Minorenni alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, salari che bastano appena a sopravvivere, operai avvelenati dalle sostanze tossiche, una strage di incidenti sul lavoro.
Dietro queste piaghe c'è una lunga catena di cause e di complicità. Il lavoro infantile spesso è una scelta obbliga per le famiglie. 800 milioni di cinesi abitano ancora nelle campagne dove il reddito medio può essere inferiore ai 200 euro all'anno. Per i più poveri mandare i figli in fabbrica, e soprattutto le figlie, non è la scelta più crudele: nel ricco Guangdong fiorisce anche un altro mercato del lavoro per le bambine, quello della prostituzione. Gli emigranti che arrivano dalle campagne finiscono nelle mani di un capitalismo cinese predatore, avido e senza scrupoli, in un paese dove le regole sono spesso calpestate. Alla Kingmaker che produce per la Timberland , gli operai dicono di non sapere neppure "se esiste un sindacato; i rappresentanti dei lavoratori sono stati nominati dai dirigenti della fabbrica".
 Per confezionare un paio di Timberland, vendute in Europa a 150 euro, nella città di Zhongshan un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro. Lavora 16 ore al giorno, dorme in fabbrica, non ha ferie né assicurazione malattia, rischia l'intossicazione e vive sotto l'oppressione di padroni-aguzzini. Per fabbricare un paio di scarpe da jogging Puma una cinese riceve 90 centesimi di euro: il prezzo in Europa è 178 euro per il modello con il logo della Ferrari. Nella fabbrica-lager che produce per la Puma i ritmi di lavoro sono così intensi che i lavoratori hanno le mani penosamente deformate dallo sforzo continuo. L'impresa di Zhongshan si chiama Kingmaker Footwear, con capitali taiwanesi, ha 4.700 dipendenti di cui l'80% donne. Ci lavorano anche minorenni di 14 e 15 anni. La maggioranza della produzione è destinata a un solo cliente, Timberland. Le testimonianze dirette sui terribili abusi perpetrati dietro i muri di quella fabbrica sono state raccolte dall'associazione umanitaria China Labor Watch, impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento dei minori e le violazioni dei diritti dei lavoratori. Di fronte a queste rivelazioni il quartier generale della multinazionale ha dovuto fare "mea culpa" e ha ammesso che è a conoscenza che quella fabbrica ha avuto dei problemi relativi alle condizioni di lavoro, sono disposti a impegnarsi per aiutare i proprietari della fabbrica a migliorare. I "problemi relativi alle condizioni di lavoro" però non sono emersi durante le regolari ispezioni che la Timberland fa alle sue fabbriche cinesi (due volte l'anno), né risultano dai rapporti del suo rappresentante permanente nell'azienda.


bambine cinesi sfruttate in una fabbrica di scarpe

Sono state necessarie le testimonianze disperate che gli operai hanno confidato agli attivisti umanitari, rischiando il licenziamento e la perdita del salario se le loro identità vengono scoperte. "In ogni reparto lavorano ragazzi tra i 14 e i 16 anni", dicono le testimonianze interne: uno sfruttamento di minori che in teoria la Cina ha messo fuorilegge. La giornata di lavoro inizia alle 7.30 e finisce alle 21 con due pause per pranzo e cena, ma oltre l'orario ufficiale gli straordinari sono obbligatori. Nei mesi di punta, in cui la Timberland aumenta gli ordini, "il turno normale" diventa dalle 7 alle 23, con una domenica di riposo solo ogni 2 settimane; gli straordinari s'allungano ancora e i lavoratori passano fino a 105 ore a settimana dentro la fabbrica. La paga mensile è di 757 yuan (75 euro), ma il 44% viene dedotto per coprire le spese di vitto e alloggio. Per vitto e alloggio si intende camerate in cui si ammucchiano 16 lavoratori su brandine di metallo, e una mensa dove 50 lavoratori sono stati avvelenati da germogli di bambù marci. In fabbrica i manager mantengono un clima d'intimidazione incluse le violenze fisiche: un'operaia di 20 anni picchiata dal suo caporeparto è stata ricoverata in ospedale, ma l'azienda non le paga le spese mediche". Un mese di salario viene sempre trattenuto dall'azienda come arma di ricatto: se un lavoratore se ne va lo perde. Anche il fornitore della Puma è nel Guangdong, località Dongguan. Si chiama Pou Yuen, un colosso da 30.000 dipendenti. In un intero stabilimento,gli operai fanno scarpe sportive su ordinazione per la multinazionale tedesca. La lettera di un operaio descrive la sua giornata-tipo nella fabbrica. "Siamo sottoposti a una disciplina di tipo militare. Alle 6.30 dobbiamo scattare in piedi, pulirci le scarpe, lavarci la faccia e vestirci in 10 minuti. Corriamo alla mensa perché la colazione è scarsa e chi arriva ultimo ha il cibo peggiore, alle 7 in punto bisogna timbrare il cartellino sennò c'è una multa sulla busta paga. Alle 7 ogni gruppo marcia in fila dietro il caporeparto recitando in coro la promessa di lavorare diligentemente. Se non recitiamo a voce alta, se c'è qualche errore nella sfilata, veniamo puniti. I capireparto urlano in continuazione. Dobbiamo subire, chiunque accenni a resistere viene cacciato. Noi operai veniamo da lontani villaggi di campagna. Siamo qui per guadagnare. Dobbiamo sopportare in silenzio e continuare a lavorare. Nei reparti confezione puoi vedere gli operai che incollano le suole delle scarpe. Guardando le loro mani capisci da quanto tempo lavorano qui. Le forme delle mani cambiano completamente. Chi vede quelle mani si spaventa. Questi operai non fanno altro che incollare... Un ragazzo di 20 anni ne dimostra 30 e sembra diventato scemo. La sua unica speranza è di non essere licenziato. Farà questo lavoro per tutta la vita, non ha scelta. Lavoriamo dalle 7 alle 23 e la metà di noi soffre la fame. Alla mensa c'è minestra, verdura e brodo. Gli ordini della Puma sono aumentati e il tempo per mangiare alla mensa è stato ridotto a mezz'ora. Nei dormitori non abbiamo l'acqua calda d'inverno".


