I cambiamenti democratici, le piccole rivoluzioni nell’economia e nella politica in Polonia, in Ungheria e nell’URSS riempivano ogni giorno i giornali di tutta Europa. Una notizia sensazionale dall’Europa dell est seguiva l'altra: solo nella DDR il tempo sembrava essersi fermato.
    Visto che il tentativo di lasciare la DDR in direzione ovest equivaleva ancora ad un suicidio, la gente si inventò un’altra
strada: all’improvviso Praga, Varsavia e Budapest diventarono le città più amate da molta gente della DDR, ma non per la bellezza dei loro monumenti ma perchè qualcuno aveva capito che le ambasciate della Germania Federale in queste città, erano il territorio occidentale più facilmente accessibile. Ma il colpo decisivo all’esistenza della DDR avvenne in modo del tutto inaspettato: l’Ungheria, che era forse il paese più avanzato per quanto riguarda le riforme democratiche, Il 10 settembre aprì i sui confini con l’Austria. Decine di migliaia di tedeschi dell’est erano già affluiti in Ungheria nei giorni precedenti in attesa di questo evento, e le immagini della gente che, ancora incredula e piangente, assisteva alla rimozione del filo spinato tra Ungheria e Austria fecero il giro del mondo.
   
Il governo della DDR aveva disperatamente cercato di impedire questa decisione, ma la prospettiva di una migliore collaborazione con l’ovest, era per gli ungheresi più importante della solidarietà ideologica con la DDR.
    Nell’ottobre del 1989 gli eventi nella DDR precipitarono. Sotto la pressione delle manifestazioni di massa e del flusso sempre crescente di persone che lasciavano il paese, molte amministrazioni comunali si sciolsero e furono sostituite da organi
ai quali partecipavano per la prima volta anche gruppi d'opposizione. Quando la sera del 9 novembre un portavoce del governo della DDR annunciò una riforma molto ampia della legge sui viaggi all’estero, la gente di Berlino est la interpretò a modo suo: il muro doveva sparire. Migliaia di persone stavano all’est davanti al muro, ancora sorvegliato dai soldati, ma migliaia di persone stavano aspettando anche dall’altra parte del muro, all’ovest, con ansia e preoccupazione. Nell’incredibile confusione di quella notte, qualcuno, e ancora oggi non si sa esattamente chi sia stato, aveva dato l’ordine ai soldati di ritirarsi e, tra lacrime ed abbracci, migliaia di persone dall’est e dall’ovest, scavalcando il muro, s'incontravano per la prima volta dopo quarant’anni.
    Il muro era caduto ma esistevano ancora due stati tedeschi, due stati con sistemi economici e politici completamente diversi. Tutta l’organizzazione della vita pubblica era diversa. Adesso la libertà tanto a lungo desiderata c’era, mancava però il benessere e la gente dell’est non voleva più aspettare: dopo la caduta del muro il flusso dall’est all’ovest ovviamente aumentò. Dopo le prime elezioni nel marzo 1990 la DDR aveva finalmente un governo democraticamente legittimato, ma la fiducia nel proprio stato stava scendendo a zero. Si diffondeva uno stato di quasi anarchia e l’economia stava crollando verticalmente. Nella DDR cominciò a regnare il caos. Dopo pochi mesi la riunificazione non era più una possibilità, ma una necessità, era diventata l’unico modo per fermare il degrado dell’est. Ma riunire due stati non è così facile e nel caso della Germania si doveva considerare anche il fatto che la DDR faceva ancora parte di un sistema di sicurezza militare e di
un’alleanza con l’Unione Sovietica e che anche la Germania Federale a questo riguardo non poteva agire senza il consenso degli ex-alleati della Seconda Guerra Mondiale. Questo rendeva la riunificazione un problema non solo nazionale ma internazionale e solo dopo trattative non facili tra USA, URSS, Francia e Gran Bretagna e dopo il “sì” definitivo di Gorbaciov, la strada per la riunificazione era libera. Il 3 ottobre del 1990, i due stati non furono riuniti, ma uno dei due stati, cioè la DDR, si auto scioglieva e le regioni della DDR furono annesse in blocco alla Repubblica Federale.

