SOCIETÁ MULTIETNICHE E RAZZISMO OGGI
INDICE DELLA SEZIONE |
LE FORME DEL RAZZISMO: Livelli di razzismo - Il pregiudizio - Segregazione e discriminazione |
UN ESEMPIO DI SEGREGAZIONE: IL SUD AFRICA |
ESEMPI DI SOCIETA' MULTIETNICHE |
BIBLIOGRAFIA |
LE FORME DEL RAZZISMO
Per descrivere le forme elementari del razzismo e analizzare i fenomeni di intolleranza che si manifestano all'interno di una società multietnica occorre prendere in esame le caratteristiche fondamentali di questi comportamenti sociali e considerare, in primo luogo, con quali logiche e a quali livelli il razzismo si manifesti. Innanzitutto è bene distinguere tra due logiche diverse mediante le quali si determina la discriminazione razziale, la prima, che possiamo denominare logica differenzialista, tende ad affermare la dominazione e la purezza di una razza superiore sulle altre, rendendo impossibile ogni convivenza e portando a manifestazioni di segregazione, epurazione o addirittura sterminio; la seconda, chiamata logica inegualitaria, postula invece l'esistenza di più razze, in relazione alle diverse culture, da organizzare in gerarchie e porta a casi di sfruttamento e discriminazione.
Livelli di razzismo
Questo ci conduce ad analizzare i livelli del razzismo e della violenza ad esso collegata:
In alcune esperienze storiche, per esempio, il razzismo è stato debole e sarebbe più
esatto parlare di xenofobia, in altre è stato così forte da travolgere
addirittura tutte le strutture sociali e politiche. Schematicamente possiamo indicare
quattro livelli d'intensità: in primo luogo l'infrarazzismo, fenomeno minore e
apparentemente disarticolato; in seguito il razzismo frammentato, più netto e
dichiarato, del quale è possibile valutare l'estensione; al terzo livello il razzismo
politico, che si manifesta quando il razzismo diventa programma di un partito politico
e si traduce nelle sue manifestazioni di intolleranza; infine il razzismo totale,
che compare quando lo Stato stesso è promotore della politica razzista di massa e fa in
modo di giustificare legalmente e giuridicamente questa posizione. E' significativo
osservare come proprio il carattere politico del razzismo rappresenti il punto di svolta
nella storia di questo fenomeno sociale.
Il pregiudizio
Per comprendere le forme dell'intolleranza un altro importante elemento da analizzare è
il pregiudizio. Spesso esso nasce collegato al dominio o al privilegio di un gruppo
etnico su un altro, e serve per razionalizzare o giustificare questo dominio per mezzo di
fittizie caratteristiche inferiorizzanti assegnate al gruppo sottoposto. D'altra parte il
pregiudizio può anche comparire come risposta a una condizione di crisi, e a un senso di
pericolo provocato dal contatto con altre etnie. In questi casi esso serve a ristabilire
le distanze fra il proprio e un altro gruppo di persone annullando il pericolo di entrare
in concorrenza con quello. In ogni caso nemiche del pregiudizio sono consapevolezza e
cultura, il cui sviluppo determina la diminuzione del pregiudizio stesso.
Segregazione e discriminazione
Consideriamo infine le due manifestazioni principali del razzismo: segregazione e
discriminazione. La segregazione, legata alla logica differenzialista di cui
abbiamo già parlato, tiene a distanza il gruppo oggetto di intolleranza razziale, lo
confina in spazi definiti e gli impedisce di uscirne. Si presenta quindi con diversi
livelli di gravità, nella forma della separazione spaziale e dell'esclusione dalla
società. La discriminazione, figlia della logica inegualitaria, tende invece a
imporre un trattamento diverso e inferiore al gruppo discriminato, che viene però
mantenuto sempre all'interno della società ed è fatto oggetto di sfruttamento. In
realtà segregazione e discriminazione spesso si combinano, come nel caso dell'apartheid
in Sud Africa, o si confondono, confluendo in un'unica ondata razzista. Da questi
meccanismi e dall'interazione di questi elementi, sorge dunque la violenza razzista, che
consapevolmente o meno impregna la società, mescolandosi facilmente anche con interessi
economici, politici.
UN ESEMPIO DI SEGREGAZIONE: IL SUD AFRICA
Il lungo insediamento coloniale in Sud Africa, iniziato dagli olandesi alla metà del XVII secolo e rilanciato dagli inglesi alla fine del '700 (la colonia inglese nel territorio del Capo è costituita nel 1814) ha avuto una storia complessa, caratterizzata dal conflitto fra inglesi e coloni di origine olandese, conclusosi nel 1910 con un accordo di comune sfruttamento del paese e di sottomissione della popolazione nera.
All'interno di questo quadro nacque nel 1948 l'apartheid, termine che indica la completa segregazione della popolazione di colore. Essa era mantenuta in uno stato di inferiorità rispetto ai bianchi da una serie di misure legislative razziste, come la proibizione di unioni miste e il divieto d'accesso a strutture e servizi pubblici, che ne limitavano pesantemente capacità giuridica e diritti politici e civili.
Nel 1964 Nelson Mandela, leader del Congresso Nazionale Africano (ANC), autore della "Carta della libertà", venne condannato all'ergastolo, e sebbene nel 1968 l'assemblea generale delle Nazioni Unite avesse inserito le manifestazioni di apartheid tra i crimini contro l'umanità (arrivando alla condanna definitiva nel 1973), questa politica continuò a regolare per molto tempo la Repubblica Sudafricana.
Fra gli anni '70 e i primi anni '80 ebbe luogo in Sud Africa una tremenda stagione di sangue caratterizzata da sollevazioni popolari (come quella di Soweto) e durissime repressioni. si verificò inoltre un'impressionante serie di omicidi di oppositori politici compiuti dalla polizia, di cui le responsabilità cominciano a conoscersi solo oggi, come nel caso dell'uccisione in carcere di Steve Biko la cui storia ha anche ispirato il film Grido di libertà di Richard Attenborough (1987).
