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Il termine "globalizzazione" ha rappresentato sicuramente una
parola chiave nel passaggio dal '900 al terzo millennio. La grande importanza
di questa evoluzione della società e dimostrata dal fatto che negli ultimi anni
sono stati molti i dibattiti a livello internazionale in cui sono stati
coinvolti sociologi, politologi e massmediologi per tentare di dare una
previsione sull'evoluzione di questo fenomeno in continua crescita ed
espansione, ma nessuno è riuscito a sviluppare una teoria totalmente indiscussa.
Anche le Nazioni Unite, come è noto, hanno ritenuto opportuno mettere a fuoco il
tema della globalizzazione, dedicandogli lo Human Development Report del 1999.
Si può affermare con certezza che siano due la parti che si fronteggiano nel
dibattito in corso. Da una parte c'è il gruppo, largamente maggiore dei
difensori della globalizzazione intesa come uno sviluppo su scala mondiale
dell'industrializzazione europea e statunitense. secondo questi autori negli
ultimi tre secoli industrialismo e modernizzazione hanno dato ottima prova di sé
in occidente, promuovendo un elevato livello di benessere economico.
La più recente dilatazione globale della rivoluzione industriale e dei processi
di modernizzazione è un fenomeno inarrestabile e benefico, poiché è destinato a
diffondere nel mondo intero le conquiste civili dell'Occidente. Esso
contribuisce inoltre a incrementare gli scambi economici, politici e culturali
fra tutti gli uomini, con effetti di aumento del benessere generale. E lo
sviluppo economico è la condizione necessaria dello "sviluppo umano" in termini
di speranza media di vita, i livelli di educazione primaria, di un tenore di
vita accettabile, di godimento dei diritti fondamentali, in particolare delle
libertà politiche. Una delle più rilevanti conseguenze di questo processo è il
superamento dell' "anarchia internazionale", grazie a una progressiva erosione
della sovranità degli Stati nazionali, o almeno a una sua forte attenuazione. la
conseguenza è un trasferimento del potere decisionale in ambito economico e
finanziario nelle mani delle grandi forze dell'economia internazionale e ai
maggiori protagonisti dell'economia mondiale.
Su quest'ultimo punto non tutti i sostenitori della
globalizzazione sono d'accordo, mentre alcuni analisti auspicano la fine di ogni
controllo politico sulle forze del mercato globale, altri, pur condividendo in
pieno l'ottimismo globalista, evidenziano l'importanza di non poter lasciare i
mercati alla pura logica capitalistica della concorrenza e del profitto. Dalla
parte totalmente opposta si schierano la minoranza dei critici radicali che si
irrobustita dopo la crisi economica che nel 1997-1998 ha colpito il sud-est
asiatico, l'america latina e la Russia. Questi critici non rinnegano gli aspetti
positivi della globalizzazione ma enfatizzano molto quelli negativi.
Essi denunciano la concentrazione della ricchezza negli stati occidentali, la
costante presenza di operazioni speculative all'interno dei mercati
internazionali e l'occidentalizzazioni degli stili di vita e dei modelli di
consumo e il conseguente annullamento delle diversità a livello culturale nel
mondo. Altro aspetto negativo della globalizzazione messo in forte evidenza non
solo dai critici, ma anche dai summit di Stoccolma (1972), Rio de Janeiro(1992)
e Johannesburg (2002), oltre che dal protocollo di Kioto nel 1997, è il continua
peggioramento della situazione ambientale dovuto alla diffusione nel mondo
dell'accelerazione dello sviluppo scientifico e tecnologico.
E' proprio a posizioni radicali come quelle sopra elencate che si ispira la contestazione militante del movimento no global nato intorno al 1999. Il motto di questo movimento riassume in modo molto eloquente le idee estremiste della contestazione: "Pensare globalmente, agire localmente". Nel mirino di questa contestazione ci sono le multinazionali, che, vista la loro potenza a livello internazionale, influenzerebbero le decisioni governative verso una politica non sostenibile dal punto di vista ambientale, energetico, umano e sociale.
