All'incesto, soggetto eminentemente tragico in quanto si profila come scontro
violento fra la legge del sangue, base della famiglia e della società, e la legge della
passione, dei sentimenti, si collega la tragica storia dell'eroina alferiana.
L'idea per la tragedia derivò all'Alfieri dalla lettura delle Metamorfosi di Ovidio:
colpito da questo personaggio di fanciulla si convinse che attorno ad essa poteva essere
costruita una perfetta situazione tragica; ma Alfieri modificò profondamente la favola
mitica per renderla accettabile alla morale moderna.
La Mirra ovidiana nutre verso il padre Ciniro un amore incestuoso e si dispera, fino a
tetare il suicidio, quando questo decide di trovarle uno sposo.
L'evento viene impedito dalla nutrice la quale, dopo aver interrogato Mirra, scopre che la
fanciulla ama il padre e vede nella madre una rivale per questo folle sentimento.
L'autore classico non esita a portare a compimento la vicenda: nella nutrice prevale
sull'orrore la pietà e l'affetto per Mirra e sarà lei a permettere alla fanciulla di
consumare l'amore incestuoso, a causa del quale verrà trasformata nella
"mirra", la resina odorosa che trasuda da alcune piante orientali.
Di tutto questo Alfieri accoglie solo ciò che egli percepiva come situazione drammatica,
cioè il tormento della fanciulla; la sua purezza, la sua sincerità si trasformano negli
strumenti del suo tormento, in quanto è l'assoluta assenza di ogni malizia (al contrario
del personaggio ovidiano) che la trasforma in un campo aperto, nel quale può irrompere il
male e fare scempio, proprio perchè inizialmente neppure immaginato possibile, non
riconosciuto.
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"L'incontro di orrendo ed innocente nel
cuore di Mirra era infatti, oltre che una potente base di svolgimento e di scavo nel cupo
ove gli affetti han regno, la traduzione di un estremo approfondimento del motivo
tragico alfieriano portato alla sua espressione più dolorosa e desolata, più assoluta e
profonda chè proprio una fanciulla innocente e sensibilissima, la creatura più nobile e
pura che Alfieri abbia mai concepita e colorita dei colori più affascinanti di una prima
gioventù è invasa da una passione tremenda e invincibile, la più scelerata che animo
umano possa concepire." (W. Binni, Il Settecento letterario in Storia
della letteratura italiana, a cura di Cecchi-Sapegno, Milano, Garzanti 1968). Il
tormento di Mirra è fatto di silenzi, di domande alle quali non sa dare risposte e si
trasformano in incubi.
La tragedia vive soprattutto intorno al personaggio centrale rispetto al
quale gli altri personaggi hanno la funzione con la loro umanità affettuosa e con i loro
sentimenti di accentuare il clima di dolore e pietà che circonda Mirra e di aumentare a
dismisura il suo senso di colpa.
Ai personaggi minori Alfieri non richiede un' autonoma esistenza: essi vivono nel loro
legame con Mirra, in rapporto al suo dramma che li turba e provoca la loro reazione di
pietà, di dolore, di speranza, di pena per la propria incapacità di comprenderlo e di
risolverlo come essi vorrebbero. La loro individuale esistenza serve a graduare lo
svolgimento della tragedia, rileva il tormento, la solitudine, il bisogno e il ritegno di
confessione di Mirra.
Sotto un certo punto di vista i comprimari di Mirra presentano delle clamorose
manchevolezze: Ciniro è troppo buon padre ed e privo di quel fascino che si poteva
richiedere al "più avvenente dei mortali", Cecri troppo "mamma" e
ingenua, Euriclea troppo ciarliera, infine Pereo troppo "perfetto e
accondiscendente".
Ma sono proprio quei difetti a dare più forza alla tragedia: l'umanità paterna di Ciniro
renderà più difficile a Mirra la sua lotta per conservare di fronte a lui il suo segreto
e la farà sentire sempre più colpevole.
L'ingenuità materna di Cecri ecciterà con la sua incomprensione la reazione gelosa di
Mirra. La fedeltà assoluta della nutrice le consentirà sfoghi più aperti.
La devozione sconfinata di Pereo consente all'Alfieri di mettere in luce il fascino
femminile di Mirra.
La rappresentazione di questo mondo minore serve al poeta per far crescere lentamente il
motivo tragico che si svolge come un fuoco che gradualmente divampa.
Il dramma di Mirra muove da un punto di partenza disperato: essa considera chiaramente
invincibile e sa che non potrà ricacciarla da sé, che non potrà liberarsene e
riprendere la sua vita, ma che dovrà vincerla solo con l'eliminazione stessa della
propria esistenza.
Esclusa ogni possibilità di soluzione felice, Mirra agisce inizialmente per ottenere la
liberazione e la morte in una forma più accettabile di quanto non sarebbe il suicidio.
Con le nozze essa collega la partenza da Cipro, l'allontanamento dall'"infausta
reggia" e la morte di dolore che seguirà al distacco dal padre.
Per tre atti Mirra persegue, pur fra i contrasti legati allistintivo rifiuto del
legame con il non amato Pereo, questo suo obbiettivo (che le consentirebbe di morire
incolpevole) forzando il fidanzato e i genitori ad accettare la soluzione delle nozze che
il suo stato disperato fa viceversa apparire a quelli come causa del suo dolore.
Ma quando nel quarto atto ha luogo la cerimonia delle nozze, la passione a lungo repressa
si tramuta in un moto invincibile di repulsione per quellaborrito legame, la
cerimonia è interrotta e quella possibilità di evasione, di liberazione si infrange come
in un anticipo di catastrofe.
Mirra si piega allora sulla richiesta della morte al padre a alla madre e, quando anche
questa possibilità di liberazione si dimostra impossibile nel quinto atto, essa lotterà
ormai solo per conservare il segreto della sua passione.
Nelle scene finali dellatto quinto la tragedia giunge infine alla sua soluzione: si
risolve la tremenda tensione che si è accumulata nellanimo di Mirra.
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Si tratta della denuncia di una perdita di identità.
Nella fanciulla la figlia e lamante convivono in un conflitto straniante, fintanto
che la lotta può restare segreta e Mirra può ancora attribuire alle Furie, a forze
maligne ed esterne, lattrazione erotica verso il padre.
Sogni, incubi, silenzi, idee inespresse e
represse sono le manifestazioni di un inconscio al
quale la giovane donna non vuole riconoscere consistenza per difendere lidentità
dellio, lessere figlia. Il colloquio con il padre Ciniro è il momento
drammatico in cui Mirra combatte la sua ultima battaglia, ma questa è perduta in
partenza: "se Mirra riuscisse a far prevalere la sua identità di figlia si
precluderebbe definitivamente la possibilità di amare Ciniro in modo diverso; se
rivelasse se stessa, se desse corpo e voce al suo essere amante, ucciderebbe sé come
figlia e manifesterebbe un sentimento empio, oltre i confini non solo di ciò che gli
uomini tutti riconoscono come giusto, ma anche al di là dei limiti della ragione. Il
suicidio scioglie questo nodo, ma nello stesso tempo segna il trionfo dellinconscio
che riafferma la sua forza dimostrando linutilità di ogni tentativo di negarlo o di
rimuoverlo per salvaguardare lordine morale." (G.Bellini-G.Marroni,
Letteratura italiana. Storia, forme, testi, Bari, Laterza, 1991).