Per
la seconda volta nella sua storia i Giochi Olimpici arrivano in Australia: dopo
Melbourne '56 è la volta di Sidney 2000. La cerimonia d’apertura segna uno storico
abbraccio tra le due Coree che sfilano insieme. Durante le gare poi le due
rappresentative si separano ed ognuna fa Giochi per conto proprio, ma è un
passo, un contributo importante verso la ricucitura di una delle ultime ferite
della guerra fredda. Le ferite più recenti sono invece quelle di Timor Est: il
piccolo paese cattolico si è sottratto da poco all’Indonesia e la sua situazione
è tutt’altro che tranquilla, con i caschi blu dell’ONU a cercare di portare
ordine dopo le violenze dei filo-indonesiani. Il CIO decide di far gareggiare
sotto la bandiera olimpica quattro atleti provenienti da Timor Est ed anche
questo è segnale di speranza.
Le nazioni partecipanti sono 199 più Timor per un nuovo
record di 10651 atleti. Le gare salgono a 300 con gli ingressi del triathlon e
del taekwondo, un’arte marziale già vista sotto i cinque cerchi a titolo
dimostrativo. Arrivano anche il sollevamento pesi ed il pentathlon al femminile.
Sono innesti che permettono, tra l’altro, di vedere nuove nazioni sui podi
olimpici.
La Colombia e il Vietnam salgono per la prima volta sulla parte più alta del
podio nelle specialità, rispettivamente, del sollevamento pesi e del
neonato taekwondo. C’è grande attenzione per i controlli antidoping, che
vengono intensificati, viste le nuove tecniche di miglioramento muscolare.
Le Olimpiadi di Sidney si aprono all'insegna della
riconciliazione tra gli aborigeni australiani e i colonizzatori europei. Facili
retoriche ed effettive conquiste si intrecciano nella storia
della divetta Nikki Webster, una ragazzina australiana protagonista della
cerimonia d'apertura del 15 settembre, e nel suo incontro con gli aborigeni. Si
intrecciano così come fanno l'acqua e il fuoco nella suggestiva scenografia che
abbraccia l'accensione della fiaccola olimpica. La dominante presenza femminile
mette in luce il ricordo dei 100 anni dalla prima partecipazione femminile ai
Giochi (Parigi 1900).
Allontanata dalla squadra australiana per aver rubato una bandiera dal palazzo
imperiale alle Olimpiadi di Tokyo, la Frazer ritrova qui il grande palcoscenico
dei Giochi, acclamata dal pubblico.
Su Cathy Freeman, aborigena ( e orgogliosa di esserlo ) si riversa un'attesa spasmodica da parte
di tutta l'Australia: è la grande favorita dei 400 metri e può essere la prima
aborigena australiana a vincere un oro olimpico. E la Freeman non delude.
Assente la vincitrice di Atlanta, Marie Josè Perec, l'australiana non trova
atlete in grado di impensierirla e tra l'ovazione dell'Olimpic Stadium va a
vincere facilmente in 49'11''. Fasciata da una tuta che la avvolge dalla testa
ai piedi, la Freeman raccoglie per il tradizionale giro d'onore la bandiera
dell'Australia ma anche quella degli aborigeni. Una vittoria simbolica, voluta
fortemente da tutta l'Australia, simbolica come il tatuaggio che Cathy porta
sulla spalla e che recita "perché sono libera".
L'immagine suggestiva del braccio di un atleta con in mano
la fiaccola di Sidney 2000 |