|
|
Mary Aciro ha trascorso la sua giornata a
raccogliere fasci d'erba per nutrire il bestiame, a estirpare erbacce
nell'orticello di famiglia e ad aiutare la mamma a cucinare la cena su un fuoco
di carbone: è la vita di una ragazza africana qualunque in un villaggio africano
qualunque. Ma quando la luce del giorno comincia ad affievolirsi, Mary
sgattaiola fuori dalla capanna di fango della sua famiglia e comincia a
camminare a grandi passi su un sentiero sabbioso verso la città più vicina.
a bordo di pullman sgangherati gli adulti della città di Lacor, nella parte
settentrionale dell'Uganda, stano tornando a casa per la cena, mentre Mary,
insieme a centinaia di altri bambini, sta andando nella direzione opposta. I
ragazzini indossano stracci e ciabattine; alcuni portano sulle spalle sacchi o
coperte arrotolate. Si inerpicano su banchi erbosi e si affrettano lungo i bordi
della strada bruciata dal sole verso i rifugi notturni sorvegliati da truppe
governative.
|
I RIFUGI IN CITTÀ
È una questione di sopravvivenza: hanno paura della guerra. Quella che devasta
questa regione è il più lungo conflitto civile dell'Africa, e forse l'unico
della storia in cui i bambini sono contemporaneamente le principali vittime e i
principali aggressori. Mary e gli altri fuggono ogni notte dalla paura di essere
rapiti dall'Esercito di Resistenza del Signore, il Lord's Resistance Army (LRA),
un gruppo ribelle fondamentalista cristiano che usa i bambini come soldati,
facchini e schiavi sessuali. Il LRA effettua i suoi raid notturni, assalendo i
villaggi, uccidendo gli adulti e costringendo i bambini a massacrare i loro
genitori, prima di farli marciare fino ai campi nascosti nelle foreste.
Nel disperato tentativo di tenere lontani dalle loro porte i rapitori di
bambini, nel 2002 i genitori dell'Uganda settentrionale hanno cominciato a
mandare i loro figli nelle città vicine per la notte. All'epoca, i bambini erano
soliti dormire sui marciapiedi, raggomitolandosi tutti insieme per scaldarsi.
Arrivavano in gran numero: 40 mila bambini da tutta l'Uganda che arrivavano a
piedi nelle città per dormire lontani dai pericoli. Poi le organizzazioni
umanitarie hanno istituito dei rifugi per offrire loro un posto sicuro dove
andare; ed è proprio verso uno di questi rifugi che Mary è diretta.
Mary vive vicino alla città e segue la strada principale, mentre alcuni degli
altri bambini, per arrivarci, sono costretti a camminare per ore, seguendo
percorsi tortuosi e bui tra alberi di mango e tratti di boscaglia. Quando Mary
raggiunge il rifugio, lo trova già pieno di bambini, alcuni così piccoli che
hanno da poco imparato a camminare, altri già adolescenti. Il rifugio è composto
di spogli edifici di cemento, senza arredamento. e da gigantesche tende di tela
bianca sostenute da paletti di legno, cui i bambini danno nomi come "Papa
Giovanni Paolo II" e "Sala della Luna".
|
"NON C'È UN POSTO DOVE STARE"
Lillian Apiyo, 14 anni, è già dentro. "Vengo qui per essere protetta", dice,
seduta su uno scalino di cemento. "E conosco sempre nuovi amici. A casa non c'è
un posto dove stare". I piccoli fuggiaschi filtrano attraverso i cancelli con
aria sottomessa, ma presto nel rifugio si crea un'atmosfera di festa. Alcuni
ragazzini cominciano a ballare, roteando i fianchi e ondeggiando la testa. In
altri rifugi si cantano inni religiosi, accompagnati dal suono dei tamburi. Ai
bambini non viene dato niente da mangiare. I rifugi sono già abbastanza pieni
così; se offrissero anche del cibo, verrebbero presi d'assalto.
I guardiani adulti pattugliano con le torce, interrompendo le zuffe per le
coperte e consolando i più piccoli se appaiono spaventati o turbati. Molti però
sono sereni perché si sentono più seguiti qui che a casa. "Qui ho la sensazione
di essere
qualcuno", dice Gabriel Oloya, che studia chino sui libri di scuola
sotto la luce fioca. "Quando sto a casa invece sono sempre nervoso. Mi vengono
in mente tanti brutti pensieri. Qui dimentico le cose più spiacevoli". Gabriel,
il capo della sua famiglia, è responsabile dei quattro fratellini più piccolo,
che ha accompagnato con lui al rifugio:"I miei genitori sono morti, uccisi dai
ribelli".