Verso la fine degli anni '80 dietro la spinta dei movimenti anti-apartheid, la situazione è gradatamente migliorata, passando per la nomina a presidente di Frederik W. De Klerk nel 1989, per la liberazione di Mandela nel 1990, e per le prime elezioni multirazziali del 1994, in seguito alle quali lo stesso Mandela ha assunto il titolo di presidente e l'apartheid è stato definitivamente abrogato.
Oggi il Sud Africa rappresenta un esempio di concreta vittoria sul razzismo e una speranza per il mondo intero, e mentre il paese prosegue nel suo sviluppo, Nelson Mandela si avvia a diventare un riferimento di pace e tolleranza anche per i paesi limitrofi, ed è auspicabile che possa ricoprire per l'Africa lo stesso ruolo che ha svolto per il suo paese.
ESEMPI DI SOCIETÁ MULTIETNICHE
GLI STATI UNITI D'AMERICA: I fondamenti della nazione - L'identità etnica - Il conflitto interetnico |
I NERI NELLA SOCIETA' STATUNITENSE: Affermative action: uguaglianza e identità - Gli afroamericani e il problema dell'identità - Neri ed ebrei - La sessualità nera: un argomento tabù |
SCHEDA DEL FILM "FA' LA COSA GIUSTA" |
LA FRANCIA: Perché la Francia? - Conflitti culturali e religiosi - La difficile integrazione - Il caso chador |
Il fenomeno dell'insorgenza etnica, comune alle società moderne e a quelle tradizionali, va ricollegato al bisogno di tutelare l'identità collettiva che, pur senza assumere un aspetto definito una volta per tutte, è considerata essenziale per garantire il senso di appartenenza.
Le etnie misurano la propria identità su elementi diversi come il territorio, la lingua, la religione. Oppure su una combinazione di abbinamenti specifici che vengono richiamati quando il gruppo si sente minacciato e cerca di sviluppare al proprio interno nuove forme di solidarietà collettiva.
Anche l'esasperazione dell'individualismo delle società industriali avanzate, fondate sull'utilitarismo e sulla logica di mercato contribuisce all'insorgere di reazioni simili.
L'isolamento degli individui è percepito come una condizione di pericolo da cui essi si difendono riscoprendo il legame comunitario del proprio gruppo etnico.
Un altro atteggiamento culturale ricorrente nelle società industriali avanzate è la contrapposizione schematica e polarizzata fra tradizione e modernità, nella quale la prima coincide con tutto ciò che è passato e in questo è compreso anche il radicamento etnico.
I fondamenti della nazione
La nazione moderna è "costruita su fondamenta premoderne e modelli etnici che non
sono stati cancellati" ma solo modificati nel corso della costruzione degli Stati
contemporanei. Ascendenza, storia, cultura comune, solidarietà, sono gli elementi della
identificazione etnica, che le trasformazioni tecnologiche e i mutamenti socio-politici
non necessariamente disperdono. E negli avvenimenti contemporanei se ne hanno molte
conferme. Così che resta prevedibile un'attività anche futura di rivendicazione etnica
da parte di comunità culturalmente omogenee, nonostante la differente evoluzione tecnica
ed economica. Naturalmente tutto questo si combina con una serie di variabili di carattere
geo-politico: si vedano ad esempio le manifestazioni razziali diffuse negli Stati Uniti,
che coinvolgono neri, chicanos e latinos (ispanofoni di antico impianto e di più recente
immigrazione), etnie asiatiche, nativi americani, tutti fortemente ostili alle
celebrazioni per il cinque-centenario dello sbarco colombiano. Negli Stati Uniti
d'America, piuttosto che parlare di multiculturalismo si preferisce ricorrere al
termine panetnicità. Anche se può essere colta come sinonimo di
multiculturalismo, si ritiene che questa parola esprima con maggior efficacia il profilo
di una società che rifiuti nello stesso tempo la logica dell'assimilazione, e quella del
particolarismo etnico. Il modello panetnico vuole mediare le due posizioni estreme,
riconoscendo l'importanza della diversità per il radicamento sociale e culturale, ma
realizzando condizioni di interscambio capaci di trasformare in ricchezza di apporti la
pluralità delle culture.
L'identità etnica
Più o meno tutti gli studiosi statunitensi concordano nel ritenere l'etnicità un
fenomeno sociale e dinamico, mentre esistono notevoli divergenze riguardo alle dinamiche
che lo determinano. Le variabili di maggior peso nella cultura etnica, anche per la
valenza simbolica che recano in sé sono la lingua e la religione. Quest'ultima, può
essere un fattore di reciproca indifferenza ed estraneità, o addirittura di antagonismo
tra fedi, ma può anche offrire opportunità di interazione a gruppi che condividono lo
stesso credo. Riguardo alla lingua, è chiaro che la condivisione di questo codice
essenziale fra due gruppi accresce la potenziale disponibilità alle relazioni
interetniche, almeno altrettanto quanto la diversità linguistica può sollecitare i
particolarismi. La lingua è un elemento culturale che ha la doppia funzione di unificare
il sistema di relazioni, e di marcare la linea di separazione fra un sistema e l'altro.
Gli Stati Uniti stanno vivendo un forte rimescolamento delle componenti etniche e
razziali. Secondo stime di questi anni, entro un secolo i bianchi non ispanici potrebbero
divenire minoranza, mentre la California sembra in buona parte già approdata a questa
realtà. Già nel 1980 la città di Los Angeles censiva solo il 48% di bianchi non
ispanici. Questa profonda trasformazione è stata resa possibile dalle più recenti leggi
sull'immigrazione. Le norme del 1965 stabilirono gli accessi secondo contingenti per aree
continentali, non più per nazioni. A quell'epoca i nuovi immigrati non arrivavano più
dall'Europa ma, nella misura dell'80%, dall'Asia e dall'America Latina. Nelle metropoli si
trovarono a convivere con la cospicua presenza degli afro-americani, che già dal primo
dopoguerra avevano abbandonato il Sud agricolo per cercare impiego nelle industrie urbane.