Manifestazione no-global a Napoli nel maggio 2002 |
Il movimento No Global, nella sua parte
italiana, racchiude due anime. Una cattolica, pacifista che raccoglie le
cooperative e le associazioni che agiscono nel sociale e nelle parrocchie
insieme alla Rete Lilliput, alle Acli, alla laica Arci, a Legambiente e a
decine di altre. Una rete di associazioni solidali, contraddistinte da una
fortissima motivazione morale, cui va aggiunta Attac, l'organizzazione nata in
Francia per promuovere la Tobin Tax. Da ultimo anche la Cgil si è avvicinata al
movimento, portando dentro di esso il tema del lavoro.
Poi il Laboratorio dei Disobbedienti. Una vasta area che mette insieme i centri
sociali e altre strutture della sinistra antagonista comprese le ex Tute Bianche
di Luca Casarini (si sono sciolte proprio durante i giorni del G8) o i campani
della Rete No Global Forum e i giovani di Rifondazione comunista. Impegnati sui
temi dell'immigrazione e sociali (dal lavoro, alla casa), non escludono a priori
lo scontro con le forze dell'ordine e teorizzano la pratica della "disobbedienza
civile" un movimento variegato con alcuni obiettivi comuni, come si legge nel
manifesto approvato a Porto Alegre il 4 febbraio del 2002: annullamento del
debito dei paesi poveri, istituzione della Tobin Tax, abolizione dei paradisi
fiscali, protezione dell'ambiente e della biodiversità, opposizione alle
privatizzazioni, sostegno ai diritti dei lavoratori, alla parità fra uomo e
donna, diffusione della democrazia nel mondo. Tutti condannano il terrorismo ma
sono anche contro la guerra e, dopo l'11 settembre, hanno dato vita al movimento
pacifista. Nemici storici sono il Wto e le teorie liberoscambiste "imposte" ai
paesi più poveri, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale ritenuti
il "braccio armato" di quella politica di arricchimento delle zone già ricche
della terra. Altri nemici sono le multinazionali e lo sfruttamento imposto ai
lavoratori dei Paesi in via di sviluppo. Una parte del movimento, a partire da
Greenpeace, fortemente ecologista, lavora per la riduzione dell'effetto serra e
a difesa della natura e delle foreste. C'è, inoltre, chi come Attac vuole
imporre ai Paesi ricchi la cosiddetta Tobin Tax, una tassa sulle transazioni
finanziarie per ridurre gli squilibri fra Nord e Sud del mondo. I due slogan che
accomunano tutti, pacifisti, cattolici, antagonisti sono: "Un altro mondo è
possibile" e "Un altro mondo è in costruzione". Nel febbraio del 2002, ai No
Global si affiancano in Italia i "movimenti" dei girotondi, critici verso la
dirigenza della sinistra, di cui chiedono il rinnovamento, e fautori di
un'opposizione più radicale e più concreta sui temi della giustizia, della
scuola, della sanità, del lavoro e dell'informazione. I loro slogan è "Un'altra
opposizione è possibile".
Gli esponenti del movimento si sono schierati anche contro
l'ipotesi di una guerra. L'opposizione a un intervento militare è divenuto
uno dei perni fondamentali della loro protesta. Ha detto Francesco Caruso,
portavoce della Rete napoletana: "Il movimento antiglobalizzazione è
diventato ora movimento contro la guerra». La prima uscita è stata proprio a
Napoli, il 27 settembre. In ventimila (trentamila secondo gli organizzatori)
hanno sfilato tra piazza Garibaldi, via San Giovanni a Carbonara, via Foria,
piazza Dante, via Medina. Senza incidenti. Solo un piccolo falò in piazza
Mancini e una bandiera di Berlusconi incendiata davanti alla prefettura. Ma
tanti, tantissimi slogan contro le forze dell'ordine («assassini, bastardi,
servi dei servi») scanditi senza sosta soprattutto dal troncone del corteo
occupato da anarchici e marxistileninisti ogni volta che polizia e
carabinieri erano schierati a difesa di sezioni di An o di palazzi
istituzionali.
