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Mahathir Mohamad, primo ministro e
uomo forte della Federazione della Malesia dal 1981, è uno dei pochi dirigenti
politici della regione che non sia stato allontanato dal potere quando la crisi
finanziaria ha investito l'Asia orientale nel luglio 1997. L'introduzione del
controllo dei cambi e il licenziamento del vice primo ministro e responsabile
delle finanze, Anwar Ibrahim, poi incarcerato e processato in seguito ad accuse
costruite ad arte dimostrano quanto siano profonde le contraddizioni messe in
luce dalla recessione. In particolare la contrapposizione tra controllo
nazionale dell'economia e sottomissione ai rischi della globalizzazione. di
DAVID CAMROUX * Prima della crisi finanziaria del 1997, la Malesia veniva spesso
presentata come la quinta tigre asiatica dopo Corea del sud, Taiwan, Hong Kong e
Singapore (1). All'inizio degli anni '90, il reddito annuo per abitante superava
i 3.000 dollari; nel 1995, i manufatti costituivano il 78,5 % del totale delle
esportazioni, mentre negli anni '70 prodotti agricoli e materie prime
raggiungevano insieme il 72,4 %.
L'industrializzazione accelerata era stata accompagnata da profondi mutamenti
nella società. Nel 1969, dopo le sommosse anti-cinesi a Kuala Lumpur, fu
inaugurato un nuovo orientamento politico tendente a rompere il legame tra
origine etnica e status socioeconomico. Fino ad allora, i malesi di origine
cinese (o sino-malesi), minoritari nella popolazione, avevano detenuto le leve
fondamentali dell'economia del paese (2). Un sistema di discriminazione
positiva, sulla base di quote, ha poi ampliato la presenza dei malesi
nell'istruzione e nei servizi pubblici. Sono stati, inoltre, creati fondi
speciali per le imprese bumiputera, cioè controllate dai Bumi ("figli della
terra"), dunque di fatto malesi. Il riequilibrio desiderato è stato globalmente
ottenuto e ha favorito la formazione di una classe media di origine malese. La
percentuale dei titoli di proprietà controllata dai Bumi è passata dall'1 % del
1970 al 20, 6 % del 1995, cui va aggiunto l'8,3 % detenuto da società prestanome
(l'obiettivo iniziale era del 30 %). Nello stesso tempo anche la quota
dell'economia controllata dai sino-malesi è aumentata arrivando al 40,9% (3).
Nel 1980, lo stato crea una conglomerata pubblica nell'industria pesante, la
Hicom, dotando così la Malesia di un secondo gruppo di dimensione mondiale da
affiancare alla compagnia petrolifera nazionale Petronas. A metà degli anni '80,
si determina un'inversione: poiché quasi un terzo delle mille imprese del
settore pubblico presenta una gestione deficitaria, l'allora ministro delle
finanze, Daim Zanuddin, sponsorizza una campagna di privatizzazioni il cui
obiettivo, secondo le dichiarazioni dello stesso primo ministro Mahathir Mohamad,
era la creazione di un gruppo ristretto di milionari malesi che servisse da
esempio agli altri cittadini (malesi).
La maggior parte delle privatizzazioni favorisce imprenditori legati al potere.
Molte imprese passano nelle mani della Renong, holding societaria prima
controllata dall'Organizzazione dei malesi uniti (Umno) partito egemone
all'interno del governo -, e poi diretta da Halim Saad, molto vicino a Daim
Zanuddin (4).
Tuttavia, all'inizio degli anni '90 le spese pubbliche rappresentavano ancora il
52 % del prodotto interno lordo (PIL).
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Infine, il 28 febbraio 1991, Mahatir lancia"Wawasan 2020" (Visione 2020) con
l'obiettivo di allineare, in trent'anni, il livello di vita della Malesia a
quello occidentale facendone un paese"pienamente sviluppato non solo sul piano
economico, ma anche a livello politico, sociale e spirituale". Visione 2020
mirava dunque a forgiare una nuova identità nazionale rafforzando la società
civile (5), e ad esaltare il successo del Melayu Baru, il"Nuovo malese". Ma,
paradossalmente, il nazionalismo economico sceglie una maggiore apertura negli
scambi con l'estero.
