I Tibetani ebbero a lungo una religione di tipo sciamanico, chiamato bon. Poi nel VII secolo, arrivò il buddismo, e un re ne fece la religione di stato. Nel corso dei  secoli, il buddismo tibetano ( che aveva fatto propri alcuni miti e culti bon) si affermò vigorosamente sia all’interno sia all’esterno del paese.
Il buddismo tibetano è chiamato anche lamaista, con allusione al prestigio e alla venerazione di cui sono circondati i suoi lama: parola che vuol dire “maestri”. Ma questa definizione coglie solo un aspetto esterno del buddismo tibetano, che è caratterizzato da una grande ricchezza di scuole filosofiche, dedite alla ricerca delle vie della salvezza individuale. Al vertice della gerarchia dei maestri e dei monaci sono il Dalai Lama che era considerato la suprema autorità politica e il Panchen Lama il maestro spirituale e religioso. Entrambi sono considerati reincarnazioni del Buddha.
Nel corso della sua storia, il Tibet ha visto alternarsi periodi di indipendenza a temporanee occupazioni, e a conflitti con popolazioni con popolazioni musulmane o con i cinesi. In epoca moderna, il Tibet accettò per qualche tempo di essere considerato dall’impero cinese come una sorta di blando protettorato, tuttavia largamente autonomo nei fatti. Il paese fu del tutto indipendente dal 1911(l’anno della fine dell’impero cinese) fino a due anni dopo la vittoria comunista del 1949.
Nel 1950-51, i comunisti cinesi occuparono militarmente il Tibet e vi avviarono un insieme di riforme politiche e sociali, sostenendo di voler combattere ed eliminare la teocrazia, lo strapotente anche economico dei monasteri e la vecchia società feudale. Ma il buddismo era(ed è) fortemente radicato nella cultura dei tibetani, identificandosi nel loro senso profondo di indipendenza. Nel 1959 ci fu una ribellione con migliaia di morti e decine di migliaia di carcerati.
La persecuzione religiosa fu molto dura. Nel 1959 c’erano nel Tibet 110 000 monaci in circa 2500 monasteri; oggi i monaci sarebbero da 1000 a 2000, ed i monasteri rimasti solo 12. Circa 6000 tra monasteri e templi sarebbero stati rasi al suolo dai cinesi.  Benchè dal 1965 il Tibet sia formalmente una “regione autonoma”, di fatto esso ha continuato a vivere in regime di occupazione militare e a essere sottoposto a una violenta compagna di assimilazione.
Dopo il 1959, più di 100 000 buddisti hanno abbandonato il Tibet, rifugiandosi soprattutto in India, ma anche nel Nepal , in alcuni paesi dell’Asia sudorientale e in Svizzera. All’interno di queste comunità dell’esilio si seguono le antiche tradizioni religiose,culturali e sociali, anche se tra i giovani si segnalano, nel contatto con altre culture, fermenti di modernizzazione.
Anche dopo la ripetute “richieste di pace” del Dalai Lama i cinesi hanno continuato a rispondere periodicamente con  la repressione alle proteste dei tibetani.
Ma da vari anni alla repressione vera e propria si accompagna una strategia più sottile. I cinesi puntano a popolare con una forte immigrazione il Tibet come, del resto, le altre regioni abitate da popolazioni no han. Così,già oggi, i cinesi propriamente detti sono diventati maggioranza nella Mongolia interna e si avvicinano a esserlo nello Xinjiang e nello stesso Tibet. All’arrivo dei cinesi si accompagna una modernizzazione dell’economia e dei consumi,cui alcuni tibetani si adattano più o meno volentieri, mentre altri vedono un’ennesima e più pericolosa minaccia all’integrità della propria cultura.

 

Cina e Tibet, giusto boicottare le Olimpiadi?


Dalai Lama

Boicottare le Olimpiadi. Si alzano numerose voci di  violenze in Tibet, a favore di una decisione che sarebbe uno schiaffo alla Cina e alle sue aspettative di confermarsi come potenza mondiale non solo economica o militare.

Il movimento che promuove il boicotaggio delle Olimpiadi di Pechino ha preso forza dopo la dura repressione che il governo di Wen Jiabao ha messo in atto per bloccare le manifestazioni anticinesi della popolazione di Lhasa e di altre città tibetane. Una repressione che, secondo il governo in esilio (il Tibet è stato occupato e annesso da Pechino nel 1951), ha già causato un centinaio di morti. Accuse rispedite al mittente dal governo cinese: "Le violenze dei manifestanti sono premeditate, vogliono sabotare i giochi".

Il Dalai Lama dal suo esilio in India parla di "genocidio culturale" nei confronti dei tibetani, ma ha anche detto che boicottare i giochi "non è opportuno". In Europa la politica, seppur a livello di singoli e non di partiti o governi, non esclude l'ipotesi boicotaggio.

La crisi tibetana sfociata nelle manifestazioni e nel sangue di Lhasa ha messo in crisi il movimento olimpico, tanto che il CIO ha ammesso che svariati atleti starebbero considerando il boicottaggio dei Giochi di Pechino.

"Quest'anno il popolo cinese aspetta con orgoglio e impazienza l'inaugurazione dei Giochi Olimpici. Fin dall'inizio ho approvato l'idea che alla Cina fosse concessa la possibilità di ospitare le Olimpiadi sul proprio suolo. Poiché simili importanti eventi internazionali e a maggior ragione le Olimpiadi celebrano i principi della libertà di parola, libertà di espressione, eguaglianza e amicizia, la Cina dovrebbe dimostrare di essere una buona padrona di casa concedendo queste libertà. Pertanto, oltre a inviare i propri atleti alle Olimpiadi, i Paesi della comunità internazionale dovrebbero rammentare al governo cinese l'importanza di queste cose".

Le parole pronunciate dal Dalai Lama giusto una settimana fa riecheggiano come tuoni dopo il weekend di paura e sangue a Lhasa, giorni in cui il sentimento olimpico crescente nel cuore di tutti gli sportivi è stato ferito. La capitale tibetana è ormai presidiata dalle truppe cinesi e le agenzie di stampa internazionali parlano di un centinaio di morti durante gli scontri seguenti alle manifestazioni anti-han dei monaci.

La voce dell'astensione olimpica inizia a diventare insistente, tanto che il vice-presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach ha ammesso che molti atleti starebbero "valutando se boicottare" i Giochi di Pechino, ma ha voluto anche sottolineare come "siamo dell'opinione che le Olimpiadi aiuteranno la Cina ad aprirsi".

OLYMPIC GAMES 2008 Beijing - Free Tibet (protest in Australia) - 0
manifestazione contro i giochi olimpici di Beijing 2008

Un appello arriva poi dalla portavoce del CIO Giselle Davies: "Condividiamo il desiderio mondiale di una soluzione pacifica delle tensioni degli ultimi giorni nella regione tibetana. Speriamo che la situazione possa tornare tranquilla il più presto possibile".

Il problema del Tibet è una questione che non può non essere affrontata dalla comunità internazionale, soprattutto in quest'anno olimpico. Le manifestazioni "Free Tibet" si sono moltiplicate domenica nelle capitali europee facendo trasparire un sentimento comune dell'Occidente contrario alla politica di repressione culturale cinese.