La Birmania, ex colonia britannica, ottenne l'indipendenza il 4 gennaio 1948,
costituendosi come Unione Federale Birmana e il 18 giugno 1989 prese il nome di
Myanmar. Il generale Ne Win, il 2 marzo 1962 con un colpo di stato prese il
potere, instaurando una dittatura militare.
Nel 1988, dopo aver duramente represso le manifestazioni contro il governo,
lasciando sul terreno più di tremila morti, una nuova giunta militare assunse il
potere.
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Il Consiglio per il Ripristino dell'Ordine e della Legge dello Stato (SLORC)
diede inizio a una durissima repressione, attuata per mezzo di torture,
esecuzioni sommarie e arresti di massa contro gli attivisti politici. Due anni
dopo indisse libere elezioni per la formazione di un'Assemblea costituente. La
schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia (Lnd), che riuscì a
ottenere ben 392 seggi su 485, indusse però i militari a invalidare le elezioni
e a mettere fuori legge i partiti e i movimenti d'opposizione, con il
conseguente arresto di tutti i dirigenti della Lnd. La leader della Lega Aung
San Suu Kyi, l'anno successivo fu anch'essa arrestata e quindi costretta per sei
anni agli arresti domiciliari. Per la sua strenua lotta contro il regime
militare di Yangon, nel 1991 ottenne il premio Nobel per la pace.
Il paese è allo sbando, sconvolto da 50 anni di conflitti interni, sia etnici
che politici. I primi riguardano i movimenti indipendentisti delle etnie
minoritarie Karen e Shan e Wa, contro cui il governo combatte commettendo
genocidi e deportazioni di massa. La posta in palio qui è il controllo dei
territori al confine con la Thailandia, ricchi di piantagioni d'oppio, e il
controllo del narcotraffico. Solo dal 1996, quando la lotta si è intensificata,
si contano migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati in Thailandia
e Bangladesh. Drammatico il problema delle mine anti-uomo disseminate nelle zone
di conflitto. Frequenti anche gli scontri al confine tra gli eserciti di
Birmania e Thailandia, che accusa il governo di Yangon di essere pienamente
responsabile del massiccio traffico di droga verso il proprio territorio.
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Il 6 maggio scorso la cinquantaseienne Aung San Suu Kyi, dopo 20 mesi di arresti
domiciliari è stata rilasciata, ma non sarà facile ottenere un sostanzialecambiamento politico in tempi brevi. Le confuse modalità della sua liberazione
indicano che nessun accordo, per quanto riguarda la sua libertà di movimento e
le attività politiche della sua Lnd, è stato firmato col governo militare del
suo paese e questo potrebbe costituire un problema in un immediato futuro.
Inoltre, l'attuale atteggiamento del regime non inspira fiducia sul suo impegno
ad avviare una fase di transizione, che conduca il paese verso la democrazia.
Molti birmani in esilio sono convinti che il governo non abbia intenzione di
dividere il potere e che il rilascio di Suu Kyi sia legato al ripristino degli
aiuti stranieri, necessari per risollevare l'economia del paese, danneggiata
dalle pesanti sanzioni inflitte da parte della comunità internazionale a causa
delle continue violazioni dei diritti umani e della partecipazione al traffico
mondiale di eroina (di cui la Birmania è uno dei primi produttori mondiali).
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Non poche e gravi insidie si annunciano per l'opposizione, logorata e sconfitta
da arresti e minacce, sfociate in una diaspora degli esponenti più impegnati
divisi tra dubbi e contrasti. Suu Kyi, dopo che la giunta militare birmana le ha
permesso di riprendere le sue attività politiche, nella sua prima apparizione in
pubblico, ha indicato, tra le priorità, la liberazione di 800 prigionieri
politici dell'Lnd, tra cui 17 parlamentari eletti nel 1990, anno in cui vinse le
elezioni in Birmania, ma i militari non le hanno mai concesso di governare. Suu
Kyi, anche quando fu liberata nel 1995, dopo i sei anni di arresti domiciliari
nutriva grandi speranze di portare la Birmania verso un processo di
democratizzazione; presto però, andarono tutte deluse: le fu impedito di
lasciare la capitale e il suo partito fu dichiarato fuorilegge. Stavolta
potrebbe essere diverso, adesso, a differenza del 1995, c'è un processo politico
in atto e la leader del Lnd è nel bel mezzo di questo processo e fino a quando
ci resterà avrà bisogno dei militari, come loro hanno bisogno di lei. Gli
osservatori ritengono che Suu Kyi ha accettato di negoziare con i generali
perché non aveva altro mezzo per contrastare il loro potere, dal momento che
tengono sotto controllo la popolazione da 14 anni, con uno dei più grossi
eserciti dell'Asia e un'efficiente polizia segreta.
I birmani hanno una grande fiducia in Suu Kyi, ma consapevoli che il processo di
riconciliazione non sarà breve, temono che anche stavolta si tratti di una falsa
apertura da parte di uno dei regimi più repressivi dell'Asia.