Il"mahathirismo" si presenta come una dottrina articolata attorno a cinque
elementi: nazionalismo, capitalismo, islam, populismo e autoritarismo (6). Nei
fatti si traduce in un sottile dosaggio di procedure ostentatamente democratiche
e di pratiche dispotiche. Un regime al tempo stesso"cooperativo" e repressivo
(7), nel quale lo spazio politico di volta in volta viene aperto e chiuso. Il
potere si concentra sempre più nel governo federale, a sua volta dominato
dall'Umno, ma in realtà è nelle mani del primo ministro, eletto nel 1981.
All'inizio degli anni '90, le prerogative dei sultani (8) sono ridotte
drasticamente, mentre la nomina di giudici compiacenti trasforma in farsa
l'indipendenza del potere giudiziario. Nel 1998 infine, nella bufera della crisi
finanziaria, la Banca centrale viene posta sotto la tutela del primo ministro.
Mahathir è una delle ultime figure politiche del terzo mondo che denunci
pubblicamente l'imperialismo e il neocolonialismo occidentali. Questa posizione
non gli ha impedito né di corteggiare capitalisti stranieri né di liberalizzare
l'economia.
Da parte sua, Anwar Ibrahim, ex oppositore e dirigente del movimento studentesco
islamico Abim, responsabile del ministero delle finanze ed erede politico del
primo ministro, è oggi in carcere in nome della legge sulla sicurezza nazionale
(Isa). Il suo processo, basato su capi d'accusa assai poco convincenti
come"abuso di potere" e"sodomia", sta screditando il regime.
Il conflitto tra Mahathir e Anwar è solo in parte scontro tra due personalità
molto diverse in lotta per il potere. La sua reale importanza sta nel rendere
esplicite le contraddizioni politiche ed economiche che lo sviluppo, la
modernizzazione e l'emergere di una classe media avevano in passato nascosto.
La pubblicazione emblematica di Mahathir, The Malay Dilemma ("Il dilemma
malese") (9) è un vigoroso manifesto a favore del nazionalismo e dei diritti
malesi. Al contrario, Anwar Ibrahim, nel suo libro The Asian Renaissance (10),
difende l'idea di una simbiosi tra Est e Ovest all'interno del nuovo ordine
mondiale e prende le distanze dai"valori asiatici" tanto cari al primo ministro
(11).
Man mano che la crisi finanziaria si manifesta e si aggrava, il discorso
anti-occidentale di Mahathir si estende al settore economico, con attacchi
venati di antisemitismo contro George Soros, i mercati finanziari e gli
speculatori in generale. Nello stesso tempo, Anwar, che gode della fiducia
della"comunità finanziaria" internazionale, tenta di rassicurare gli investitori
stranieri sulla volontà malese di rispettare le prescrizioni del Fondo monetario
internazionale (Fmi). Approcci strategici così differenti non erano
conciliabili.
Ai primi segnali della tempesta finanziaria, Anwar ottiene il consenso di
Mahathir per un programma di ristrutturazione: aumento dei tassi di interesse,
riduzione della spesa pubblica e ulteriori misure di deregolamentazione. Ma, nel
febbraio 1998, Mahathir crea il Consiglio nazionale per i problemi economici
(Neac) e richiama l'ex tesoriere dell'Umno e ministro delle finanze, Daim
Zanuddin, per organizzare una diversa strategia.
Malgrado l'opposizione di Anwar, i fondi pubblici vengono utilizzati per salvare
la holding Renong. La rottura si consuma nel momento in cui Anwar tenta di
impedire che la Petronas sia usata a sostegno della compagnia marittima diretta
da Mirzan Mahathir, figlio del primo ministro. All'inizio del 1998 vengono
introdotte misure di urgenza per aumentare in modo considerevole le spese di
beni strumentali, in particolare in cantieri precedentemente privatizzati e
affidati a sostenitori di Mahathir.
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Il primo settembre, il governatore della Banca centrale, sostenitore della
linea politica di Anwar, è sostituto da Ali Abul Hassan, membro del gabinetto
del primo ministro, e un nuovo controllo dei cambi mette fine alla
convertibilità della moneta nazionale, il ringgit. Il giorno dopo Anwar è
destituito. Il 20 settembre, subito dopo una manifestazione di sostegno che
riunisce 50.000 persone sulla piazza dell'Indipendenza, l'ex delfino viene
arrestato, malmenato e incarcerato. Mahathir e i suoi sostenitori sono ormai
soli al commando. A fine settembre le banche malesi ricevono dalla banca
centrale l'ordine di portare i tassi d'interesse annui all'8 %. Viene creata una
società pubblica per lo sviluppo delle infrastrutture e la Renong si vede
attribuire 1,2 miliardi di dollari di fondi pubblici. Infine, il 23 ottobre, il
Parlamento vota un bilancio annuale nel quale il deficit aumenta dal 3,7 % al 6
% del prodotto interno lordo (PIL).