Questi ragazzi hanno spesso un disperato bisogno d'affetto. Molti di loro sono
orfani. Liberati della responsabilità di lavorare nei campi come fanno di
giorno, qui nei rifugi per qualche ora possono tornare a essere bambini. Le
ragazze si fanno le treccine a vicenda, mentre i maschi si azzuffano per gioco.
DICIANNOVE ANNI DI GUERRA
|
Collins Ocean, un minuscolo tredicenne che sembra uno spaventapasseri sol suo
cappotto troppo grande, i pantaloni corti stracciati e le ciabattine, viene qui
anche per il divertimento che trova: "Mi piace giocare, scambiare delle storie
con gli altri, lavarmi insieme a loro".
Altrove, gli ormoni adolescenziali si scatenano. Una folla di ragazzi si raduna
attorno al gruppo di ballerini per osservarli. Nei villaggi, danze come queste
erano rituali di corteggiamento, un'opportunità per gli adolescenti maschi e
femmine di lanciarci sguardi furtivi in un contesto approvato dagli adulti. Nel
rifugio, i ragazzi sono separati dalle ragazze ma, fuori dai cancelli di
metalli, giovani coppie si abbracciano nella semioscurità.
Il rifugio di Mary si riempie rapidamente. Presto vi arrivano oltre mille
bambini, più maschi che femmine, e i guardiani cercano di trovare a ognuno
di loro un posto dove dormire. Gli ospiti stendono sui pavimenti spogli i
tappetini o le coperte che si sono portati da casa. Entro le dieci di sera,
tutti si sono sistemati per la notte e le luci si spengono. Alcuni si
addormentano prima; molti sono esausti per la camminata. I più piccoli sono
spesso agitati, si muovono nel sonno - in preda agli incubi, probabilmente - e
si rannicchiano accanto ai fratelli o alle sorelle più grandi per trovare un po'
di conforto.
Un tempo le tribù Acholi e Lonago dell'Uganda settentrionale erano formate da
contadini che vivevano in piccoli villaggi sparsi qua e là, in mezzo a mandrie
di bestiame della lunghe corna e a campi di mais. Ma diciannove anni di guerra
hanno cambiato tutto: praticamente l'intera popolazione del Nord, circa un
milione e mezzo di persone, è stata dislocata in accampamenti affollati e
polverosi nei dintorni delle città principale. La disperazione ha alimentato
l'alcolismo e la violenza domestica, e l'orrore della guerra è parte integrante
della vita di tutti i giorni. Man mano che la generazione più vecchia scompare,
scompare anche la speranza di tornare a una vita normale.
|
Questa è una cultura che fa affidamento sulla memoria. Quando i genitori non ci
saranno più i bambini avranno spezzato anche il legame con i villaggi di
origine. "Metà della popolazione che vive negli accampamenti è composta da da
giovani al di sotto dei 15 anni", dice padre Carlos Rodriguez Soto, un sacerdote
che ha trascorso 18 anni in Uganda. "Questi giovani stanno perdendo il ricordo
del contesto originale della loro cultura. Se la vita nei campi profughi
diventasse una sistemazione permanente sarebbe la catastrofe".
Il sole non si è ancora levato del tutto quando i guardiani adulti svegliano i
bambini. Il nuovo giorno comincia con una preghiera comune, guidata dagli
adulti. Alcuni bambini alzano in aria la mano destra, un gesto tipico delle
chiese evangeliche che raccolgono anime negli angoli più disperati dell'Africa.
Altri si accovacciano e si coprono il viso, per dare segno della loro "umiltà
nei confronti di Dio". Guardando questa folla di bambini scarni e vestiti di
stracci, riesce difficile immaginare che sulla Terra possa esistere un popolo
più umile.
Dopo la preghiera, i più grandi radunano fratelli e sorelle e cominciano a
sgattaiolare fuori dai cancelli. Entro le nove del mattino il sole scotterà, ma
adesso è ancora tiepido. È un buon momento per incamminarsi verso casa.
- da Vanity Fair 06.04.2006;
traduzione di Giampiero Cara "Il buio fa paura" -