La filosofia ha spesso rivolto con interesse il proprio sguardo alla tragedia,
mostrandole un'indubbia predilezione rispetto alle altre espressioni artistiche. Ma quali
sono le ragioni del loro intimo rapporto?
In sostanza è possibile rinvenirle nel fatto che entrambe si
pongono le stesse domande e rivelano un'analoga attitudine problematica. La relazione fra
uomo e divinità (non intesa solo in senso religioso ma anche come complesso di forze
trascendenti e imperscrutabili), il vivere sociale dell'individuo, la ricerca della
verità, il senso di giustizia: queste sono le grandi questioni sulle quali riflettono.
In tale ottica Karl Jaspers (1883-1969) afferma che "la concezione tragica
originaria è un interrogare e un riflettere in figure", e in essa si trova
"ciò che corrisponde alla vera e propria filosofia: il movimento, l'interrogativo,
l'apertura spirituale; la commozione, lo stupore, la veracità, la mancanza di
illusioni".
Già la filosofia greca aveva meditato sull'essenza dell'arte tragica e il suo contributo più interessante è conservato nella Poetica di Aristotele:
'/Estin oân tragJd a m mhsij pr£xewj spouda aj ka tele aj mgeqoj coÚshj, ¹dusmnJ lÒgJ cwrj k£stJ tîn edîn n toj mor oij, drèntwn ka oÙ di' ¢paggel aj, di' lou ka fÒbou pera nousa t¾n tîn toioÚtwn paqhm£twn k£qarsin (VI, 1449b, 23-27).
"La tragedia è l'imitazione di un'azione seria e compiuta in se stessa, di una certa estensione, in un linguaggio adorno di vari abbellimenti, applicati ciascuno a suo luogo nelle diverse parti, rappresentata da personaggi che agiscono, e non narrata; la quale, mediante pietà e terrore, produce la purificazione di siffatte passioni" (trad. Del Corno);
"La tragedia è imitazione di azione seria e compiuta, con una determinata ampiezza, in uno stile seducente mediante ciascuna specie delle sue manifestazioni separatamente nelle parti [della tragedia], e l'azione è dovuta ad attori e non esposta in forma narrativa: per mezzo della compassione e della paura ottiene come risultato la purificazione, che è opera di passioni di questo genere" (trad. Untersteiner);
Ma la riflessione del filosofo greco si sofferma sugli aspetti formali dell'attività poetica:
"suo oggetto è la tragedia, non l'idea di essa. Anche quando si spinge al di là dell'opera d'arte nella sua concretezza, interrogandosi sull'origine e sull'effetto della tragedia, la dottrina che lo anima rimane empirica, e le affermazioni cui esso in tal modo perviene - quelle relative all'impulso mimetico come origine dell'arte e alla catarsi come effetto - hanno senso non in se stesse, ma nel significato che rivestono per la poesia, la quale deve trarne le proprie leggi" (Szondi, Saggio sul tragico).
La meditazione sul tragico, intesa come categoria con cui pensare
ed interrogare il mondo, nasce e si sviluppa nell'ambiente filosofico-letterario del
romanticismo tedesco con la celebre sentenza di Goethe: "Ogni tragicità è fondata
su un conflitto incociliabile. Se interviene o diventa possibile una conciliazione il
tragico scompare".
Essa è un elemento comune a tutte le successive teorie filosofiche, che talora
divergono profondamente tra loro.
All'origine delle differenti interpretazioni si trovano opinioni diverse su medesimi
interrogativi. Qual è il rapporto tra tragico e realtà? Il reale è in sostanza tragico
o il tragico è solo una dimensione del reale?
Risposte discordanti in merito a ciò danno luogo a sviluppi teorici distinti: se il
tragico è un dato costitutivo del reale, non è legittimo sperare in un suo
"superamento", ma se invece si configura come un aspetto, un momento, allora
tale speranza è ragionevole. E' inoltre fondamentale chiedersi quali sono i termini del
conflitto tragico e da che cosa sia animato; qual è il suo significato nella vita
dell'uomo e quale atteggiamento comporta.
Consideriamo, dunque, le risposte dei singoli filosofi a tali quesiti, utilizzandole come chiavi di lettura per le varie teorie che ci apprestiamo ad esaminare.