    Il ventennio che va dal 1965 al 1985, in Unione Sovietica, fu un periodo di conservatorismo politico di "stagnazione", come dirà poi Michail Gorbaciov: vi era una situazione di totale immobilità. A partire da Breznev si erano tenuti orientamenti rigidamente conservatori, perchè c'era la convinzione che il sistema sovietico non fosse riformabile. La crisi dell'URSS ed il suo indebolimento sulla scena internazionale erano così evidenti che, il 12 marzo 1985, M. Gorbaciov fu nominato Segretario Generale del PCUS con il compito preciso di portare una ventata di rinnovamento al sistema. Pertanto, una volta insediatosi, sulla base di una situazione che richiedeva soluzioni immediate e radicali, decise che era necessario uno sforzo a livello nazionale: bisognava cambiare il regime di accumulo ed il metodo di controllo economico, si doveva raccogliere la sfida estera, liberare l'economia e la società dagli strascichi dello stalinismo,e del peso del sistema amministrativo istituito negli anni '30. La riforma doveva arrivare dall'alto. Il gruppo dirigente lanciò quindi tre parole d'ordine: GLASNOST (trasparenza); USKORENIE (accelerazione), appello ad un'accelerazione dello sviluppo economico; infine PERESTROJKA (ristrutturazione), che avrebbe portato alla destrutturazione ed alla trasformazione del sistema sovietico. I concetti che si nascondevano dietro le tre parole non erano nuovi; "quello che appare nuovissimo e inedito è però il tentativo di coniugare simultaneamente, per la prima volta all'interno dell'universo comunista, la perestrojka con la glasnost: ovvero il riformismo economico, che il primo dei due termini auspica e promette, con la liberalizzazione politica e civile alla quale il secondo più ambiguamente allude"(Bettiza).
    La rivoluzione di Gorbaciov cominciò da quella che, ancora oggi, rappresenta la maggiore acquisizione dall'epoca di Stalin, ovvero la libertà di espressione. Diventava perciò possibile avere ragione sul Partito, la cui parola cessava di essere verità assoluta. La censura centralizzata iniziò ad indebolirsi nel 1986, per ridurre il suo ruolo al controllo delle informazioni sui segreti di stato. A partire dal 1989 venne permessa anche la critica su Lenin. Questa trasparenza non aveva però portato a miglioramenti concreti delle condizioni di vita. Dal punto di vista economico infatti, gli anni della gestione Gorbaciov furono disastrosi: il livello di vita dei sovietici è andato sempre peggiorando, togliendo credibilità agli occhi della popolazione alle numerose riforme economiche ed al nuovo dispositivo giuridico. La perestrojka sconvolse un'economia basata su coercizione e corruzione, inoltre la mancata creazione di istituzioni giuridiche affidabili che fossero in grado di garantire il diritto di proprietà e la stipulazione di contratti regolari, che assicurassero la soluzione di contenziosi e l'esecuzione delle decisioni, impedivano l'instaurazione del libero mercato. Nonostante la rottura con i meccanismi dell'economia pianificata degli anni '30, la "ristrutturazione" non seppe fornire nuove regole del gioco, né proporre ai lavoratori nuove motivazioni.
    I cambiamenti in politica estera attuati da M. Gorbaciov sono particolarmente interessanti. Nel suo "Perestrojka, il nuovo pensiero per il nostro paese e per il mondo", il Segretario teorizzava un nuovo pensiero considerando i tre mondi (capitalista, socialista e terzomondista) integrati ed interdipendenti tra di loro e dove nessuno poteva prevalere sull'altro con mezzi militari: "Nel mondo contemporaneo, interdipendente e sempre più omogeneo, è impossibile il progresso di una società isolata dai processi mondiali per chiusura di frontiere e per barriere ideologiche. Ciò riguarda tutte le società, comprese quelle socialiste."(Gorbaciov). Lo scopo della nuova politica estera era di ridurre la corsa agli armamenti, i cui costi erano diventati insostenibili per l'URSS, oltre che ottenere crediti da parte dell'Occidente finalizzati alla modernizzazione del paese. Furono quindi definite tre linee d'azione fondamentali: l'attenuazione della tensione Est-Ovest attraverso un disarmo negoziato con gli Stati Uniti e la risoluzione dei conflitti regionali; l'intensificazione degli scambi commerciali con l'estero; il riconoscimento dello status quo nel mondo intero senza più privilegiare gli stati marxisti-leninisti. Gorbaciov riuscì ad imporre la propria personalità sulla scena internazionale. La rinnovata politica estera dell'Unione Sovietica, indirizzata verso la pacificazione, fu sottolineata dal consenso accordato alla riunificazione della Germania ed alla posizione assunta durante la Guerra del Golfo.

    I cambiamenti apportati dalla glasnost e dalla perestojka di M.Gorbaciov ebbero una grande influenza sui rapporti tra l'URSS ed i suoi paesi satelliti. La volontà di confinare la "ristrutturazione" del sistema socialista esclusivamente all’interno delle Repubbliche Sovietiche si scontrò con forti problemi economici e soprattutto politici, determinati dall'incerto consenso popolare che reggeva i paesi comunisti dell'Europa Orientale. L'URSS dovette rivedere in maniera radicale i propri rapporti con i paesi dell'Est, che, a causa della crisi economica degli ultimi anni, erano diventati un peso per la sua economia. Questi cambiamenti superavano di gran lunga i piani della perestrojka. I sei paesi che componevano il blocco socialista (Polonia, RDT, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria) assunsero posizioni differenti nei confronti delle riforme di Gorbaciov. Da un lato Polonia ed Ungheria dove governo e società erano determinati ad appoggiare il leader del Cremlino, sapendo che le riforme sarebbero andate ben oltre quelle tentate in Unione Sovietica; dal lato opposto vi erano i governi di Cecoslovacchia, Romania, bulgaria e RDT, che senza il consenso popolare, avevano deciso di contrastare la perestrojka e tutte le eventuali riforme che potevano mettere in pericolo la stabilità del loro sistema socialista. Conseguentemente alle elezioni sovietiche del 1989 esplosero rivolte in quasi tutti i paesi del blocco comunista; infatti ora che la patria del socialismo si avviava a diventare un paese democratico, i regimi dittatoriali non avevano più ragion d'essere all'interno del blocco.
    A partire dal "crollo del muro di Berlino" le azioni di protesta nei paesi dell'Europa Orientale si moltiplicarono, accelerando il moto riformatore. In Cecoslovacchia un forte movimento di protesta guidato da Vàclav Havel, in seguito alle numerose manifestazioni, presentò un piano riformatore che il Partito fu costretto a prendere in considerazione per cercare di salvare la situazione. Alla fine del dicembre del 1989 V. Havel diventò il presidente della Repubblica Cecoslovacca. A Bucarest la rivolta invece fu molto violenta e portò alla fucilazione del leader N.Ceausescu e di sua moglie, mentre a Sofia il Presidente bulgaro T.Zikov fu costretto a dare le dimissioni. La velocità degli avvenimenti superò ogni previsione e M.Gorbaciov perse ogni controllo delle riforme nell'Europa Orientale e perfino all'interno del "suo" paese.

La guerra fredda

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