Il conflitto interetnico
Un aspetto del confronto fra culture negli Stati Uniti, è relativo alla tensione tra
minoranze razziali non bianche, soprattutto neri e ispanici Questi conflitti risultano
pericolosi anche in considerazione dell'andamento demografico e della consistenza dei
flussi migratori che non si arrestano. Ad esempio nell'area di Los Angeles gli ispanici
sono raddoppiati in 20 anni: erano il 14% della popolazione nel 1970, nel 1990 hanno
superato il 28%. Il primo grande segnale di conflittualità tra queste due minoranze
risale al 1980: a Miami negli scontri tra neri e latinos (per lo più cubani), morirono 14
persone e si ebbero danni per oltre 100 milioni di dollari. Le cause di questo tipo di
rivolte sono da ricollegarsi alle condizioni di vita degradate e all'alto tasso di
disoccupazione. Quest'ultimo aspetto in particolare aveva acceso l'antagonismo e la
rivalità dato che, per lavori non specializzati, i cubani accettavano salari minimi
inferiori a quelli richiesti dai neri. Lo stesso scenario ha caratterizzato la rivolta
nera nel 1992 a Los Angeles, con una variante: la componente etnica aggredita è stata
quella di origine coreana, accusata di praticare prezzi troppo alti nei negozi. In questo
caso latinos e neri si trovarono affiancati contro un "nemico comune",
rappresentato dalla polizia. Lo scontro portò alla morte di 58 persone, a oltre 13.000
feriti e a ripetuti saccheggi e incendi di edifici. Tutto questo sottolinea che il vero
problema del futuro, e non solo negli USA, sarà proprio quello dei rapporti interetnici
sia in campo economico sia sul piano dei diritti civili. Lo scoppio della rivolta di LA fu
determinato dalla assoluzione, da parte di una giuria di soli bianchi, di quattro
poliziotti accusati di aver bastonato un nero che opponeva resistenza all'arresto. Le
nuove minoranze si sono trovate a dividersi l'offerta di lavoro non specializzato, nel
momento in cui questo veniva sostituito dalle moderne tecnologie, e quindi drasticamente
ridotto. La rabbia dei neri nei confronti dei latinos, in una città come Los Angeles, è
aumentata dalla crescente presenza dei cosiddetti "undocumented mexicans", gli
immigrati clandestini accusati di portare via il lavoro agli Americani, e, in particolare,
ai neri. La guerra tra minoranze acquista caratteri non solo economici, ma anche sociali e
politici e, ancora una volta, il conflitto scoppia tra neri e ispanici. Questi ultimi
accusano i primi di "avidità di potere" basando l'accusa sul fatto che è assai
più frequente vedere ai vertici di una città un sindaco nero piuttosto che ispanico.
Questo avviene anche per la forte concentrazione etnica del voto nero, unitario,
contrapposto a quello eterogeneo dei latinos. Tutte questi fattori di tensione si sommano
ai motivi di frizione già esistenti con la cultura dominante, tra i quali ha molta
importanza il dibattito sull'uso della lingua inglese rispetto a quello di altre lingue.
L'inglese non è mai stato proclamato da una legge lingua ufficiale, ma alcuni Stati, come
California e Florida, hanno sentito la necessità di farlo per fronteggiare la diffusione
dello spagnolo. Per gli anglosassoni infatti, il plurilinguismo è un elemento di
regresso, che porterebbe allo scollamento della nazione, in quanto ritengono che la loro
lingua sia la più naturale per gli Stati Uniti. Contro questi provvedimenti sono insorti
sia gli immigrati sia le associazioni studentesche di orientamento liberale, affermando
che non è possibile condannare la discriminazione individuale e nello stesso tempo
ribadire quella culturale: democrazia individuale e democrazia culturale sono
interconnesse. In alcuni casi, ovvero laddove ci siano almeno 20 alunni appartenenti ad
una stessa etnia di madre lingua diversa dall'inglese, il governo federale, i singoli
Stati, o le contee, finanziano programmi di insegnamento bilingue. La politica
multiculturale è però regolata anche dall'andamento economico del paese, per cui, in
situazione di crisi, le iniziative in favore dei gruppi minoritari subiscono una riduzione
del finanziamento pubblico, come ogni altro servizio sociale. Il che pone il problema
della diretta responsabilizzazione da parte delle singole etnie che sono chiamate a
sostituire il finanziamento statale.