Un'altra testimonianza rivela che quando arrivano gli uomini d'affari stranieri per un'ispezione, gli operai vengono avvisati in anticipo: " i capi ci fanno pulire e disinfettare tutto, lavare i pavimenti; sono molto pignoli". Ancora più in basso ci sono i padroncini cinesi che producono in proprio. Per il quotidiano Nanfang di Canton, i due giornalisti Yan Liang e Lu Zheng sono riusciti a penetrare in un distretto dell'industria tessile dove il lavoro minorile è la regola, nella contea di Huahu. Hanno incontrato Yang Hanhong, 27 anni, piccolo imprenditore che recluta gli operai nel villaggio natale. Ha 12 minorenni alle sue dipendenze. Il suo investimento in capitale consiste nell'acquisto di forbici e aghi, con cui i ragazzini tagliano e cuciono le rifiniture dei vestiti. "La maggior parte di questi bambini - scrivono i due reporter - soffrono di herpes per l'inquinamento dei coloranti industriali. Con gli occhi costretti sempre a fissare il lavoro degli aghi, tutti hanno malattie della vista. Alla luce del sole non possono tenere aperti gli occhi infiammati. Lamentano mal di testa cronici. Liu Yiluan, 13 anni, non può addormentarsi senza prendere 2 o 3 analgesici ogni sera. Il suo padrone dice che Liu gli costa troppo in medicinali".
 Se mai un padrone venisse colto in flagrante reato di sfruttamento del lavoro minorile, che cosa rischia? Una multa di 10.000 yuan (mille euro), cioè una piccola percentuale dei profitti di queste imprese. La revoca della licenza invece scatta solo se un bambino "diventa invalido o muore sul lavoro". Comunque le notizie di processi e multe di questo tipo scarseggiano. La battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile non sembra una priorità per le forze dell'ordine.

Anche la Walt Disney è inquisita in questo giro di sfuttamento degli operai. Libri di Topolino, album colorati con le figure del pesciolino Nemo, agendine e giochi con i popolari personaggi dei cartoons di Walt Disney. Sono le prove a carico in un impressionante dossier sugli abusi dei diritti umani nelle fabbriche cinesi. Dietro gadget e giocattoli che vengono venduti ai bambini del mondo intero dalla multinazionale Disney ci sono migliaia di operai cinesi pagati 60 euro al mese.


operaia in una fabbrica di bambole cinesi

Costretti a lavorare 13 ore al giorno, e vittime di una tragica serie di incidenti in fabbrica: dita e mani amputate, morti sul lavoro. Le accuse sono documentate da un gruppo di ricercatori universitari di Hong Kong che sono riusciti a raccogliere le testimonianze degli operai e rivelano le loro scoperte in un voluminoso rapporto con il titolo "In cerca della coscienza di Topolino". La denuncia esce a tre settimane dall'inaugurazione del nuovo parco divertimenti Disneyland-Hong Kong, che è già stato al centro di controversie, in un periodo critico per i vertici della Disney in America. Uno dei fornitori della Disney è l'azienda tipografica Hung Hing, posseduta da azionisti di Hong Kong e con tre fabbriche nella città meridionale di Shenzhen. Dagli stabilimenti della Hung Hing escono fumetti, libri educativi per bambini, giochi interattivi, manuali per l'uso di giocattoli, scatole colorate. Non solo con il marchio Walt Disney. La Hung Hing fornisce pubblicazioni per l'infanzia anche ad altre multinazionali americane come Mattel e McDonalds. Le immagini gioiose di questi prodotti per bambini sono in contrasto con le condizioni di vita degli operai, ai limiti dello schiavismo. Ecco alcuni passaggi della lettera scritta da un operaio: "I guardiani ci maledicono e ci trattano come criminali. Gli alloggi sono lontani, ogni giorno qualche operaio che rientra a dormire viene investito da un'auto, ferito o ucciso, e non c'è assistenza sanitaria. I nostri salari sono miserabili, 600-700 yuan al mese (60-70 euro) e solo per l'alloggio ne spendiamo 100. Dopo aver lavorato un mese cerchiamo cosa ci resta in tasca: pochi spiccioli. Onorevoli dirigenti, non potete trovare nel vostro cuore un po' di compassione?". Il rapporto elenca i più recenti infortuni sul lavoro, in certi casi documentandoli con fotografie: un operaio di 24 anni schiacciato a morte dalla macchina che fa i buchi nella carta; un altro fulminato dalla corrente di una tagliatrice; operaie con le dita amputate o la schiena spezzata. Due altri fornitori cinesi della Disney si trovano nella zona di Dongguan, sono le imprese Nord Race e Lam Sun (quest'ultima fornisce i suoi prodotti di plastica anche a Mattel, Wal-Mart e Pepsi Cola).