Una manifestazione organizzata per contestare il vertice Nato e poi
trasformata in marcia contro la guerra. «Abbiamo dimostrato spiega in serata
Francesco Caruso, leader dei no global napoletani di essere tantissimi, non
pensavamo di raccogliere in piazza decine di migliaia di persone. E siamo
pronti a scendere di nuovo. Se nelle prossime ore dovesse scoppiare la
guerra, invitiamo tutti a spegnere le tivù e a manifestare con noi
pacificamente. Meno male che c'è il Papa, solo lui è contro a guerra. Gli
invieremo una lettera in cui chiederemo un incontro. Il movimento
antiglobalizzazione diventa ora movimento contro la guerra».
Il corteo che a marzo fu bloccato violentemente in piazza Municipio ha
dunque «violato» simbolicamente la zona rossa arrivando festosamente in
piazza del Plebiscito. Un corteo pacifico che ha attraversato la città in
due ore. All'inizio i commercianti hanno abbassato le saracinesche temendo
incidenti, poi lungo la strada alcuni negozi sono rimasti aperti.
Soprattutto i bar, che hanno venduto migliaia di lattine di birra. Qualche
attimo di tensione solo in piazza Dante, appena il corteo ha fatto finta di
assaltare la sede di An e il McDonald protetto in realtà da un cordone
organizzato dagli stessi no global.
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Centri sociali, Cobas, Cgil, sinistra giovanile, Donne in nero,
Rifondazione, disoccupati del Movimento di lotta per il lavoro, Federazione
anarchici italiani e diversi intellettuali. «Dopo i fatti di Genova», spiega
lo scrittore Erri De Luca, «sono stato convocato di nuovo in piazza,
rispolverato dagli anni Settanta. Da quell'attacco osceno a una
manifestazione colossale».
In via Cirillo una folta comunità di cinesi accoglie il corteo con un
frenetico sventolio di fazzoletti bianchi. A due passi lo sceneggiatore
americano Jonathan Gainer: «Il terrorismo non si combatte con la guerra, non
si sconfigge con la disperazione dei popoli che soffrono su terre desolate.
Attaccare quelle popolazioni significa aggiungere disperazione alla
disperazione».
In piazza anche il magistrato Nicola Quatrano, l'assessore comunale di
Rifondazione Raffaele Tecce, l'ex senatore dei Ds Eugenio Donise, i
consiglieri comunali della quercia Mario Coppeto e Valeria Valente. Sfila
anche Gaetano De Simone che fu pestato il 24 aprile del '99 a Bagnoli
durante una protesta contro la guerra nei Balcani.
Un grande corteo, con una presenza però ridotta dei cattolici e senza
Legambiente che hanno invece partecipato in mattinata ad una manifestazione
a Porta Capuana con altri esponenti dei no global. «Da mesi spiega Pasquale
Orlando, presidente regionale delle Acli abbiamo impostato una distinzione,
a partire dalla scelta degli slogan contro la Nato che non ci piacevano
prima e non ci piacciono dopo l'11 settembre. I problemi con il resto del
movimento di cui facciamo parte riguardano forme di linguaggio e
atteggiamenti ma, in alcuni casi, anche i contenuti».
I cattolici erano comunque presenti in corteo con Assopace, parroci e frati.
Due francescani, Luigi e Antonio, sono arrivati da Sarno. Piero Manfredi,
parroco della chiesa di Materdei a Palma Campania, accusa: «Anche la chiesa,
sui problemi del terzo mondo, deve fare una seria autocritica».