Exxon Valdez,
Haven, Erika, Ievoli Sun. E ora, Jessica. Nomi utilizzati per
battezzare navi, soprattutto petroliere. Nomi che oggi significano
una cosa sola: disastro ecologico. Perché quelle navi, quelle petroliere
hanno, quasi sempre per colpa dell'uomo, qualche volta per cause
naturali, perso il loro carico in mare: petrolio o micidiali componenti
chimici (Ievoli Sun). La sorte ha voluto
che alcuni di questi immani disastri si rovesciassero su luoghi celebri
come ultimi paradisi naturali.
La fuoriuscita dal ventre della petroliera ecuadoriana di 600 mila litri di
carburante a poche centinaia di metri dalle coste delle Isole Galapagos,
nell'Oceano Pacifico, il 19 gennaio, non è che l'ultima di una disgraziata
quanto lunga serie. Un incidente che rischia di distruggere un
ecosistema essenziale per lo studio della vita sul pianeta. Le isole Galapagos,
sin da quando vi giunse Charles Darwin, infatti (che vi teorizzò l'evoluzione
delle specie), non cessano di sorprendere scienziati e naturalisti di
tutto il mondo. Là vivono gruppi animali unici. Alterare l'ecosistema delle
isole significa mettere a rischio specie che non potrebbero vivere da
nessun'altra parte della mondo.
LA "TASK FORCE" - Certo, gli Stati Uniti hanno già inviato una loro "task force". Al largo di San Cristobal, dove si è arenata la petroliera Jessica, sono già al lavoro i tecnici della "Strike Force" specializzata nei disastri ambientali e quelli dell'Amministrazione dell'atmosfera e dell'oceano (Nnoaa). Stanno tentando l'impossibile per arginare la fuoriuscita di carburante. Ma la marea nera finora si è allargata per un perimetro che nessuno sa indicare con precisione. Si parla di un'estensione che potrebbe arrivare a più di 1000 chilometri. Rodolfo Rendon, il ministro dell'Ambiente dell'Ecuador, Paese che esercita la sovranità sulle Galapagos, ha confermato il "danno ecologico estremamente grave" causato da un "macchia nera" composta da due carburanti: il diesel e il bunker. Quest'ultimo è considerato pericolosissimo per l'ambiente e difficile da dissolvere. Secondo Mauricio Velazquez, biologo del Parco nazionale Galapagos, il bunker galleggia per qualche ora e poi affonda, "attaccando alghe e altre specie acquatiche di cui si nutrono i pesci".
L'INTERVENTO
- Per le prime operazioni di soccorso sono stati utilizzati 1.000 metri di
materiale
assorbente e 12.000 litri di solventi chimici. Il problema con questi ultimi
è che provocano anche essi danni al fragile ecosistema dell'arcipelago.
Come se non bastasse, il maltempo ha frammentato l'area inquinata e chiazze
oleose hanno raggiunto spiagge delle isole San Cristobal e Santa Fè, mentre
si dirigono alla velocità di un nodo l'ora verso Plaza e Espanola, dove è
presente una importante colonia di leoni marini. Maria Eugenia Proano,
responsabile della Stazione scientifica Charles Darwin (1809-1882), ha indicato
che una ventina fra leoni marini, albatros, pellicani e sule dai piedi blu,
hanno già subito gli effetti della "marea nera" e sono stati portati a
San Cristobal per essere "trattati". Il Wwf ha chiesto al governo dell'Ecuador
di limitare la navigazione nelle acque delle isole Galapagos.
L'organizzazione mondiale per la tutela dell'ambiente sottolinea che è di
vitale importanza che il mare che circonda l'arcipelago, parco naturale dove
vivono tartarughe giganti e leoni marini, diventi zona protetta.
Purtroppo non è finita. E' in arrivo anche la beffa, dopo il danno. La
Exxon Valdez, che il 24 marzo 1989 ha rovesciato 35 mila tonnellate di
greggio di fronte alla Baia del Principe William, in Alaska, provocando danni
per oltre settemila miliardi di lire, è stata condannata a ripagare lo
sfacelo fino all'ultimo dollaro. Cosa che è avvenuta. Il disastro delle
Galapagos, invece, finirà quasi certamente nel nulla: la petroliera Jessica
infatti navigava senza carte a bordo e, soprattutto, senza copertura
assicurativa.