I NERI NELLA SOCIETA' STATUNITENSE
Affermative Action: uguaglianza e
identità
La crisi fondamentale in cui si dibatte l'America nera è dovuta a due ragioni: troppa
povertà e troppo amore di sé. La causa principale della povertà nera è innanzitutto
nella iniqua distribuzione dei beni, del potere e del reddito che è stata influenzata dal
sistema di discriminazione razziale. La "Affermative Action" fu appunto un
programma di ridistribuzione elaborato nel pieno dello scontro per l'eguaglianza razziale
degli anni '60. Le nuove misure di Affermative Action, come quelle già attuate in passato
(contratti, lavori e prestiti per gli immigranti garantiti da lobbies politiche; sussidi
ad alcune categorie di agricoltori; mutui agevolati per certi acquirenti della prima casa
o premi federali per veterani particolarmente meritevoli) si sono fondate su politiche
preferenziali. Purtroppo, queste politiche sono sempre andate in modo del tutto
sproporzionato a vantaggio dei ceti medi. Il potere politico del grande mondo degli affari
del governo federale limita la portata delle misure di ridistribuzione e quindi impedisce
che tali misure vadano realmente a vantaggio di coloro che hanno troppo poco o addirittura
nulla. Anche se all'Affermative Action si giunse dopo una lunga lotta condotta dai
liberali e dai progressisti americani nelle aule dei tribunali e nelle piazze, non bisogna
considerare che essa sia né la migliore soluzione del problema della povertà, né
l'unico strumento capace di condurre da solo all'eguaglianza. L'aspetto principale per cui
quella politica va apprezzata è il ruolo essenziale che può svolgere in particolare nel
garantire che le pratiche discriminatorie nei confronti delle donne e della gente di
colore vengano abbattute. Anche se la Affermative Action non riesce a ridurre la povertà
dei neri o a mettere fine alle discriminazioni razziste sui luoghi di lavoro, senza di
essa diventerebbe ancor più difficile per i neri d'America accedere alla prosperità, e
il razzismo sui luoghi di lavoro non verrebbe in ogni caso liquidato. Questa
considerazione si fonda sullo scarso entusiasmo che l'America ha sempre dimostrato
storicamente per la giustizia razziale e per misure di ridistribuzione davvero efficaci.
Gli afroamericani e il problema
dell'identità
La difficile e delicata ricerca di un'identità nera è fondamentale per ogni discorso
sull'eguaglianza razziale. Ma il problema non è solo politico o economico. Questa ricerca
implica il rispetto e la considerazione di sé, valori inseparabili dal potere politico e
dallo status economico, anche se irriducibili a essi. Il disprezzo di sé, manifesto tra i
professionisti neri del ceto medio, testimonia questo doloroso processo che si traduce in
due forme di paralisi distinte: da una parte l'ansia dei borghesi neri di farsi accettare
dai bianchi di pari condizione e dall'altra l'ossessione dei nazionalisti neri nei
confronti del razzismo bianco. La prima forma di paralisi fa dimenticare la necessità di
misure ridistributive rivolte alla maggioranza dei neri, costituita da lavoratori
sull'orlo della povertà. La seconda forma di paralisi impedisce ogni coalizione seria con
i progressisti bianchi che non vengono separati dalle forme di razzismo che innegabilmente
sopravvivono nel mondo occidentale moderno. Il risentimento suscitato da questa indubbia
realtà impedisce di trovare una risposta efficace alla crisi che ha investito l'America
nera. Misure di ridistribuzione massiccia richiedono invece anche alleanze multirazziali.
Senza queste misure, le sofferenze dell'America nera sono destinate ad acuirsi. Il
razzismo bianco contribuisce certo a queste sofferenze. Ma l'ossessione del razzismo
bianco spesso ostacola il formarsi di ampie alleanze capaci di operare un cambiamento
sociale e rischia di far cadere in una mentalità tribale impedendo così ogni progresso
verso una più equa ridistribuzione dei redditi. In conseguenza di questo stato di cose si
manifestano fra i neri forme di xenofobia che sono del tutto speculare a quelle dei
bianchi.
Neri ed ebrei
Il recente dibattito sulla situazione dei rapporti tra neri ed ebrei ha prodotto più
calore che luce. Invece di un dialogo critico e di uno scambio di idee rispettoso delle
ragioni dell'avversario, si è assistito ad uno scambio di insulti volgari e di accuse
reciproche e farisaiche. L'antisemitismo nero e il razzismo ebreo nei confronti dei neri
sono reali, e costituiscono un tratto profondamente e assolutamente americano. Non è mai
esistita una "età dell'oro" in cui neri ed ebrei abbiano vissuto senza tensioni
e attriti. Ci sono stati però momenti migliori, in cui le storie di oppressione e di
degradazione vissute da entrambi i gruppi hanno favorito il sorgere di una genuina empatia
e di alleanze fondate sui principi del rispetto reciproco. Ma. a partire dalla fine degli
anni '60, i rapporti tra neri ed ebrei sono scesi al punto più basso. Per spiegare questa
crisi occorre cominciare con il portare alla luce la verità che si nasconde dietro alla
percezione che ogni gruppo ha dell'altro e di se stesso. Per esempio, pochi neri
riconoscono e ammettono un fatto fondamentale che ha segnato la storia degli ebrei, ovvero
l'odio profondo di cui sono stati oggetto nella civiltà bizantina e in quella europea
moderna. Le varie persecuzioni nei secoli addietro costituiscono l'ampio sfondo storico su
cui si staglia l'angoscia degli ebrei per una incombente morte collettiva. L'odio degli
europei per gli ebrei è fondato su premesse religiose e sociali, in particolare sul mito
cristiano del popolo deicida e sul risentimento per la sproporzionata presenza di ebrei in
certe attività commerciali. Il fanatismo religioso si basa sullo stereotipo degli ebrei
come popolo maligno e sacrilego, quello sociale sui presunti complotti ebraici per
impadronirsi del potere. La storia degli ebrei in America va sostanzialmente contro
corrente rispetto a questo tragico passato. La maggior parte degli immigrati ebrei giunse
in America tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del nostro. Gli ebrei erano
depositari di un forte retaggio culturale, portato a privilegiare gli elementi che più
avevano contribuito alla loro sopravvivenza e al loro senso di identità: l'autonomia
istituzionale, l'insegnamento rabbinico e lo zelo negli affari. Come gli altri immigrati
di origine europea, gli ebrei si fecero in gran parte complici del sistema di classe
americano fondato sulla razza. Anche nell'America cristiana , con le sue formidabili
varianti semite, e nonostante una ricca tradizione progressista che portò gli ebrei, più
di qualsiasi altro gruppo di immigrati, a provare compassione per i neri oppressi, un gran
numero di ebrei tentò di assicurarsi una solida posizione allineandosi agli stereotipi
anti neri e cercando di trarre profitto dai privilegi concessi agli Americani non neri.
