Mark Kostabi - "No Global", olio su tela.


Il termine "globalizzazione" ha rappresentato sicuramente una parola chiave nel passaggio dal '900 al terzo millennio. La grande importanza di questa evoluzione della società e dimostrata dal fatto che negli ultimi anni sono stati molti i dibattiti a livello internazionale in cui sono stati coinvolti sociologi, politologi e massmediologi per tentare di dare una previsione sull'evoluzione di questo fenomeno in continua crescita ed espansione, ma nessuno è riuscito a sviluppare una teoria totalmente indiscussa. Anche le Nazioni Unite, come è noto, hanno ritenuto opportuno mettere a fuoco il tema della globalizzazione, dedicandogli lo Human Development Report del 1999.
Si può affermare con certezza che siano due la parti che si fronteggiano nel dibattito in corso. Da una parte c'è il gruppo, largamente maggiore dei difensori della globalizzazione intesa come uno sviluppo su scala mondiale dell'industrializzazione europea e statunitense. secondo questi autori negli ultimi tre secoli industrialismo e modernizzazione hanno dato ottima prova di sé in occidente, promuovendo un elevato livello di benessere economico.
La più recente dilatazione globale della rivoluzione industriale e dei processi di modernizzazione è un fenomeno inarrestabile e benefico, poiché è destinato a diffondere nel mondo intero le conquiste civili dell'Occidente. Esso contribuisce inoltre a incrementare gli scambi economici, politici e culturali fra tutti gli uomini, con effetti di aumento del benessere generale. E lo sviluppo economico è la condizione necessaria dello "sviluppo umano" in termini di speranza media di vita, i livelli di educazione primaria, di un tenore di vita accettabile, di godimento dei diritti fondamentali, in particolare delle libertà politiche. Una delle più rilevanti conseguenze di questo processo è il superamento dell' "anarchia internazionale", grazie a una progressiva erosione della sovranità degli Stati nazionali, o almeno a una sua forte attenuazione. la conseguenza è un trasferimento del potere decisionale in ambito economico e finanziario nelle mani delle grandi forze dell'economia internazionale e ai maggiori protagonisti dell'economia mondiale.

Su quest'ultimo punto non tutti i sostenitori della globalizzazione sono d'accordo, mentre alcuni analisti auspicano la fine di ogni controllo politico sulle forze del mercato globale, altri, pur condividendo in pieno l'ottimismo globalista, evidenziano l'importanza di non poter lasciare i mercati alla pura logica capitalistica della concorrenza e del profitto. Dalla parte totalmente opposta si schierano la minoranza dei critici radicali che si irrobustita dopo la crisi economica che nel 1997-1998 ha colpito il sud-est asiatico, l'america latina e la Russia. Questi critici non rinnegano gli aspetti positivi della globalizzazione ma enfatizzano molto quelli negativi.
Essi denunciano la concentrazione della ricchezza negli stati occidentali, la costante presenza di operazioni speculative all'interno dei mercati internazionali e l'occidentalizzazioni degli stili di vita e dei modelli di consumo e il conseguente annullamento delle diversità a livello culturale nel mondo. Altro aspetto negativo della globalizzazione messo in forte evidenza non solo dai critici, ma anche dai summit di Stoccolma (1972), Rio de Janeiro(1992) e Johannesburg (2002), oltre che dal protocollo di Kioto nel 1997, è il continua peggioramento della situazione ambientale dovuto alla diffusione nel mondo dell'accelerazione dello sviluppo scientifico e tecnologico.

E' proprio a posizioni radicali come quelle sopra elencate che si ispira la contestazione militante del movimento no global nato intorno al 1999. Il motto di questo movimento riassume in modo molto eloquente le idee estremiste della contestazione: "Pensare globalmente, agire localmente". Nel mirino di questa contestazione ci sono le multinazionali, che, vista la loro potenza a livello internazionale, influenzerebbero le decisioni governative verso una politica non sostenibile dal punto di vista ambientale, energetico, umano e sociale.


Manifestazione no-global a Napoli  nel maggio 2002

Il movimento No Global, nella sua parte italiana, racchiude due anime. Una cattolica, pacifista che raccoglie le cooperative e le associazioni che agiscono nel sociale e nelle parrocchie insieme alla Rete Lilliput, alle Acli,  alla laica Arci,  a  Legambiente e a decine di altre. Una rete di associazioni solidali, contraddistinte da una fortissima motivazione morale, cui va aggiunta Attac, l'organizzazione nata in Francia per promuovere la Tobin Tax. Da ultimo anche la Cgil si è avvicinata al movimento, portando dentro di esso il tema del lavoro.
Poi il Laboratorio dei Disobbedienti. Una vasta area che mette insieme i centri sociali e altre strutture della sinistra antagonista comprese le ex Tute Bianche di Luca Casarini (si sono sciolte proprio durante i giorni del G8) o i campani della Rete No Global Forum e i giovani di Rifondazione comunista. Impegnati sui temi dell'immigrazione e sociali (dal lavoro, alla casa), non escludono a priori lo scontro con le forze dell'ordine e teorizzano la pratica della "disobbedienza civile" un movimento variegato con alcuni obiettivi comuni, come si legge nel manifesto approvato a Porto Alegre il 4 febbraio del 2002: annullamento del debito dei paesi poveri, istituzione della Tobin Tax, abolizione dei paradisi fiscali, protezione dell'ambiente e della biodiversità, opposizione alle privatizzazioni, sostegno ai diritti dei lavoratori, alla parità fra uomo e donna, diffusione della democrazia nel mondo. Tutti condannano il terrorismo ma sono anche contro la guerra e, dopo l'11 settembre, hanno dato vita al movimento pacifista. Nemici storici sono il Wto e le teorie liberoscambiste "imposte" ai paesi più poveri, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale ritenuti il "braccio armato" di quella politica di arricchimento delle zone già ricche della terra.  Altri nemici sono le multinazionali e lo sfruttamento imposto ai lavoratori dei Paesi in via di sviluppo.  Una parte del movimento, a partire da Greenpeace, fortemente ecologista, lavora per la riduzione dell'effetto serra e a difesa della natura e delle foreste. C'è, inoltre, chi come Attac vuole imporre ai Paesi ricchi la cosiddetta Tobin Tax, una tassa sulle transazioni finanziarie per ridurre gli squilibri fra Nord e Sud del mondo. I due slogan che accomunano tutti, pacifisti, cattolici, antagonisti sono: "Un altro mondo è possibile" e "Un altro mondo è in costruzione". Nel febbraio del 2002, ai No Global si affiancano in Italia i "movimenti" dei girotondi, critici verso la dirigenza della sinistra, di cui chiedono il rinnovamento, e fautori di un'opposizione più radicale e più concreta sui temi della giustizia, della scuola, della sanità, del lavoro e dell'informazione. I loro slogan è "Un'altra opposizione è possibile".