operaio in fabbrica

  In queste fabbriche viene violata perfino la legislazione cinese sul lavoro, che pure non è certo avanzata nel tutelare i diritti. Il salario minimo legale nel Dongguan è fissato a 3,43 yuan l'ora (34 centesimi di euro) ma questi operai sono pagati 2,9 yuan all'ora. Fare gli straordinari è obbligatorio - la giornata media è 13 ore di lavoro - eppure spesso non sono pagati. Un trucco per spremere gli straordinari gratis consiste nell'aumentare gli obblighi di produttività: a un reparto è stato fissato l'obiettivo di migliorare il rendimento del 30% alzando la produzione di agendine a 520 l'ora; se quell' obiettivo non è raggiunto a fine giornata gli operai devono fermarsi in fabbrica finché non hanno completato la produzione, senza aver diritto a un compenso. Le aziende addebitano agli operai fino a 185 yuan al mese per le spese di alloggio e vitto, anche se si tratta di dormitori con stanze di 8 letti in 12 metri quadrati, e il cibo "è di una qualità così infima che si vede dal colore che ha". Nei reparti di produzione regna un calore oppressivo e non ci sono ventilatori. Un giorno di assenza dal lavoro viene sanzionato con 100 yuan di multa. Quando degli operai hanno osato protestare per chiedere dei miglioramenti salariali, sono stati picchiati dalle guardie giurate, e i capi dell'agitazione sono stati licenziati.  Un racket di sfruttamento dello schiavismo con oltre mille vittime. Spettacolari operazioni di polizia per liberare più di 450 minorenni al lavoro nelle fabbriche-lager. Immagini agghiaccianti dei bambini-schiavi e arresti di Vip ripresi con grande evidenza dai mass media ufficiali. Improvvisamente le autorità cinesi sembrano decise a dare battaglia contro il vasto mondo del capitalismo criminale, cresciuto per anni grazie alle protezioni politiche, che prospera sulla tratta di moderni schiavi: contadini poveri, bambini di campagna venduti ai trafficanti di carne umana. Con una significativa coincidenza, i blitz delle forze dell'ordine sono avvenuti quattro giorni dopo che la Cina era stata denunciata all'opinione pubblica internazionale per lo scandalo dei minorenni che fabbricano oggetti col «logo» delle Olimpiadi 2008. La più importante azione di polizia mai effettuata contro lo schiavismo nella Repubblica popolare cinese ha avuto il suo epicentro nelle province dello Henan e dello Shanxi. E' lì che oltre 450 minori sono stati liberati dalle fabbriche di mattoni in cui lavoravano. È stato il culmine di un' indagine di cui si era avuto sentore qualche giorno fa, che coinvolge tra gli imputati il figlio di un boss locale del partito comunista.


 
bambini-operai  in una fabbrica di mattoni


Il figlio del segretario del partito in una cittadina dello Shanxi, possiede la fabbrica di mattoni a Hong Kong dove un manager ha massacrato di botte uno dei suoi dipendenti, fino a ucciderlo. L'inchiesta di polizia è stata innescata dalle denunce di genitori che avevano perso ogni traccia dei figli. Gli stessi genitori hanno accusato le forze dell'ordine di avere ignorato a lungo i loro appelli, perché complici dello stesso racket mafioso specializzato nella tratta e nello sfruttamento dei minori. Un giornale nazionale, Tempi di Pechino, rivela l'odissea di un bambino prima liberato dalla fabbrica di mattoni di Shanxi, per poi essere venduto nuovamente a un'altra fabbrica-lager: a consegnarlo ai suoi carcerieri è stato nientemeno che un funzionario dell' ispettorato al lavoro. Da una parte Pechino sente il bisogno di recuperare credibilità all'estero dopo lo scandalo olimpico. D'altra parte c'è uno scontro reale fra settori del regime che puntano verso una modernizzazione compiuta e riforme «socialdemocratiche» (compresa una migliore tutela dei lavoratori) e quella parte della nomenclatura che non rinuncia ai vecchi metodi mafiosi per arricchirsi.