Nonostante ciò, ci fu un periodo di autentica empatia e di alleanze fondate sul principio
del rispetto reciproco tra ebrei e neri, e questo costituisce un pilastro fondamentale
della politica progressista americana del nostro secolo (1910-1967). Ai giorni nostri
questo periodo, ispirato ai principi della collaborazione, viene spesso sminuito dai neri
e mitizzato dagli ebrei. I neri tendono a sottovalutarlo nella misura in cui sottolineano
la sorprendente rapidità con cui la maggior parte degli ebrei è entrata a far parte del
ceto medio e medio-alto in quel breve periodo, suscitando un forte conflitto con il ceto
medio nero, più lento nella sua ascesa, ma anche un vero e proprio risentimento nella
classe, in forte crescita, di neri impoveriti. Gli ebrei, dall'altra parte, tendono a
mitizzare questo periodo perché il loro presente status di membri di classi medio alte e
alte all'interno della società Americana stravolge l'autoimmagine storica che si sono
dati di progressisti aperti alla compassione nei confronti delle classi inferiori.
Nell'epoca attuale, i contrasti fra neri ed ebrei riguardano soprattutto due temi. Il
primo si riferisce agli attacchi che alcuni ebrei muovono alla politica dell'Affermative
Action e che vengono vissuti come attacchi alla vita dei neri, dal momento che la
stragrande maggioranza di loro vive dei sussidi governativi. La dichiarata opposizione
degli ebrei ai programmi di Affemative Action e alle spese federali a sostegno dei meno
abbienti fa apparire alcuni di essi come oppositori del progresso nero. La seconda area di
conflitto riguarda il significato e la pratica del sionismo così come è condotta dallo
Stato di Israele. Senza una comprensione delle profonde radici storiche che sono alla base
dei timori e delle angosce degli ebrei per quanto riguarda la loro sopravvivenza in quanto
gruppo, i neri non potranno mai comprendere l'attaccamento viscerale della maggior parte
degli ebrei ad Israele. Analogamente, senza un sincero riconoscimento della condizione di
permanenti diseredati che i neri vivono nella società americana, gli ebrei non
comprenderanno mai quanto le circostanze simboliche e le difficoltà reali dei palestinesi
in Israele pesino per i neri. I neri spesso vedono nella tutela dello Stato di Israele da
parte degli ebrei americani un esempio di pura e semplice difesa degli interessi
particolari del loro gruppo e, ancora una volta, il segno dell'abbandono di una politica
fondata su principi morali sostanziali. Per parte loro, gli ebrei tendono a considerare le
critiche dei neri a Israele come la negazione del diritto alla loro sopravvivenza come
gruppo, quindi un venir meno dell'impegno preliminare che renderebbe possibile un'alleanza
tra ebrei e neri. Voltando le spalle alla triste verità dell'oppressione palestinese, da
una parte, e dall'altra rifiutandosi di riconoscere la falsità delle accuse relative a
una presunta congiura ebraica, entrambi i gruppi si sono mostrati incapaci di definire il
carattere morale delle loro identità. L'attuale crisi dei rapporti tra ebrei e neri
verrà superata solo quando si avrà uno scambio di autocritiche dentro e tra le comunità
nera ed ebraica, e non soltanto sui rispettivi interessi di gruppo ma anche su cosa
significhi essere nero o ebreo in termini etici.
La sessualità nera: un argomento
tabù
Gli americani sono ossessionati dal sesso e impauriti dalla sessualità nera. L'ossessione
è legata alla ricerca di stimoli e significati in una cultura dai ritmi vertiginosi e
dominata dal mercato; la paura è invece visceralmente radicata in un'immagine dei corpi
neri alimentata dai miti sessuali relativi agli uomini e alle donne neri. Il paradosso
della politica razziale in America, per ciò che riguarda il sesso, è che in segreto, il
sesso sporco, disgustoso e animalesco associato ai neri viene spesso percepito come più
eccitante e interessante, mentre in pubblico parlare della sessualità nera é tabù. Il
più importante impatto degli anni sessanta sul piano culturale non è stato tanto quello
di aver demistificato la sessualità nera quanto piuttosto l'aver reso i corpi neri e
quelli bianchi su un piano di parità. La storia dei rapporti sessuali fra i due gruppi si
era risolta in precedenza con una serie di stupri brutali e di abusi da parte dei bianchi.
L'afro-americanizzazione della gioventù bianca - dovuta alla preponderante presenza nera
nella musica leggera e nelle attività sportive - ha portato i ragazzi bianchi a entrare
in un contatto più stretto anche con il corpo dei loro coetanei neri facilitando così
anche i rapporti umani fra i due gruppi. Ascoltare i dischi dei Motown negli anni sessanta
o ballare al ritmo della musica rap negli anni novanta può non rimettere in discussione i
miti sessuali relativi alle donne e uomini neri, ma quando i ragazzi bianchi e neri
comprano gli stessi dischi di successo, inneggiano agli stessi campioni sportivi, si viene
spesso a creare uno spazio culturale comune, in cui può sorgere una interazione sul piano
umano. Questa tendenza culturale sotterranea verso l'integrazione razziale è andata
crescendo negli anni settanta e ottanta insieme all'intreccio multiculturale che si è
avuto in questi due decenni sul piano della cultura popolare. Non c'è bisogno di dire che
molti americani bianchi ancora vedono con disgusto la sessualità nera. Alcuni poi
continuano a vedere con disgusto anche la loro. Il moralismo vittoriano e il pregiudizio
razzista sono duri a morire. Tuttavia un numero sempre maggiore di americani bianchi è
disposto ad avere rapporti sessuali con i neri su un piano di parità anche se i
miti ancora persistono. Perché ci sia un rapporto di uguaglianza non solo bianchi-neri ma
anche neri-bianchi occorre una demitologizzazione; ciò è fondamentale per l'America nera
in quanto gran parte dell'odio e del disprezzo di sé vissuto dai neri è legato al
rifiuto di molti americani neri di amare i propri corpi (nasi, labbra, capelli, fianchi
neri). L'ideologia della supremazia bianca è fondata in primo luogo e soprattutto sulla
degradazione dei corpi neri a scopo di dominio e controllo. Il terrorismo è uno dei modi
più efficaci di far crescere la paura nei singoli individui, e questa paura si accresce
se si riesce a convincerli che i loro corpi sono brutti, che il loro intelletto è per
natura sottosviluppato e la loro cultura meno progredita. Tuttavia gli sforzi per
affermare e mantenere la supremazia bianca si sono dimostrati, alla fine, relativamente
fallimentari grazie al coraggio e alla creatività di milioni di neri e di centinaia di
bianchi illuminati. Domande cruciali, (Come si fa ad accettare e a non respingere un corpo
tanto disprezzato dai propri concittadini? Come è possibile trarre gioia dai momenti di
intimità vissuti tra i neri in una cultura che nega la bellezza estetica dei corpi neri?
