvedere che le ragazze vengano escisse e che le donne si mostrino in pubblico velate, per preservare il loro pudore.

La regolamentazione dei due casi non è considerata attinente alla sfera pubblica ma a quella privata e quindi non necessita di leggi apposite.
Nei paesi nei quali è più forte la cultura laica come per esempio l'Egitto, ci sono stati dei tentativi di intervento dello Stato per mitigare il costume radicato. Infatti pur non vietando l'infibulazione e il velo lo Stato ha emanato delle norme che ne sanciscono la non obbligatorietà e che pertanto tutelano la libertà delle donne che non vogliono sottomettervisi.

Nel 1966 (20-05-'96, Obbligo al velo) una disposizione del consiglio costituzionale egiziano afferma che il velo non è obbligatorio anche se bisogna preservare il pudore delle donne.
Nel 1959 è stata emanata una legge che sancisce che l'infibulazione è un intervento facoltativo che deve essere obbligatoriamente eseguito in ospedale (Cfr. Magdi Allam, Il sesso mutilato, La Repubblica 25-10-'94).
Nei paesi occidentali il problema si è posto solo con l'immigrazione dai paesi africani, per questo motivo non preesisteva una legislazione sull'argomento.

Nei paesi in cui l'immigrazione ha origini più antiche ed è più massiccia si è provveduto a stabilire leggi in proposito, mentre in quelli di immigrazione più recente, in mancanza di leggi specifiche, si affronta il problema di volta in volta.

In Francia, paese con un alto tasso di immigrazione, la legge che proibisce la clitoridectomia è in vigore dal 1989 (Cfr. Una clitoridectomia vietata, La Repubblica 23-03-'97,), mentre nel 1994 una circolare del Ministero della pubblica istruzione vietava tutti i simboli di ostentazione religiosa nelle scuole pubbliche e quindi anche il velo (Cfr. Franco Fabiani, Il governo francese ordina, La Repubblica 23-09-'94).

In Inghilterra (Cfr. La Repubblica, 23-03-'97), altra meta di immigrazione, la legge contro l'infibulazione è in vigore dal 1991 e per evitare che i genitori portino le figlie all'estero per farle infibulare, le bambine a rischio vengono protette fino a diciotto anni dal tribunale dei minori.

Gli USA (Cfr. La Repubblica 23-03-'97) hanno approvato in questi giorni una legge contro l'infibulazione. Due paesi senza grossi problemi di immigrazione ma di grande tradizione democratica, come la Svezia (Cfr. La Repubblica, 23-03-'97) e la Danimarca, da anni hanno una severa legislazione contro le mutilazioni sessuali.

Gli unici tentativi di dare direttive comuni sono emerse in alcuni meeting internazionali come quello svoltosi a Mogadiscio nel 1988, dove furono indetti comitati di coordinamento delle iniziative dei vari paesi per la tutela della donna e del fanciullo, ed quello di Adis Abeba 1990 (Cfr. Il Manifesto, 29-01-'92) dove le donne somale chiesero che le figlie non venissero più infibulate.

 

Alcuni interventi tenutisi in classe sulle mutilazioni sessuali.

Margherita: "Visto che le mutilazioni vengono praticate comunque illegalmente, forse sarebbe meglio dare alle donne, che ne fanno liberamente richiesta, la possibilità di usufruire delle strutture sanitarie pubbliche, molto più sicure, per limitare i danni e i pericoli".

Simona: "Anche se qualcuno volesse mutilarsi spontaneamente e conscio di ciò che fa, in nessun altro caso dovrebbe essergli permesso di farlo legalmente, tanto meno in strutture pubbliche. Non credo che si debba fare eccezione in questo caso".

Bibliografia

Gilles Kepel, A ovest di Allah, Palermo, Sellerio, 1996.
L'immigrazione extra-europea a Milano, a cura di un gruppo di studenti delle classi 4C e 4D del Liceo Scientifico "S.Allende", Milano, 1993

 

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