Dopo aver definito ciò che intende per volontà e rappresentazione nella sua
metafisica (cfr. Il mondo come volontà e rappresentazione), Schopenhauer
intraprende un cammino spinto dalla domanda se l'uomo possa essere veramente libero. La
volontà, fondamento metafisico della vita universale, è infatti per Schopenhauer
irrazionale e quindi inconoscibile. Anche se l'uomo crede di poter decidere in modo
autonomo, i suoi atti sono subordinati a un desiderio privo di meta, a un progetto secondo
una successione inconcludente, una "cattiva infinità". Davanti a questa si può
essere veramente liberi?
La liberazione attraverso l'arte
Inizialmente trova un elemento di liberazione nell'arte. Questa consiste nella conoscenza
intuitiva della volontà, perchè attraverso la rappresentazione compiuta dall'artista si
rivelano direttamente le idee eterne. Afferma il nostro filosofo ne Il mondo come
volontà e rappresentazione: "L'oggetto viene a spogliarsi da ogni relazione con
altro, il soggetto da ogni relazione con la volontà, allora ciò che viene conosciuto non
è più la cosa particolare come tale, ma è invece l'idea, la forma eterna,
l'oggettività immediata della volontà in quel tale grado". Anche nell'arte la
volontà si rivela per vari gradi: nella poesia lirica, nell'idillio, nel romanzo,
nell'epopea fino al dramma, che rappresenta il genere più obiettivo, in esso viene alla
luce la spaventosa lotta della volontà con se stessa.
La tragedia e il concetto di tragico
La tragedia è il più elevato genere poetico a causa della difficoltà dell'esecuzione e
della potenza dell'effetto che riesce a ottenere. Come opera suprema del genio
poetico, la tragedia mostra il lato terribile della vita, i dolori e le angosce
dell'umanità, il trionfo dei malvagi e la sconfitta degli innocenti (cfr. A.
Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione). Mostrando il conflitto
della volontà con se stessa, la tragedia riesce a rappresentare tutte le sofferenze
umane, sia quelle provenienti dal caso e dall'errore come nell'Edipo Re di Sofocle, dove
infatti solo successivamente Edipo scopre di aver ucciso suo padre e sposato sua madre,
sia quelle che nascono dalla stessa natura dell'uomo. La tragedia quindi rappresenta
l'unica e identica volontà dove però le sue diverse manifestazioni si combattono e si
lacerano a vicenda (cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione).
|
Ciò che emerge nella tragedia è che il mondo e la vita non
possono concedere una vera soddisfazione e quindi non meritano il nostro attaccamento: in
ciò consiste lo spirito tragico che perciò conduce alla rassegnazione.
Infatti la presa di coscienza della durezza della realtà comporta una dolce rinuncia alla
felicità, alla speranza, alla volontà di vivere che viene oggettivata in quanto
espressione massima di una volontà cieca e irrazionale e in lotta con se stessa
quindi tragica. La tragedia per Schopenhauer porta sulla scena il senso esistenziale e
metafisico del male; in questo modo rivela all'uomo due possibilità per trascendere il
destino infelice del corso della volontà: la noluntas vivendi cioè l'ascesi e
la via percorsa dalla maggior parte degli uomini, quella del dolore direttamente provato
(cfr. P. Vidali, Il tragico, filosofi a confronto). Nella tragedia culmina il
processo di obiettivazione dell'autocoscienza della volontà. Emerge quindi chiaramente
ciò che Schopenhauer intende come "tragico", cioè l'autodistruzione e
l'autonegazione della volontà stessa che diviene manifesta nella lotta terribile tra i
personaggi, lotta della volontà con se stessa (cfr. P. Szondi, Saggio sul tragico).
I personaggi della tragedia dopo lunghe sofferenze rinunciano ai fini che all'inizio
perseguivano, sacrificano la loro gioia di vivere e addirittura la vita stessa. I
personaggi che muoiono, muoiono purificati dal dolore quando in loro è già morta la
volontà di vivere.
Per Schopenhauer gli spettatori della tragedia si sentono rabbrividire e hanno la
sensazione di trovarsi "tra i supplizi dell'inferno" (A. Schopenhauer, op.
cit.), provano quindi paura e dolore nel loro percorso verso l'autocoscienza. Allo stesso
modo Di Benedetto ritiene che in una delle tragedie classiche più rappresentativa come
l'Edipo di Sofocle la paura sia un elemento sempre presente nella psiche del personaggio
principale di Edipo che accompagna l'innato desiderio dell'uomo della conoscenza. E però
solamente attraverso questa crescente paura e sofferenza, che si giunge a cogliere la
realtà nella sua essenza (cfr. V. Di Benedetto, Sofocle,
Firenze 1983; Seneca, Edipo,Torino
1972). I personaggi del dramma sono in realtà inessenziali perchè il soggetto
essenziale è solo lo spettacolo di una grande sventura. Il dolore che viene rappresentato
nella tragedia può avere una funzione catartica; contemplando il dolore come essenza
della vita, l'uomo riesce momentaneamente a liberare il suo intelletto dalle necessità
della volontà. Queste necessità sono proprio la radice del nostro dolore, infatti nella
nostra vita sorgono sempre dei desideri e anche quando riusciamo a realizzarli non
possiamo essere liberi perchè subentra di nuovo l'angoscia nel desiderio di raggiungere
una nuova meta. Questa sofferenza senza fine è radice dell'infelicità umana.
La via dell'ascesi
L'arte non è però una liberazione definitiva perchè è una consolazione provvisoria,
una liberazione che può avvenire per istanti. L'uomo può essere libero solamente
identificandosi con la volontà metafisica, con la volontà di vivere. Davanti a questa
infatti l'uomo può compiere la scelta fondamentale di accettarla o sottrarsi. La
negazione della volontà avviene attraverso la via dell'ascesi quindi comprendendo il
dolore e la miseria che caratterizza il mondo come volontà, l'asceta decide di
distaccarsi dalla vita. Schopenhauer considera un gesto eroico il distacco totale dalla
vita a cui giunge il suicida, il suicidio però non può essere una soluzione definitiva
perchè la volontà di vivere che è immortale non soccombe insieme al singolo individuo.
A differenza del suicida che muore volendo, chi riesce a negare la volontà di vita giunge
alla calma in uno stato di "noluntas" ha finalmente soppresso l'essenza medesima
della volontà ed ha ridotto l'intero universo al nulla (cfr. Cioffi, Gallo, Luppi,
Vigorelli, Zanette, Corso di Filosofia, l'età contemporanea). La liberazione per
Schopenhauer rimane comunque un atto solamente individuale. Come specie, infatti, l'uomo
è sempre subordinato al volere e quindi in una condizione di radicale infelicità.
Infatti se il desiderio è mancanza e privazione è sofferenza, la vita umana sarà sempre
caratterizzata dal dolore. Sulla vita incombe sempre il tormento del desiderio inappagato
e quando si raggiunge la meta, si ottiene solo una momentanea liberazione dall'angoscia e
da quella insaziabile bramosia che ricompare sempre con il ripresentarsi di una nuova ed
ulteriore meta.