In Ecuador sono stati scoperti resti architettonici di una civiltà vicina ai maya. Verso la fine del XV secolo nella regione si stanziarono gli inca, sottomettendo le popolazioni locali e costituendo, in seguito, il maggior ostacolo incontrato dagli spagnoli nel corso della colonizzazione.

 

 Scultura maya

   

 

Gli spagnoli, guidati da Bartolomé Ruiz, pur approdando sulla costa dell'Ecuador nel 1526, giunsero in veste di conquistatori solo nel 1532 con una spedizione capitanata da Francisco Pizarro, che nel giro di due anni impose il controllo sulla regione. Pizarro, agendo in nome della corona spagnola, nominò suo fratello, Gonzalo, governatore di Quito nel dicembre del 1540. Dopo l'uccisione di Francisco, Gonzalo fondò un governo indipendente dalla Spagna, che ebbe vita fino al 1548, anno in cui le forze della Corona sconfissero l'esercito ribelle e Gonzalo fu giustiziato. Quito (così si chiamava l'antico Ecuador) diventò quindi una provincia del vicereame del Perù.

Nel 1809 si ebbe la prima rivolta antispagnola; le forze repubblicane, guidate dal generale Antonio José de Sucre, luogotenente capo di Simón Bolívar, non ebbero la meglio sulle truppe monarchiche sino al 1822 quando il paese, finalmente indipendente, entrò a far parte della Grande Colombia, una confederazione fondata da Bolívar, comprendente anche Venezuela, Panamá e Colombia.

 
   

Pizarro e i conquistadores

 

   

Nel 1830 il paese si emancipò dalla confederazione proclamandosi autonomo col nome di Ecuador.

Il generale conservatore, Juan José Flores, primo presidente dello stato, si trovò ad affrontare l'opposizione frontale dei liberali; nel 1883 la tensione culminò in una guerra civile, che vide contrapposti i conservatori di Quito ai liberali di Guayaquil.

Fu questo il primo di una serie di conflitti che portarono al susseguirsi di tre dittatori: Flores, Gabriel García Moreno e Eloy Alfaro.

Durante la presidenza di Alfaro fu promulgata una nuova e più liberale Costituzione che stabiliva, tra l'altro, una decisa separazione tra Stato e Chiesa, improntando il paese a una laicità tuttora vigente.

 

Juan Josè Flores

 

Eloy Alfaro

 

 

 

 

Nel 1941 il paese entrò in guerra contro il Perù; al conflitto pose termine la conferenza panamericana di Rio de Janeiro ("Protocolo de Rio de Janeiro" 1942), che privò l'Ecuador dei territori contesi.Nel corso della seconda guerra mondiale l'Ecuador si schierò con gli Stati Uniti contro le potenze dell'Asse e nel 1944 il presidente liberale Carlos Alberto Arroyo del Río, già presidente della Camera dei deputati, venne rimosso dall'incarico e sostituito dall'ex presidente, il conservatore José María Velasco Ibarra.

L'anno seguente venne adottata una nuova Costituzione, che rimase poi in vigore fino al 1967. Nel 1948 Galo Plaza Lasso divenne presidente della Repubblica e, sotto la sua guida, il paese aderì all'Organizzazione degli stati americani.Nel 1950 l'Ecuador denunciò gli accordi del 1942 sulla disputa territoriale con il Perù; il problema si sarebbe ripresentato in seguito nel 1981 e nel 1995.

 

Protocolo de Rio de Janeiro

     

Carlos Alberto Arroyo

 

 

Nel 1952 Velasco Ibarra venne eletto presidente a capo di un governo di coalizione, mantenendo l'incarico sino al 1956, anno in cui prevalse alle elezioni presidenziali il candidato conservatore Camilo Ponce Enríquez. Nel giugno 1960 Velasco Ibarra, molto critico rispetto alle politiche economiche conservatrici del governo Ponce, fu rieletto con ampio margine, ma fu destituito l'anno dopo a causa del caos economico e politico in cui versava il paese.

