JAMES HILLMAN

 

 

James Hillman, nato nel 1926 ad Atlantic City, ha diretto il Carl Gustav Jung Institut di Zurigo e quindi ha fondato il Dallas Institute of Humanities and Culture dove ora insegna. Dal 1970 dirige la rivista "Spring" che accoglie i maggiori contributi alla psicologia archetipica, il più originale e fecondo sviluppo della psicologia di derivazione junghiana.
Hillman immagina la mente come una base "poetica" e perciò fondata non sulle microstrutture del cervello o del linguaggio, ma su quelle storie mitiche, protagonisti gli Dei, che al nostro agire, credere, conoscere, sentire, soffrire, offrono modelii fondamentali e insieme la dimora in cui sussistere. Conoscere la mente più profonda è perciò vedere le immagini e ascoltare la storia con un'attenzione poetica, che sappia accogliere il carattere estetico insieme a quello terapeutico. Il fine è educare la capacità immaginativa e insegnare l'arte di vivere fra le immagini: "guarire" sarà ritrovare il senso perduto del vivere e del morire dentro un cosmo immaginale, attuare "storie che curano" dove la vita possa finalmente avere dimora.
Vi presenteremo una sintesi della prima parte di un saggio che Hillman ha composto per la conferenza di Eranos ad Ascona nell'agosto del 1987. Tale sintesi ha lo scopo di dare un'idea del pensiero di Hillman riguardo al rapporto tra la psicoanalisi e il mito greco, ed in particolar modo l'Edipo Re di Sofocle. Troverete i seguenti punti:

  1. La cecità psicoanalitica
  2. Mito e metodo
  3. Mito e psicoanalisi
  4. La famiglia come fato



La cecità psicoanalitica


Moreau. Edipo e la sfinge.

Hillman sostiene che la cecità è il prerequisito del metodo edipico della psicologia del profondo, giacchè è con essa che si inaugura la ricerca di sè. Si cammina  nel buio, incapaci di vedre cosa fare, che strada prendere, come a un crocevia. Ci sono vari modi di essere ciechi: quello di Edipo, i cui occhi sono aperti, ma non gli consentono di vedere, e quello di Tiresia che ha gli occhi chiusi, ma è un veggente. Eppure sono ciechi entrambi. Il linguaggio di luce, visione, occhi pervade tutta la tragedia. L'accecamento di Edipo alla fine è in ogni caso l'esito del suo metodo di procedere (seguire le tracce, interrogare, cercare la verità su sè stessi). Il "conosci te stesso" equivale qui alla cecità, quando seguendo il metodo edipico, finalmente vengo a sapere chi sono il risultato è l'accecamento, la cecità. Ciò che Tiresia chiama "la maledizione della madre e del padre, che da ogni parte colpendoti (...), col suo terribile piede ti scaccerà infine da questo paese; e se ora vedi bene tra poco vedrai le tenebre" (vv. 416-419), è il risultato del tentativo da parte di Edipo di vedere per via di interrogazione e di interpretazione. Ciò che si scopre discende dal modo in cui si scopre. Scoprire chi siamo sconfigge l'inconsapevolezza incestuosa e l'analista fa da guida con i suoi occhi più grandi, più penetranti, gli occhi di Tiresia. L'analisi mira ad aprire quelli del paziente, in modo di vedere la vita più chiaramente, come un campo di proiezioni inconsapevoli. Il risultato finale, secondo Hillman, è la tragedia, giacchè lo sforzo eroico di vedere, a cui l'io si sottopone, è il sintomo stesso che tenta di vedere, e un sintomo non può vedere se stesso. La tragedia della Grecia diviene la tragedia della psicoanalisi. Come dice Freud: "Ogni membro dell'uditorio è stato una volta un tale Edipo, in germe e in fantasia, e da questa realizzazione di un sogno trasferito nella realtà ognuno si ritrae con errore".

 


Mito e metodo
In sostanza, Hillman sostiene che l'analisi è lei stessa edipica e lo è nel metodo: la ricerca come interrogazione, la scienza come vedere, il dialogo per scoprire, la scoperta di sè attraverso la rimemorazione dei primi anni di vita, la lettura oracolare dei sogni. I metodi di analisi sono i metodi di questo mito. Il termine greco per strada è ὁδός, da cui deriva il nostro metodo, μέθοδος. Dice Freud: "L'azione della tragedia non consiste in altro che nella rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte - paragonabile al lavoro dello psicanalista - ...". Quindi, secondo Hillman, ciò che Freud vede  è l'oggettivazione del mito che egli ha introdotto nell'analisi secondo il suo metodo, un'arte della scoperta attraverso soluzioni chiarificatrici. Conclude Hillman, Freud è edipico; l'ambito della nostra psicologia è edipico, perchè, secondo Tiresia, la caratteristica saliente di quel cieco che è Edipo consiste nel modo in cui la sua mente lavora, nel suo superiore γιγνώσκειν (v. 440): scoprire, trovare, risolvere. Ed è appunto questa attività analitica del risolvere che continua a mantenerci edipici.

