HEGEL

 



Hegel ritiene che la storia sia una manifestazione dello spirito, e che nella tragedia antica si possano ritrovare con chiarezza le manifestazioni della razionalità, al punto che nella Fenomenologia della spirito i momenti  iniziali dello spirito, legge umana e divina ed il loro conflitto, sono pensati in chiara analogia con la collisione tragica che a giudizio del filosofo si può trovare nell'Antigone di Sofocle.


Edipo cieco.

Un'analisi approfondita del tragico si trova nell'Estetica. In essa Hegel osserva come nella tragedia antica ogni personaggio sia fissato nell'obbedienza ad alcuni valori, e debba necessariamente scontrarsi contro un altro personaggio con valori opposti. Il tragico consiste nel fatto che i valori di entrambi i personaggi avrebbero di per sé una giustificazione, e che però nell'azione si possano realizzare solo con l'annientamento dell'opposto, che è ugualmente legittimo. Così entrambi diventano colpevoli e viene frustrato il loro desiderio di agire giustamente. Cioè, detto in linguaggio hegeliano, nel tragico ogni carattere si isola

unilateralmente nella sua determinatezza per sé compiuta, suscita necessariamente contro di sé il pathos opposto e conduce perciò a conflitti inevitabili. Il tragico originario consiste nel fatto che entro tale collisione entrambi i lati dell’opposizione, di per sé presi, hanno la loro legittimità, mentre, d’altra parte, sono in grado di realizzare il vero contenuto positivo del loro fine e del loro carattere solo come negazione e violazione dell’altra potenza, ugualmente legittima, e cadono quindi in colpa proprio nella loro eticità a causa di essa.

La soluzione non può aversi che mediante un esito tragico (morte dell’individuo), in cui si ristabiliscono oltre ogni unilaterale particolarità i diritti della sostanza etica e l’unità di senso del tutto, da cui nasce il sentimento della conciliazione che la tragedia procura.

Anche per Hegel dunque l’origine del tragico si trova in un conflitto. Egli nota inoltre che i caratteri della tragedia antica rappresentavano compiutamente l’oggettivazione dello spirito in fini etici sostanziali. Questo può essere chiarito meglio richiamando l’interpretazione hegeliana della figura di Creonte e di Antigone, in quanto essa è chiara e profonda. Ad un primo approccio, Creonte potrebbe apparire solo un tiranno meschino ed abbietto, necessario solo per mettere in risalto l’eroicità di Antigone. Invece Hegel nota che è la rappresentazione in forma artistica di un valore altissimo per il filosofo: lo Stato ed il diritto. Il fatto che nella sua determinazione artistica possa apparire esecrabile non compromette la giustificazione del suo agire: essa è il bene dello Stato, un fine etico che è sostanziale in quanto lo Stato è la manifestazione dello spirito in istituzioni. Antigone agisce invece per i legami familiari, che sono anch’essi un fine etico sostanziale, in quanto la compattezza etica della famiglia è oggettivazione della razionalità e concorre a fondare lo Stato.
Hegel descrive così questi due personaggi nell'estetica:

"Antigone onora i vincoli del sangue, gli dei inferi, Creonte solo Zeus, la potenza reggente la vita pubblica, il bene comune."

Si può notare inoltre come entrambi i personaggi siano monolitici ed ostinati nella coerenza ai loro valori. Sono cioè isolati in una unilaterale determinatezza di per sé compiuta. Inoltre la forma nella tragedia antica è ancora adeguata al contenuto, per cui i personaggi si ergono davanti a noi con chiarezza, compiutamente e senza bisogno di simboli. I protagonisti della tragedia moderna invece possono essere mossi da fini soggettivi e dunque non etici, come l’amore romantico, possono essere ambigui e possono anche avere un contenuto irriducibile in forma artistica.

Poste queste premesse, si può presentare l’analisi hegeliana dell’Edipo re. Il fine etico di Edipo è il diritto della vigile coscienza a dominare e giustificare le proprie azioni, diritto che si scontra con le azioni compiute inconsciamente. Hegel osserva poi come il protagonista della tragedia antica sia un uomo plastico, in quanto la sua autocoscienza soggettiva faceva tutt'uno con la sua oggettività. E’ questo il motivo per cui Edipo si ritiene responsabile dell’atto che ha compiuto inconsciamente. La coscienza moderna non riconoscerebbe questi delitti, indipendenti dal proprio volere, come propri atti, ma il greco invece li rivendica, in quanto vuole essere e sente di essere pienamente ciò che fa. In questo, secondo il filosofo, consiste la grandezza anche dell’uomo greco.

Bisogna poi spiegare come l’esito (l’accecamento e l’esilio) possa portare ad una conciliazione, quando invece parrebbe un semplice annientamento. Questo può forse essere in parte chiarito rifacendosi alla trattazione hegeliana della colpa e della pena nei Lineamenti di filosofia del diritto. Qui il filosofo nota come paradossalmente proprio tramite la pena il colpevole possa rientrare nel diritto. Così la pena diviene un diritto del colpevole, che altrimenti sarebbe costretto a vivere una vita al di fuori della razionalità, e quindi infelice e perfino irreale, poiché solo ciò che è razionale è reale. Allo stesso modo Edipo auto-annientandosi, assume la responsabilità di ciò che ha fatto, rivendica le sue azioni e può così riportare all’unità sia il suo agire oggettivo sia la sua autocoscienza soggettiva.


Dominique Ingres, Edipo
e la Sfinge,
1808,
Parigi, Louvre

Potrebbe interessare al lettore la conoscenza dell’analisi che Hegel fa della sfinge nell'Estetica, nella parte dedicata alla storia ed alle forme particolari del bello artistico. Essa rappresenta

la tensione verso una spiritualità autocosciente, che non si comprende a partire da sé nella realtà ad essa sola adeguata ma si intuisce soltanto in ciò che le è affine, diventando cosciente di ciò che le è estraneo, è il simbolico in generale, che a questa altezza si trasforma in enigma.

Il filosofo intende dire che la sfinge è il simbolo di una condizione non ancora spiritualizzata, in cui l'uomo si confonde con gli altri animali, che gli sono affini. Quindi non è in grado di concepire con chiarezza la sua essenza umana e non può neanche esprimerla in una forma compiuta. La sfinge è perciò il simbolo di un enigma e di un interrogativo angoscioso: "Chi è che al mattino cammina con quattro gambe, a mezzogiorno con due, alla sera con tre?". Cioè in termini non simbolici e non artistici "chi sono io e qual è la mia essenza?". Ed Edipo capisce che la risposta è l'uomo, perché è un greco e sa che deve conoscere se stesso e portarsi alla "luce della coscienza", secondo Hegel.