Il suo successore, Carlos Arosemena Monroy, non ebbe miglior fortuna e venne rimosso dall'incarico nel 1963 da una giunta militare. Un susseguirsi di agitazioni politiche, culminate nelle violente dimostrazioni antigovernative del maggio 1966, provocarono infine la caduta della giunta. Fu quindi istituito un governo ad interim e nel maggio 1967 fu promulgata una nuova Costituzione.

Divenuto di nuovo presidente nel 1968, Velasco Ibarra assunse nel 1970 poteri dittatoriali, ma nel 1972 fu rimosso da un golpe militare guidato dal generale Guillermo Rodríguez Lara, capo dell'esercito, che si proclamò presidente.

Rodriguez Lara

 

 

 

Durante la dittatura di Lara vennero scoperti ricchi giacimenti petroliferi, che fecero in breve dell'Ecuador il secondo maggiore produttore di petrolio del Sud America dopo il Venezuela. Il paese aderì quindi all'OPEC, ma la politica del governo provocò una crescita dell'inflazione e allargò il divario economico tra la popolazione ricca e quella povera. Nel 1976 Lara venne deposto da una giunta militare, che attuò una politica particolarmente dura e repressiva fino a quando, nel 1978, il presidente Alfredo Poveda Burbano fu costretto dalle opposizioni a indire regolari elezioni.


 

Il democristiano Jaime Roldós Aguilera, vincitore delle presidenziali del 1979, si insediò al potere due anni dopo, trovandosi ad affrontare una situazione politica assai delicata e aggravata dalla ripresa del conflitto con il Perù. Morto Aguilera nel maggio del 1981 in un incidente aereo mai chiarito, il potere fu assunto dal vicepresidente Osvaldo Hurtado Larrea.

Nel 1984 la presidenza andò al social-cristiano León Febres Cordero. Costui approfondì ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti e adottò un programma economico fortemente orientato in senso neoliberista; i provvedimenti governativi si rivelarono però fortemente impopolari e provocarono diffuse proteste, nonché diversi tentativi di colpo di stato.

Nel 1988 venne eletto alla presidenza del paese Rodrigo Borja, un esponente socialdemocratico, il cui mandato fu caratterizzato da un’acutissima crisi economica (attenuata solo a partire dal 1990 dall’aumento del prezzo del petrolio) e dalla rivolta degli indios che rivendicavano una più equa distribuzione della terra e il rispetto dei diritti umani; iniziata il 28 maggio 1990 con l’occupazione della chiesa di Santo Domingo a Quito, la rivolta si estese in breve tempo a tutto il territorio nazionale.

Le elezioni del 1992 decretarono la vittoria di Sixto Durán Ballén, in rappresentanza dei conservatori dell'Unione repubblicana, il cui governò provocò un diffuso malcontento culminato nel giugno 1994 in uno sciopero generale.

 

Rivolta degli Indios

 

León Febres Cordero

Chiesa di S. Domingo

     

Sixto Duran Ballen

 

Nel gennaio 1995 il vecchio conflitto territoriale con il Perù per una sezione di circa 340 km² della Cordigliera del Condor, ricca di guano oltreché di oro, petrolio e uranio, culminò in uno scontro tra gli eserciti dei due paesi. La reazione peruviana fu assai violenta e l'Ecuador subì numerosi attacchi aerei prima di accettare un cessate il fuoco a marzo. Il contenzioso venne infine appianato nel 1998 con la firma dell’accordo di Brasilia, che tuttavia provocò malcontento in entrambi i paesi.

Nelle elezioni presidenziali del 1996 si affermò, con una vastissima maggioranza, il leader del Partito roldosista (di stampo populista) Abdalá Bucarám Ortiz. Soprannominato El loco ("il pazzo"), Bucarám adottò una severissima politica di tagli alla spesa pubblica, suscitando violente proteste in tutto il paese. La crisi si risolse nel febbraio 1997, quando Bucarám fu destituito dal Parlamento per "incapacità mentale" e sostituito con Fabián Alarcón, la cui nomina fu approvata in maggio tramite un referendum.

 
   

Quito

Jamil Mahuad

Le elezioni presidenziali del 1998 videro la vittoria di Jamil Mahuad, già sindaco di Quito.

