La frontiera costituì un fattore che contribuì a forgiare la vita americana. Le condizioni di vita lungo le coste dell’Atlantico erano un incentivo per l’emigrazione verso regioni più nuove: il terreno collinoso della Nuova Inghilterra mal si prestava ad una coltivazione intensiva di cereali in concorrenza con le poco costose e fertili terre dell’ovest. Emigranti, uomini e donne, partivano in un flusso continentale dai villaggi e dalle fattorie della costa per godere anch’essi delle ricche distese nelle regioni più interne. Anche nel sud tutto favoriva l’emigrazione: coloro che abitavano nella parte interna delle Caroline e della Virginia risentivano della mancanza di strade e di canali che li collegasse ai mercati della costa e subivano, nel campo politico, il dominio degli agrari della zona atlantica. Anch’essi quindi erano tentati a spostarsi, lentamente ma incessantemente, verso le Montagne Rocciose. Questo movimento migratorio ebbe profonde ripercussioni sul carattere degli abitanti: esso incoraggiava lo spirito di iniziativa individuale, favoriva lo sviluppo di una democrazia politica ed economica, rendeva il modo di fare più brusco e più deciso, stroncava lo spirito conservatore sostituendogli un senso vivo di autodecisione cui si affiancava il rispetto per l’autorità della nazione.
La corrente migratoria non conosceva soste, abbandonava la prima frontiera costituita dalla striscia costiera, oltrepassava le sorgenti dei fiumi, attraversava gli Appalachiani; già verso il 1800 i bacini del Mississippi e dell’Ohio stavano tramutandosi in una vasta regione di frontiera. Questo enorme spostamento di masse nei primi anni del XIX secolo portò con incredibile rapidità alla suddivisione dei vecchi territori e allo stabilimento di nuove frontiere. Man mano che i nuovi Stati venivano ammessi, la carta politica della zona ad est del Mississippi veniva assumendo la sua fisionomia definitiva. In sei anni circa sei nuovi stati vennero creati: l’Indiana (1816), il Mississippi (1817), l’Illinois (1818), l’Alabama (1819), il Maine (1820) e il Missouri (1821). La prima frontiera americana aveva avuto legami assai stretti con l’Europa, la seconda con i centri della costa: la vallata del Mississippi era invece indipendente ed i suoi abitanti più interessati all’ovest che alla parte orientale.
La popolazione di frontiera era formata da uno strano miscuglio di persone. All’avanguardia delle correnti migratorie marciavano i cacciatori armati di fucili e trappole. Erano questi uomini abili nel maneggiare l’ascia, nel posare trappole, nel servirsi della lenza; essi aprivano i sentieri, costruivano le prime capanne di tronchi e tenevano indietro gli indiani.
Man mano che avanzava verso le zone selvagge il colono si tramutava da cacciatore in agricoltore: invece di una capanna costruiva una casa spaziosa di tronchi d’albero con finestre munite di vetri, un camino e stanze separate; invece di abbeverarsi alle sorgenti, scavava un pozzo. Se attivo disboscava rapidamente il pezzo di terreno prescelto per sistemarsi, bruciando la legna per ottenere dalla cenere la potassa e lasciando che le ceppaie marcissero per estrarle più facilmente, coltivava dei cereali, della frutta, delle verdure; perlustrava i boschi in cerca di caccia, di tacchini selvatici e di miele; pescava nei ruscelli vicini; badava alle sue mandrie e ai suoi maiali. Coloro che avevano uno spirito più nomade compravano vaste estensioni di terreno a buon mercato e non appena queste aumentavano di valore le rivendevano ai nuovi venuti per spingersi sempre più a ovest.
Ben presto all’emigrazione agricola si accompagnarono medici, avvocati, giornalisti, predicatori, tecnici e politicanti, categorie destinate a formare la struttura essenziale di una società vigorosa. Gli agricoltori rappresentavano l’elemento più importante: decisi a radicarsi dove si erano fermati e animati dalla speranza che anche i loro figli sarebbero rimasti sul posto, costruivano stalle ancora più grandi di quelle che i loro predecessori e solide case in mattoni e in legno e muratura. Portavano con loro arrivando bestiame già selezionato; coltivavano la terra con maggior perizia, seminavano prodotti scelti. Alcuni di essi costruivano molini, distillerie e segherie. Aprivano comode strade, innalzavano chiese e scuole. Il ritmo di sviluppo in queste zone fu così rapido che trasformazioni quasi inverosimili si verificarono nello spazio di pochi anni. Nel 1830, ad esempio, Chicago non era che un piccolo centro commerciale scarso di promesse, protetto da un forte. Prima ancora che i suoi primi abitanti fossero scomparsi esso si era trasformato in una delle città più vaste e più ricche del mondo.
Molte razze differenti si mescolavano nelle nuove terre dell’ovest. Predominavano gli agricoltori provenienti dagli altopiani meridionali. Non mancavano scozzesi, irlandesi, tedeschi provenienti dalla Pennsylvania, abitanti della Nuova Inghilterra e individui di altra origine. Verso il 1830, più del 50% di coloro che vivevano in America era cresciuto in un ambiente in cui tradizioni e abitudini del vecchio mondo erano ormai scomparse o assai remote. Nell’occidente gli uomini venivano valutati non in base alle tradizioni di famiglia, al patrimonio ereditato, alla cultura, ma per quello che essi erano in realtà e per quello che erano in grado di fare. I terreni erano alla portata di chiunque fosse appena industrioso: i terreni governativi potevano essere acquistati per un prezzo che si aggirava intorno ai tre dollari l’ettaro, e, dopo il 1862, bastava dichiarare che si aveva intenzione di stabilirsi sul luogo. Era facile anche procurarsi gli arnesi necessari per il lavoro. La parità di possibilità economiche favoriva il sorgere di un sentimento di uguaglianza sociale e politica ed offriva a coloro che erano particolarmente dotati di qualità direttive la possibilità di emergere rapidamente. Spirito di iniziativa, coraggio, forza fisica e serietà erano indispensabili per un buon pioniere.