Possono sbocciare autentici rapporti umani per i neri in una società che avvilisce
l'intelligenza nera, il carattere morale dei neri, le prospettive future dei neri?), sono
state poste negli spazi sociali all'interno dei quali i neri hanno cercato di ritrovare un
fondamento alla propria umanità,. Così nelle famiglie, nelle chiese, nelle moschee,
nelle scuole e nelle sue altre organizzazioni, la comunità nera è riuscita a superare il
bombardamento ideologico dei bianchi, anche se non si è mai voluta interrogare sulla
sessualità nera che è un punto fondamentale. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che le
istituzioni nere sopra citate hanno insistito sul tema della sopravvivenza nera in
America. E la sopravvivenza dei neri esigeva l'accettazione da parte dell'America bianca,
una accettazione resa possibile da una serie di compromessi. Le istituzioni nere militanti
strinsero con l'America bianca una sorta di patto faustiano: evitate con ogni mezzo di
toccare il problema della sessualità nera e la vostra sopravvivenza ai margini della
società americana sarà, quanto meno, possibile. La paura della sessualità nera è un
ingrediente fondamentale del razzismo bianco, e per i bianchi riconoscere questa profonda
paura proprio quando tentano di mantenere i neri in condizione di inferiorità,
equivarrebbe ad ammettere una loro debolezza. La sessualità nera è un argomento tabù
negli USA soprattutto perché è una forma di potere nero sul quale i bianchi possono
esercitare uno scarsissimo controllo. Anzi, le manifestazioni visibili di quella
sessualità suscitano una reazione assolutamente viscerale nei bianchi, che può assumere
la forma di una seduzione ossessiva o di un vero e proprio disgusto. Da una parte, la
sessualità tra neri esclude i bianchi, mentre quella tra neri e bianchi agisce sulla base
di desideri sotterranei che gli americani negano o pretendono di ignorare in pubblico. Di
conseguenza, fare della sessualità nera un argomento tabù, significa evitare di
pronunciarsi su un tipo particolare di potere che i neri avrebbero sui bianchi. Vie
d'uscita ce ne sono, ma nessuna di esse può valere per tutti i neri senza distinzione
poiché si offrono agli uomini neri opportunità molto diverse da quelle che si offrono
alle donne nere. Gli uomini neri hanno differenti immagini di sé e strategie per
acquisire potere nelle strutture patriarcali dell'America bianca e delle comunità nere.
Il mito dominante relativo alle prodezze sessuali dei maschi neri rende gli uomini partner
sessuali desiderabili in una cultura ossessionata dal sesso. In più,
l'afro-americanizzazione della gioventù bianca è stata opera più dei maschi che delle
femmine, data la preminenza degli atleti maschi e il peso culturale assunto da alcuni
artisti pop di sesso maschile. Questo processo si è risolto nell'imitazione e
nell'emulazione da parte dei giovani bianchi - maschi e femmine - dei modi di camminare,
parlare, vestirsi, gesticolare nei rapporti con gli altri che sono propri dei maschi neri.
Il caso delle donne nere è completamente diverso, perché le dinamiche del patriarcato
bianco e nero agiscono su di essi in modo differente. Il mito dominante delle prodezze
sessuali delle donne nere rende queste ultime partner sessuali desiderabili, ma
l'ideologia della bellezza femminile bianca, attenua le conseguenze di questo fatto. Le
donne nere non sono le più ricercate in quanto "oggetti di piacere sessuale",
come avviene per i maschi neri. Sono le donne bianche a occupare questa posizione
"privilegiata" (ma in realtà degradata perché trasforma appunto la persona in
oggetto), soprattutto perché la bellezza bianca assume un ruolo maggiore nella
desiderabilità sessuale femminile dell'America patriarcale e razzista.