Mahuad ereditò una situazione assai critica, che si aggravò in seguito alle inondazioni (che tra la fine del 1997 e gli inizi del 1998 sconvolsero il paese provocando migliaia di vittime e ingenti danni) e alla caduta del prezzo del petrolio, una delle principali voci della bilancia economica ecuadoriana. La politica neoliberista di Mahuad incontrò una forte opposizione nel paese.

Agli inizi del 1999 crollò il sucre, la moneta nazionale, perdendo in poco tempo il 40% del suo valore. L’attuazione di un piano anticrisi – che contemplava un drastico taglio delle spese sociali, un forte aumento del prezzo della benzina e il congelamento per un anno dei depositi bancari – causò una nuova diffusa rivolta. Ai tre scioperi generali convocati dai sindacati ecuadoriani tra la fine del 1998 e gli inizi del 1999, e alle continue manifestazioni di piazza, Mahuad rispose con una violenta repressione e con lo stato di emergenza. Nel corso del 1999 circa 200.000 persone lasciarono il paese, in gran parte dirette verso l’Europa.

 

 

Alla fine del 1999 Mahuad annunciò l’adozione del dollaro statunitense come moneta ufficiale del paese. Nel gennaio 2000 un appello del CONAIE (Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador) fu raccolto da decine di migliaia di persone che raggiunsero Quito chiedendo le dimissioni del presidente, del Parlamento e della Corte suprema di giustizia. Il 21 gennaio la crisi raggiunse il suo apice: mentre la folla assaltava il Parlamento, un gruppo di ufficiali dell’esercito, unitosi ai rivoltosi, costrinse Mahuad alle dimissioni e insediò al potere una giunta di salvezza nazionale composta da tre persone: il colonnello Lucio Gutiérrez Borbúa, il generale Carlos Mendoza e il presidente della Corte costituzionale Carlos Solórzano. La giunta fu costretta a farsi da parte solo tre giorni dopo, quando i vertici delle forze armate imposero alla guida del paese il vicepresidente Gustavo Noboa.

 

 

Protesta del 21 gennaio

     

CONAIE

 

Ottenuto l’appoggio dei settori imprenditoriali, Noboa si accinge a varare severe riforme nel tentativo di risollevare l’economia il paese. Il 13 marzo 2000 Noboa introduce la “dollarizzazione”; il 7 settembre la valuta nazionale cessa ufficialmente di esistere. La dollarizzazione provoca un incontrollato aumento dei prezzi e in pochi mesi l’inflazione supera il 90%. Noboa firma un accordo con il Fondo monetario internazionale per un prestito di 2000 milioni di dollari. La protesta della popolazione india, quella maggiormente colpita dai provvedimenti economici del governo, viene repressa nel sangue.

Nel febbraio 2001, in risposta all’occupazione dell’Università politecnica salesiana di Quito da parte di un migliaio di indios, il presidente Noboa decreta lo stato d’emergenza. La crisi si attenua pochi giorni dopo, quando il governo accoglie in parte le richieste degli indios, riducendo il prezzo del gas per uso domestico e sospendendo il progetto di privatizzazione dei trasporti; grazie alla mediazione di personalità della Chiesa, il presidente revoca lo stato d’emergenza e concede la libertà a diverse centinaia di indios arrestati durante la protesta.

Nelle elezioni presidenziali di ottobre-novembre 2002 si afferma Lucio Gutiérrez Borbúa, che si aggiudica clamorosamente il primo turno e poi sconfigge al secondo turno Alvaro Noboa, proprietario di immense piantagioni che lo rendono uno degli uomini più ricchi del Sud America. Tra i protagonisti della sollevazione che il 21 gennaio 2000 costrinse il presidente Mahuad alle dimissioni, Lucio Gutiérrez si presenta con un suo movimento (denominato “21 gennaio”) alla guida di un ampio fronte di protesta contro la corruzione e il neoliberismo, che unisce i sindacati, il CONAIE, il Partito socialista popolare e il movimento indigeno Pachakutik.

 

 

 

Occupazione dell'Università salesiana di Quito

 

     

Movimento indigeno Pachakutik

     

Sommossa del 7 febbraio2001

 

 

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