 


Mito e psicoanalisi
"La Wirksamkeit del mito, la sua realtà" - continua Hillman - "consistono precisamente nel potere che gli è proprio di conquistare ed influenzare la nostra vita psichica". I Greci lo sapevano molto bene, per questo non conobbero una psicologia del profondo ed una psicopatologia. La psicologia mostra, infatti, i miti in vesti moderne, mentre i miti mostrano la nostra psicologia in vesti antiche. Il primo a riconoscere questa verità fondatrice per la moderna psicologia del profondo fu Sigmund Freud. Il primo a riconoscere le implicazioni racchiuse nel riconoscimento da parte di Freud del rapporto fra mito e psiche, fra mondo antico e psicologia moderna, fu Carl Gustav Jung.


Giorgio De Chirico. L'enigma e l'oracolo.

Prendiamo il passo tratto dalle pagine di apertura dell'opera di Yung I simboli della libido:

Chiunque sia riuscito a leggere l'Interpretazione dei sogni di Freud (...) e con animo pacato e libero da pregiudizi ha potuto subire la suggestione di una materia così particolare, sarà stato di certo profondamente scosso dal passo di Freud, là dove egli rammenta che alla base di quel poderoso tema drammatico dell'antichità che è la leggenda di Edipo, vi è un conflitto psicologico individuale, cioè una fantasia incestuosa. (...) Eravamo ancora in preda alla confusione che emana dall'infinita variabilità dell'anima individuale, quando tutt'a un tratto la semplice grandiosità della tragedia di Edipo, fiaccola del teatro greco destinata a non più spegnersi, si dischiuse al nostro sguardo. L'ampliarsi dei nostri orizzonti assomiglia ad una rivelazione. (...) Ma se seguiamo il cammino tracciato da Freud (...) l'abisso che divide la nostra epoca dall'antichità viene a essere colmato e ci avvediamo allora con stupore che Edipo vive ancora. (...) In tal modo, ai fini della comprensione dello spirito antico si apre una via mai esistita prima d'ora. (...) Passando per le infrastrutture celate della nostra anima, giungiamo a far nostro in tutta la sua vitalità il senso della civiltà antica e a prendere possesso di una solida base per comprenderne oggettivamente le correnti. Questa è almeno la speranza che attingiamo dalla riscoperta dell'immortalità del problema di Edipo
(C.G. Jung, Opere, vol. 5, pp.17-19, ed. Boringhieri, Torino 1969-1988).

E ora le parole di Freud:

Amore per l'uno, odio per l'altro dei genitori, fanno parte di quella riserva inalienabile di impulsi psichici che si forma nella vita psichica infantile. A sostegno di questa conoscenza, l'antichità ci ha tramandato un materiale leggendario, la cui energica e universale efficacia riesce comprensibile soltanto ammettendo un'analoga validità generale delle promesse anzidette, tratte dalla psicologia infantile. Intendo la leggenda del re Edipo e l'omonima tragedia di Sofocle.
(S. Freud, Opere, vol. 3, pp. 242-244, qui e di seguito ed. Boringhieri, Torino 1967-1980).

Dopo aver passato brevemente in rassegna il mithos continua:

Ora, l'azione della tragedia non della tragedia non consiste in altro che nella rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte - paragonabile al lavoro di una psicoanalisi - che Edipo stesso è l'assassino di Laio...

Il legame tra arte e psicanalisi è riaffermato da Freud dopo qualche riga:

Portando alla luce nella sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prender conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti.

E Freud continua:

Se il re Edipo riesce a scuotere l'uomo moderno non meno dei greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che (...) deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo. (...) Il suo destino ci commuove soltanto perchè sarebbe potuto diventare anche il nostro, perchè prima della nostra nascità l'oracolo ha decretato il medesimo destino per me e per lui.

 

Hillman nota che questi passi mostrano come il particolare mito che ricongiunge la psicanalisi all'antichità è l'Oedipus Tyrannus di Sofocle. All'interno di un progetto di una re-visione archetipica della psicoanalisi del profondo, Hillman ritiene "inevitabile rivisitare prima di tutto questo Edipo. Effettuare una revisione archetipica significa, per Hillman, risalire sino alle radici immaginali che stanno a monte dei modi di pensare e agire della psicologia. Per far ciò bisognerà guardare al fondamento delle sue fantasie, ai miti. Hillman intende, quindi, portare alla luce nalla storia di Edipo elementi utili alla psicologia del profondo "perchè questo è il luogo in cui il teatro di Edipo continua a essere messo in scena".

 


La famiglia come fato
Secondo Hillman, Freud narra la storia di Edipo in modo tale che l'omicidio del padre sembra essere il risultato del desiderio per la madre. Ma nella tragedia e nella leggenda prima venne l'omicidio e poi l'incesto e un incesto senza passione. La seduzione della madre e i materialismi di ogni sorta vengono dopo l'uccisione del padre. E' quando uccidiamo il padre che siamo Edipo. Bisogna, quindi, trovare che cosa, dove sia il padre nella nostra psicologia. Hillman sostiene che ogni entità avversa cui non riusciamo a sottrarci possa essere un padre non riconosciuto; e che quindi incontriamo un padre in quei momenti in cui la strada ci viene ristretta sino alla determinazione di un senso unico, quei momenti in cui non vogliamo cedere il passo a ciò che ci viene incontro. Resistendo a ciò che ci viene incontro, noi siamo Edipo, poichè uccidiamo il padre.