SCHEDA DEL FILM "FA' LA COSA
GIUSTA"
(USA 1989)
di Spike Lee con Danny Aiello, Ruby Dee, Richard Edson e Spike Lee
È una delle giornate più calde dell'anno; il fattorino Mookie, un giovane nero che vive con la sorella, si reca nella pizzeria in cui lavora, di proprietà di un italiano, nel ghetto di Bedford Stayresant a Brooklyn. Seguendo i suoi spostamenti, siamo testimoni della vita e delle vicende di persone diverse fra loro, che si trovano a convivere nello stesso quartiere: non solo neri, ma anche italiani, ispanici e coreani. L'intolleranza verso l'altro serpeggia in tutto il film: soprattutto i giovani, riuniti in piccole bande o singolarmente, attaccano chiunque non sia come loro. E il diverso può essere un giovane bianco, un WASP, che è venuto ad abitare nel ghetto, o anche un vecchio nero che predica la non-violenza e la fratellanza, e che viene deriso perché è spesso ubriaco. Questo personaggio, chiamato il Sindaco, è forse il più positivo di tutto il film, e allo stesso tempo il meno probabile: i suoi ideali di "pace fra gli uomini" sembrano i meno perseguibili negli Stati Uniti di oggi. In modo particolare gli attacchi sono contro i proprietari di un negozio arrivati da poco dalla Corea, che non parlano quasi inglese, e che vengono accusati di essersi arricchiti in un paese che non è il loro, di aver raggiunto un grado di benessere che praticamente nessuno nel quartiere può nemmeno sfiorare. Un altro bersaglio è Sal, il proprietario della pizzeria, di origine italiana, datore di lavoro di Mookie. All'interno del locale, sulla "parete delle celebrità", Sal ha appeso solo foto di italo-americani (come Stallone, De Niro e Sinatra): sarà questo il vero motivo della tragedia che sta per compiersi. Un ragazzo nero rimprovera aspramente perché su quella parete non c'è la foto di nessun "fratello nero", come Martin Luther King o Malcolm X; all'ennesimo rifiuto di Sal di appendere le immagini di quei personaggi, il giovane decide di boicottare la pizzeria. Solo un altro ragazzo chiamato Radio Raheen, si unisce a lui: anche lui infatti ha avuto occasione di litigare con l'italiano che non sopporta l'alto volume del suo stereo. I due giovani si presentano nel locale e ciascuno dei due attacca il proprietario con le proprie motivazioni. A questo punto la rabbia di Sal esplode e, con una mazza da baseball, distrugge lo stereo di Radio Raheen. Il ragazzo reagisce con violenza e nasce una rissa fra Sal e i suoi figli e i ragazzi del ghetto presenti nel locale. La scena si sposta sulla strada; qualcuno chiama la polizia. Gli agenti immobilizzano Radio Raheen e uno di loro, mentre gli stringe il manganello alla gola, finisce col soffocarlo uccidendolo. La folla che si è riunita in strada insorge e attacca la pizzeria di Sal che viene incendiata; gli uomini vorrebbero sfogarsi anche contro i coreani, ma i loro animi sono sedati dal Sindaco, che li convince a tornare a casa. Durante l'assalto alla pizzeria Mookie, che pure non ha nulla di personale contro Sal, decide di unirsi agli altri nell'opera di distruzione. Per solidarietà con il suo gruppo decide di "fare la cosa giusta". Sorge il nuovo giorno e la vita sembra trascorrere sempre allo stesso modo; Mookie vuole la sua paga per poi cercare un nuovo lavoro, mentre Sal piange davanti alla sua pizzeria distrutta. Ispirato a un fatto di cronaca (nel 1986 una banda di adolescenti uccise un nero), Fa' la cosa giusta è un film duro sull'intolleranza, dal ritmo sostenuto che si appoggia su musiche composte dal padre del regista. Tuttavia il regista non sembra prendere posizione, non si schiera con nessuna delle parti. Il film si chiude con due citazioni antitetiche sull'uso della violenza: la prima di Martin Luther King è assolutamente contraria a qualunque forma di violenza; la seconda di Malcolm X legittima l'uso della lotta violenta quando questa si dimostri necessaria. Spike Lee ha diretto quasi un documentario sulla difficile convivenza fra minoranze: ognuno vede l'altro come nemico o come qualcosa da evitare. Ad esempio Mookie è contro un possibile interessamento da parte di Sal nei confronti di sua sorella; allo stesso modo i figli di Sal si oppongono alle attenzioni che il padre ha verso la giovane ragazza nera.
LA FRANCIA
Perché la Francia?
Oltre che degli USA, società multietnica per definizione, abbiamo scelto di parlare della
Francia come esempio di un paese nel quale convivono gruppi umani differenti, perché in
quel paese è particolarmente marcata la presenza di cittadini originari delle ex-colonie
e di immigrati di più recente comparsa (nel 1996 si trovavano in Francia 2284000
immmigrati extraeruropei regolari e 500000 irregolari). Questo fa della Francia,
all'interno del panorama europeo, un paese nel quale possono essere più facilmente
analizzati i fenomeni di integrazione e di emarginazione interetnica che stanno ormai
divenendo comuni a tutto il mondo sviluppato. La presenza più massiccia è indubbiamente
quella proveniente dall'Algeria ed è profondamente legata alla storia recente di quel
paese. Dopo l'invasione francese del XIX secolo, e la successiva lotta di liberazione
(costata oltre 1 milione di morti ad una popolazione di circa 13 milioni) che si è
conclusa nel 1962 in seguito al referendum per l'autodeterminazione, l'Algeria è
ritornata ad essere indipendente, senza però trovare un assetto politico stabile.
L'ondata migratoria iniziata negli anni '30 non si è fermata e, addirittura, il fenomeno
è in continuo aumento, specialmente dopo il colpo di stato del 1992 e l'aumento della
tensione. Nel 1988 si trovavano in Francia circa ottocentomila algerini.