La risposta protezionista di Mahathir alla crisi è approvata dalla maggioranza
dell'opinione pubblica, ma anche, a diversi livelli, dal resto della regione: lo
appoggiano Cina, Giappone dove la confederazione padronale manifesta il suo
sostegno incondizionato e gli altri governi del Sudest asiatico, in particolare
quelli, nuovi, di Thailandia e Indonesia. I governi occidentali, al contrario,
condannano la svolta. Ma le misure adottate da Kuala Lumpur hanno quanto meno
permesso di rilanciare il dibattito internazionale sulla fondatezza del
controllo dei cambi e di una politica di espansione a sostegno della ripresa
della domanda.
Questa scelta è stata però pagata molto cara a livello di politica interna.
L'immagine di Anwar che arriva in tribunale con un'ecchimosi all'occhio e lo
spiegamento di forza pubblica per impedire manifestazioni, hanno accentuato il
senso di ingiustizia. Superando le differenze etniche, i diversi oppositori si
ritrovano, di fatto, alleati con l'ex delfino di Mahathir, cosa che non era mai
successa prima.
Contro il governo sono nati due gruppi: la Coalition for People's Democracy, che
unisce il partito d'opposizione cinese (Partito di azione democratica Pad) a una
decina di organizzazioni non governative, e il People's Justice Movement,
formato soprattutto da membri del Pas, il partito islamico di opposizione
attualmente al potere nello stato di Kelantan.
L'ironia della sorte non risparmia il primo ministro che ha l'ambizione di
educare la popolazione all'informatica: Internet è diventato un mezzo per
organizzare manifestazioni (13)! Gli oppositori, inoltre, non si accontentano
più di reclamare la liberazione di Anwar e le dimissioni di Mahathir. Il loro
programma si spinge ormai fino a chiedere l'abolizione della legge sulla
sicurezza interna, la garanzia dell'indipendenza del potere giudiziario e il
controllo delle forze di polizia. Le rivendicazioni non arrivano però ad esigere
la lotta contro la corruzione e il nepotismo E anche il loro programma economico
rimane estremamente vago.
Malgrado la sua nuova visibilità, è poco probabile che l'opposizione sia in
grado di rovesciare il regime. Le modalità di voto restano favorevoli
all'attuale governo. In particolare, la suddivisione elettorale del paese
garantisce de facto la maggioranza all'Umno. Tanto più che l'effetto leva dello
scrutinio a maggioranza uninominale in un solo turno trasforma le maggioranza
relative in voti, in maggioranze assolute in seggi al Parlamento. Infine, oltre
alla legge sulla sicurezza interna, il governo dispone di un impressionante
arsenale legislativo: legge contro la sedizione, sulle associazioni, sul
controllo della stampa e sull'insegnamento superiore. In questo contesto,
l'eventuale allontanamento di Mahathir potrebbe verificarsi solo per una
scissione interna dell'Umno, dove la sua autorità è già stata messa in
discussione. D'altra parte, a questo proposito, è significativo che Mahathir
abbia rinviato il prossimo congresso del partito all'indomani delle elezioni
legislative previste per l'aprile del 2000.
Una volta stabilizzata la situazione, sia a livello di economia nazionale che
dello stato di salute delle imprese dirette dagli amici del potere attuale, il
primo ministro, ormai settantenne, potrebbe essere invitato ad andare in
pensione in nome dell'unità della Federazione. Potrebbe succedergli un capo del
governo più vicino alle aspirazioni della classe media malese e insieme
accettabile per le altre etnie. L'entità della frattura politica provocata dal
processo fiume di Anwar iniziato il 2 dicembre 1998 e, dopo un'interruzione,
ripreso il 26 gennaio 1999 chiarirà quali sono le sue possibilità di rientrare
un giorno nell'Umno per prenderne la direzione. Appoggiandosi proprio alla
classe sociale sostenuta da Mahathir: quella dei nuovi malesi