LA TRAGEDIA

 

Figlia del re degli Inferi Minosse e di sua moglie Pasifae, che doveva innamorarsi del toro inviato da Poseidone e dare alla luce il minotauro, discendente del Sole per parte di madre, Fedra fu data in sposa a Teseo, eroe attico. A Trezene o ad Atene, dove lui sarebbe venuto a celebrare i misteri, Fedra incontra Ippolito, figlio di Teseo e di un'amazzone chiamata a seconda delle versioni Melanippe, Antiope o Ippolita, e si innamora di lui. La storia di Fedra comincia in realtà con questa passione, dapprima taciuta, poi confessata sia alla nutrice sia allo stesso Ippolito durante l'assenza di Teseo, il cui ritorno provoca la calunnia di Fedra, il suo suicidio e la morte di Ippolito, imprudentemente maledetto da suo padre, in un combattimento con un mostro marino inviato da Poseidone.

Presentiamo qui di seguito la sintesi della tragedia raciniana, di cui diamo un riassunto atto per atto, inserendo successivamente la prefazione scritta dallo stesso Racine:

 


LA PREFAZIONE DI RACINE

"Ecco un'altra tragedia il cui soggetto è tratto da Euripide". Nello stendere questa tragedia l'autore francese apporta però alcune modifiche rispetto al tragediografo greco in particolare nel delineare i protagonisti:

Ippolito, mentre in Euripide e Seneca è accusato di aver realmente violentato la matrigna, nella Phèdre viene accusato solo di averne avuto l'intenzione. Inoltre Racine gli ha attribuito "...qualche punto debole che lo avrebbe reso un poco colpevole nei confronti del padre senza peraltro sminuire tutta la grandezza d'animo con cui risparmia l'onore di Fedra e si lascia opprimere per non accusarla", chiamando debolezza "...la passione che suo malgrado prova per Aricia, figlia e sorella dei mortali nemici di suo padre".

 


Il mito di Fedra ha sempre avuto un ottimo successo di pubblico, sia nell'antichità che nel XVII secolo, perchè, a parere di Racine, "...essa possiede tutte la qualità che Aristotele esige dall'eroe tragico e che sono adatte a suscitare la compassione e il terrore".
Inoltre tra tutte le tragedie da lui scritte, egli afferma con sicurezza che "...in nessun'altra la virtù è messa maggiormente in luce. Ogni più piccola colpa è severamente punita. I peccati d'amore si confondono con i veri peccati. Le passioni vengono descritte per mostrare tutto il disordine di cui sono causa". Il fine ultimo di tutti i tragediografi è quindi mostrare questa virtù, facendo diventare il teatro una scuola in cui la si insegna al pari delle scuole filosofiche; ed è questo che in ultima istanza si augura Racine.