Conflitti culturali e religiosi
Ma come in tutte le società multietniche anche in Francia si verificano scontri di
diverso carattere tra la cultura dominante e quella delle minoranze. Le guerre di
religione, gli scontri diretti tra Cristianesimo e Islam sono stati una caratteristica del
mondo mediterraneo per molto tempo, ma adesso il fenomeno è diverso: l'Europa si è
progressivamente laicizzata ed ha raggiunto uno sviluppo tale da permetterle di mantenere
senza sforzo la propria egemonia politica e tecnologica. La regione islamica ha invece
mantenuto un forte carattere religioso e giunge ora a un bivio: scegliere la via
dell'europeizzazione e dell'emigrazione, che comporta l'abbandono, almeno parziale, delle
proprie caratteristiche, oppure perseguire la strada dell'autonomia, della
differenziazione e della ricerca di un nuovo modello politico-economico che si distacchi
dai già sperimentati e fallimentari modelli capitalista e comunista prodotti
dall'Occidente. In paesi come l'Algeria la popolazione che decide di rimanere e lottare
per migliorare le proprie condizioni segue la seconda strada, ma, come abbiamo già
sottolineato, l'emigrazione è forte e tutti quelli che si ritrovano a dover abbandonare
il loro paese sembrerebbero fautori dell'europeizzazione. Tuttavia un emigrato che arriva
in un paese europeo si sente spesso oggetto di una scelta che gli è stata imposta,
essendo stato costretto dalle circostanze ad abbandonare la sua terra d'origine, alla
quale continua ad essere legato. I contrasti nel nuovo paese sono inevitabili: da una
parte troviamo la società "accogliente" che non è disposta a cambiare la
propria struttura organizzativa in favore degli immigrati, dall'altra persone che si
trovano proiettate in un mondo diverso per costumi, regole e, spesso, lingua. Inizialmente
si tratta di singoli individui che arrivano e si trovano a creare comunità di
connazionali (infatti rimane sempre forte il sentimento di nazionalità), ma poi i numeri
crescono.
La difficile integrazione
Naturalmente non possiamo definire la Francia un paese a segregazione razziale come poteva
essere il Sudafrica fino a pochi anni fa, ma è significativa la presenza di grandi
quartieri popolari abitati per la maggior parte da immigrati, nelle banlieues delle
città francesi (ad esempio, a Parigi, la Goutte-d'Or). La vita in questi quartieri non è
mai stata facile: per esempio, gli scontri con la polizia sono violenti, seguiti da
saccheggi indiscriminati di negozi e centri commerciali e incendi. Inoltre i figli di
immigrati frequentano scuole pubbliche in cui l'insegnamento è improntato al più puro
laicismo. Così lo scontro religioso si trasferisce anche sul piano dell'istruzione: gli
studenti musulmani devono sottoporsi a regole che limitano la loro religiosità e studiare
nozioni che ignorano il sapere dei loro padri. Ritroviamo un esempio di quest'ultimo
aspetto nelle dichiarazioni di un ragazzo di origine algerina: "Se hai dei bambini,
la scuola francese diventa un ostacolo, perché te li vogliono indottrinare [...] Studiano
Darwin, per esempio, e lui ti dice a + b è Darwin, e perché a scuola non ti dicono che
c'è un Creatore? Tutto di colpo ti dicono, le cose stanno così, c'è Darwin, eccoti
indottrinato".
Il caso chador
La scuola è forse uno dei problemi più sentiti, sia pure con grosse differenze. Per i
primi immigrati, che portavano la famiglia con sé, la scuola era l'unico mezzo che
offrisse ai loro figli un futuro migliore perché permetteva loro di integrarsi nella
nuova società; ora invece il problema riguarda questi figli che, cresciuti in un mondo
così diverso da quello a cui erano abituati nell'ambito familiare, vedono la scuola come
un ostacolo alle loro tradizioni e al loro sentimento religioso. La laicità non è,
secondo loro, una conquista, la possibilità di un insegnamento libero da ogni
contaminazione religiosa, ma è una presa di posizione contro l'Islam. La dimostrazione
sarebbe nel fatto che, mentre sono ostacolate le espressioni della religiosità islamica,
gli ebrei non vengono colpevolizzati quando indossano la kippa o si assentano di
sabato, né tanto meno suscita scalpore un crocefisso appeso a una catenina. Così non
poteva non sollevare polemiche l'intervento del preside di una scuola di Creuil, che nel
1989 convocò i familiari di tre ragazze musulmane per far pressione su di loro e
convincerli a far togliere alle figlie il velo che esse indossavano anche in classe. Di
fronte al loro rifiuto il preside aveva poi espulso le studentesse dalla scuola. Il fatto
fu ripreso dalla stampa ed ebbe risonanza anche all'estero. Associazioni anti-razziste
presero posizione in favore delle ragazze dichiarando che si trattava di un atto di
discriminazione e di intolleranza religiosa. Le studentesse di Creuil non erano certo le
uniche vittime di fenomeni di questo tipo, ma non per questo il fatto era meno grave. La
vicenda si concluse con un compromesso tra il preside e le famiglie: le studentesse si
sarebbero tolte il velo in classe, ma lo avrebbero tenuto nei corridoi e nei cortili della
ricreazione. In seguito le ragazze, abbandonando il compromesso, ricominciarono a portare
il velo in classe e vennero nuovamente escluse dalle lezioni. Un pronunciamento del
Consiglio di Stato affermò poi la libertà degli studenti a manifestare la loro fede
religiosa all'interno degli istituti scolastici, nel rispetto del pluralismo e della
libertà altrui. La stessa sentenza limitava questa libertà vietando tutto ciò che fosse
un atto di proselitismo o di propaganda, che compromettesse la salute o la sicurezza, o
che turbasse l'ordine. Se ci chiediamo perché problemi di questo tipo si siano
manifestati solo in tempi recenti dobbiamo riconoscere che la ragione è nei cambiamenti
avvenuti all'interno delle comunità di immigrati islamici. I primi emigranti giungevano
in Francia per ottenere un certo benessere economico e ritornare al più presto in patria;
non avevano motivi di aggregazione, né si ritenevano (o erano ritenuti) detentori di
alcun diritto. Quando invece incominciarono a comprendere di poter avere un ruolo
all'interno della società in cui stanno vivendo, chiamate anche le famiglie, si formarono
le prime comunità di algerini, senegalesi, marocchini, ecc. La religione è diventata
così un simbolo di distinzione e di unità dei diversi gruppi, ed è intorno a questa che
si costruisce la comunità di riferimento. Così anche per l'influenza dei movimenti di
liberazione che operano nei paesi islamici, tra gli emigrati, soprattutto tra i giovani,
nasce la consapevolezza della propria identità religiosa.