
Nella storia della guerra dei popoli precolombiani 
dell’America settentrionale e centrale gli Aztechi si dedicavano alla tortura 
dei prigionieri, seguita dal cannibalismo o meno. 
Per questo popolo il sacrificio umano era una necessità religiosa, la guerra lo 
strumento principale per ottenere vittime sacrificali e gli stessi e gli stessi 
prigionieri di guerra, fedeli complici del culto che richiedeva la loro 
prolungata agonia prima della morte.
Gli Aztechi erano guerrieri formidabili che tra il secolo XIII e XVI riuscirono 
ad impadronirsi della valle del Messico centrale e a creare la più grandiosa 
civiltà materiale di tutte le culture orali precedenti al metallo; i suoi 
splendori, secondo i resoconti dei conquistadores erano superiori a quelli della 
Spagna natia . Tuttavia per gli storici militari il fascino della civiltà azteca 
risiede nelle imitazioni straordinarie alla capacità bellica che essi imposero a 
se stessi in virtù delle convinzioni religiose e dei vincoli che tali 
convinzioni imponevano ai guerrieri in battaglia.
Gli Aztechi in origine giunsero nella valle centrale del Messico semplicemente 
alla ricerca di mezzi di sussistenza, divenendo soldati dei Tepanec, una delle 
tre potenze riconosciute della valle, trovando in seguito un’isola nel lago 
Texcoco rimasta fino ad allora sconosciuta l’esercito azteco era assai ben 
organizzato ed equipaggiato, consono ad una cultura fortemente burocratizata, 
diviso in unità di 8000 uomini, portando con se 
razioni per una campagna di otto giorni. Riuscirono quindi a trasformarsi in una 
potenza per diritto proprio; coloro che ne accettarono la supremazia furono 
associati al loro impero quelli che si opposero costretti a fuggire.
La società azteca era fortemente gerarchizzata, a "ranghi" non in base all’età 
ma alla condizione sociale. Al gradino più basso c’erano gli schiavi, i 
disgraziati, precipitati al fondo del sistema economico, poi i cittadini comuni, 
gli agricoltori, artigiani e mercanti ordinari della campagna e della città; 
quindi i nobili, i preti e infine il monarca. Tutti i maschi quando nascevano 
erano guerrieri potenziali e avevano la possibilità di innalzarsi all’alto rango 
di guerrieri nelle scuole di tirocinio del loro quartiere cittadino, i calpulli 
, che erano un po’ un circolo un po’ monastero un po’ corporazione. Alcuni 
novizi diventavano sacerdoti ma la maggior parte tornava alla vita quotidiana 
mantenendo l’obbligo di prestare servizio militare, mentre una minoranza 
proveniente da casati nobiliari, aveva l’obbligo di portare avanti la tradizione 
familiare.
Il monarca non era solo un militare ma anche divino; quando saliva al trono 
veniva riconosciuto, con una formula agghiacciante , come "il nostro signore, il 
nostro carnefice , il nostro nemico", espressione che rappresentava fedelmente 
il potere che esercitava sui suoi sudditi, alcuni bambin
i 
comprati o schiavi venivano sacrificati cruentemente in sua presenza.
La battaglia era l’atto centrale della guerra azteca usavano arco e freccia, 
lancia e atlat, il prepulsore che permette di scagliare più lontano la lancia. 
L’arma preferita era la spada di legno costellata lungo il filo della lama di 
schegge di ossidiana o scaglie di pietra, fatta per ferire ma non per uccidere. 
I guerrieri indossavano una corazza di cotone imbottito in grado di fermare le 
frecce, e portavano piccoli scudi rotondi; obbiettivo del guerriero era arrivare 
al corpo a corpo con un avversario per colpirlo alle gambe al di sotto dello 
scudo, mettendolo fuori combattimento.
Presso gli Aztechi l’esercito era gerarchizzato come la società, la maggior 
parte dei soldati erano novizi appena finito gli addestramenti suddivisi in 
gruppi per imparare a fare prigionieri. Combattevano a coppie e se uno 
abbandonava il compagno veniva a sua volta ucciso.
La battaglia cominciava con uno scambio di frecce per seminare la confusione in 
cui avvenivano i duelli individuali e si concludeva con il trasferimento dei 
prigionieri nella grande città di Tenochtitlan. Le battaglie potevano produrre 
molte migliaia di prigionieri se alla vittoria seguiva la conquista, questi 
potevano anche venire conservati per le grandi ritualità annuali.
Nella prima, la "festa dello scorticamento degli uomini", un gruppo scelto di 
vittime veniva trucidato riassumendo la forma e la filosofia della guerra azteca.
Per la "striatura" veniva scelto uno dei quattrocento prigionieri fatti da 
ciascuna scuola guerriera nel periodo di preparazione, prima dell’esecuzione la 
vittima era trattata come un ospite di riguardo, adornato e fatto oggetto di 
ammirazione, sebbene gli venisse ricordato il suo terribile destino: nel giorno 
scelto l’ho legavano su una roccia posta in alto munito di quattro clave e di 
una spada munita, sul filo della lama, di piume invece che di pietre; con queste 
armi doveva difendersi da quattro guerrieri i quali dovevano aprirgli il torace 
per strappargli il cuore ancora pulsante.
Il suo catturatore non prendeva parte a questa mutilazione tuttavia portava a 
casa il cadavere dove lo smembrava e lo scorticava e con la sua famiglia consuma 
un pasto rituale di stufato di mais e un frammento della carne del morto.