I cartelli colombiani sono le organizzazioni criminali che hanno avuto il più rapido sviluppo e hanno affrontato più rapidamente i processi di internazionalizzazione. La loro storia nel traffico internazionale della cocaina si intreccia con la vicenda politica della Colombia, con le `guerre alla droga' proclamate dai governi degli Stati Uniti e con l'allarme del mondo intero. Dopo la blanda attenzione al problema dell'eroina, alla metà degli anni ottanta, l'allarme internazionale sul problema droga coincide con l'entrata dei cartelli colombiani nel mercato mondiale della cocaina in posizione quasi monopolistica; proprio con il loro avvento espressioni come 'narco-traffico', 'narco-dollari', 'multinazionali del crimine' e 'guerra alla mafia' divengono sempre più ricorrenti nel descrivere situazioni che si riferiscono all'allarme cocaina e al pericolo rappresentato dai cartelli. Ed è proprio intorno al problema del traffico della cocaina che le legislazioni nazionali di questi ultimi anni assumono un forte andamento repressivo, sviluppando nel contempo una serie di strumenti di cooperazione internazionale di tipo multilaterale e bilaterale che coinvolgono legislatori, polizie e giudici.
La vicenda colombiana - o meglio la vicenda della cocaina e poi dei suoi derivati come il crack - presenta sue caratteristiche specifiche nel mercato internazionale delle droghe illegali: esse vengono prodotte soltanto in alcune aree ben definite sulle quali i cartelli esercitano un regime di monopolio, e ciò consente loro di acquistare tutta la materia prima, raffinarla in cocaina ed esportarla nei paesi consumatori. Se c'è concorrenza, questa si svolge tra i Cartelli di Medellin, di Cali e del Nord-Est, inclusi anche i cartelli più piccoli che ruotano intorno ai tre grandi. I mercati locali della distribuzione sono invece frammentati e competitivi; piccoli gruppi di spacciatori si combattono per il controllo del territorio. La violenza di molte delle grandi città americane, come Washington, è il prodotto di questa
frammentazione e competizione. Al contrario, in Europa, dove i mercati della cocaina sono strutturati diversamente da quelli americani, non c'è frammentazione tra i gruppi né competizione che produca violenza.
L'espansione dei cartelli in Europa trova il suo riscontro nell'alto consumo di cocaina, secondo soltanto a quello degli Stati Uniti. Esistono due opinioni sulle strutture organizzative dei cartelli nel continente europeo: la prima, più diffusa tra le varie polizie, è che essi abbiano creato una sorta di joint venture con altre organizzazioni criminali, come la Mafia e la Camorra, per l'importazione (e in alcuni casi la distribuzione) della cocaina; la seconda afferma invece che il controllo dell'importazione e della distribuzione negli altri paesi sarebbe rimasto nella mani delle organizzazioni colombiane. La situazione è comunque fluida e tende a variare con il tempo e a seconda dei diversi contesti nazionali. In Italia -dove, essendo le organizzazioni criminali più consolidate, la prima ipotesi dovrebbe essere maggiormente plausibile - la Mafia siciliana e la Camorra hanno ripetutamente tentato l'ingresso nel mercato della cocaina fin dalla metà degli anni ottanta; tuttavia la caratteristica struttura di tale mercato - concentrazione della produzione in poche aree determinate e del traffico nelle mani dei cartelli colombiani - ha impedito alle organizzazioni criminali italiane di riprodurre quell'oligopolio che esse erano state in grado di garantirsi nel business dell'eroina. E stato fatto, tuttavia, il tentativo di ottenere dai cartelli colombiani il monopolio dell'importazione della cocaina in Italia e, forse, nell'intera Europa.
Ciò si è potuto verificare in numerose occasioni, come, ad esempio, nel caso dell'operazione Big John - relativa all'esportazione di 600 chilogrammi di cocaina da Medellin a Palermo - dove la Mafia per ottenere l'esclusiva minacciò i colombiani di uccidere ogni loro corriere indipendente. Il fallimento di questo tentativo è dimostrato dal numero dei corrieri di cocaina che ancora oggi continuano a entrare in Italia e a effettuare consegne a importatori diversi dalla Mafia o dalla Camorra. È probabile, tuttavia, che si siano sviluppati accordi collusivi tra alcune `famiglie' mafiose ed esponenti dei cartelli colombiani. Le due caratteristiche del rapporto tra la Mafia e il business della cocaina si possono così riassumere: da una parte collusione agli alti livelli del traffico, in una posizione di dipendenza dei mafiosi rispetto ai colombiani, come evidenziato dall'operazione di polizia internazionale Green Ice del settembre 1992; dall'altra, competizione ai livelli più bassi dell'importazione e della distribuzione con altri gruppi criminali.
I cartelli sono organizzazioni articolate per funzioni di diverso grado di complessità; la loro struttura è `a cellula', in modo da impedire i contatti tra i vari aderenti ed evitare il rischio di incriminazione per reati associativi. Esistono due modelli di cellule: il primo costituisce parte integrante dell'organigramma del cartello; il secondo è invece una cellula `a contratto'. Si tratta - in quest'ultimo caso - di una persona affidabile, alla quale viene offerto un contratto limitato a una singola operazione, come il trasporto o la distribuzione; questa persona, a sua volta, può reclutare cinque o sei persone operative.
La struttura dei cartelli è oggi in grado di organizzare servizi per l'attività di riciclaggio e per l'assistenza legale centralizzata per i propri associati, così da minimizzare il rischio di collaborazione con la giustizia di qualcuno incriminato in Colombia o fuori: si tratta di una forma di ricatto che vede spesso gli avvocati nominati dal cartello perseguire più l'interesse del cartello che quello dell'imputato. Un'altra forma di controllo avviene attraverso i conti correnti di coloro che operano per il cartello in altri paesi: costoro devono lasciare i loro depositi in Colombia, sottoponendosi così a un controllo centralizzato e a possibili ulteriori ricatti diretti a minimizzare il rischio di loro fughe collaborazioni con la giustizia.