Gli esponenti del movimento si sono schierati anche contro l'ipotesi di una guerra. L'opposizione a un intervento militare è divenuto uno dei perni fondamentali della loro protesta. Ha detto Francesco Caruso, portavoce della Rete napoletana: "Il movimento antiglobalizzazione è diventato ora movimento contro la guerra». La prima uscita è stata proprio a Napoli, il 27 settembre. In ventimila (trentamila secondo gli organizzatori) hanno sfilato tra piazza Garibaldi, via San Giovanni a Carbonara, via Foria, piazza Dante, via Medina. Senza incidenti. Solo un piccolo falò in piazza Mancini e una bandiera di Berlusconi incendiata davanti alla prefettura. Ma tanti, tantissimi slogan contro le forze dell'ordine («assassini, bastardi, servi dei servi») scanditi senza sosta soprattutto dal troncone del corteo occupato da anarchici e marxistileninisti ogni volta che polizia e carabinieri erano schierati a difesa di sezioni di An o di palazzi istituzionali.
Una manifestazione organizzata per contestare il vertice Nato e poi trasformata in marcia contro la guerra. «Abbiamo dimostrato spiega in serata Francesco Caruso, leader dei no global napoletani di essere tantissimi, non pensavamo di raccogliere in piazza decine di migliaia di persone. E siamo pronti a scendere di nuovo. Se nelle prossime ore dovesse scoppiare la guerra, invitiamo tutti a spegnere le tivù e a manifestare con noi pacificamente. Meno male che c'è il Papa, solo lui è contro a guerra. Gli invieremo una lettera in cui chiederemo un incontro. Il movimento antiglobalizzazione diventa ora movimento contro la guerra».
Il corteo che a marzo fu bloccato violentemente in piazza Municipio ha dunque «violato» simbolicamente la zona rossa arrivando festosamente in piazza del Plebiscito. Un corteo pacifico che ha attraversato la città in due ore. All'inizio i commercianti hanno abbassato le saracinesche temendo incidenti, poi lungo la strada alcuni negozi sono rimasti aperti. Soprattutto i bar, che hanno venduto migliaia di lattine di birra. Qualche attimo di tensione solo in piazza Dante, appena il corteo ha fatto finta di assaltare la sede di An e il McDonald protetto in realtà da un cordone organizzato dagli stessi no global.


Manifestazione No-Global


Centri sociali, Cobas, Cgil, sinistra giovanile, Donne in nero, Rifondazione, disoccupati del Movimento di lotta per il lavoro, Federazione anarchici italiani e diversi intellettuali. «Dopo i fatti di Genova», spiega lo scrittore Erri De Luca, «sono stato convocato di nuovo in piazza, rispolverato dagli anni Settanta. Da quell'attacco osceno a una manifestazione colossale».
In via Cirillo una folta comunità di cinesi accoglie il corteo con un frenetico sventolio di fazzoletti bianchi. A due passi lo sceneggiatore americano Jonathan Gainer: «Il terrorismo non si combatte con la guerra, non si sconfigge con la disperazione dei popoli che soffrono su terre desolate. Attaccare quelle popolazioni significa aggiungere disperazione alla disperazione».
In piazza anche il magistrato Nicola Quatrano, l'assessore comunale di Rifondazione Raffaele Tecce, l'ex senatore dei Ds Eugenio Donise, i consiglieri comunali della quercia Mario Coppeto e Valeria Valente. Sfila anche Gaetano De Simone che fu pestato il 24 aprile del '99 a Bagnoli durante una protesta contro la guerra nei Balcani.
Un grande corteo, con una presenza però ridotta dei cattolici e senza Legambiente che hanno invece partecipato in mattinata ad una manifestazione a Porta Capuana con altri esponenti dei no global. «Da mesi spiega Pasquale Orlando, presidente regionale delle Acli abbiamo impostato una distinzione, a partire dalla scelta degli slogan contro la Nato che non ci piacevano prima e non ci piacciono dopo l'11 settembre. I problemi con il resto del movimento di cui facciamo parte riguardano forme di linguaggio e atteggiamenti ma, in alcuni casi, anche i contenuti».
I cattolici erano comunque presenti in corteo con Assopace, parroci e frati. Due francescani, Luigi e Antonio, sono arrivati da Sarno. Piero Manfredi, parroco della chiesa di Materdei a Palma Campania, accusa: «Anche la chiesa, sui problemi del terzo mondo, deve fare una seria autocritica».

 



 

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