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L'Uganda è contrassegnata da una guerra civile che da 19 anni sconvolge la popolazione e che vede nei bambini le sue vittime centrali: essi vengono rapiti e costretti a una vita da soldato dai ribelli del LRA (Lord Resistance Army). Le bambine sono ridotte a schiave sessuali, come “mogli” dei comandanti ribelli, e vengono sfruttate per i “lavori domestici” negli accampamenti, quando non sono anche loro costrette a combattere in prima linea. Alcuni bambini fuggono dai loro villaggi per cercare protezione nei centri urbani,in condizioni però che li espongono a ulteriori abusi e violenze: e gravi violazioni dei diritti umani hanno pesantemente traumatizzato la maggior parte dei profughi che non trovano riparo nemmeno nei campi. La protezione dei bambini a rischio si presenta, nel suo complesso, estremamente difficoltosa: si stima che oltre 1,8 milioni di orfani necessitino di speciale assistenza, mentre il lavoro minorile, soprattutto quello domestico e nelle piantagioni, rappresenta un problema di proporzioni preoccupanti, con oltre 2 milioni di bambini costretti a lavorare, 300.000 dei quali in condizioni di lavoro altamente pericolose. La Commissione per i diritti umani dell'Uganda ha lamentato solo la scorsa settimana che soldati governativi entrano nei campi profughi e violentano le donne che dovrebbero in realtà proteggere. Dal 1986, il Lord Resistance Army - l’Esercito di liberazione del Signore - conduce una campagna di
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terrore e di violenza nel nord del paese, con l’obiettivo di rovesciare il Governo centrale e governarlo secondo i 10 comandamenti della Bibbia. Sotto la guida del suo leader e “capo spirituale” Joseph Kony porta avanti una ribellione feroce, che si distingue per le atrocità efferate commesse a danno dei civili e dei bambini in particolare, considerati lo strumento principale, perché “più malleabili”, mediante cui condurre una guerra senza quartiere contro il Governo e le popolazioni civili del Nord. Dalla ripresa in grande stile delle operazioni militari, nel 2002, la situazione umanitaria è costantemente peggiorata: negli ultimi mesi - man mano che l’esercito regolare si spinge in sud Sudan, per distruggere le roccaforti ribelli - si è registrato un nuovo aggravamento, determinato da un ulteriore escalation del conflitto. Nelle regioni più colpite dalla guerra (quelle settentrionali e nord-orientali del paese) il numero degli sfollati è aumentato notevolmente negli ultimi 3 anni. Il rischio maggiore per ora è che la tragedia del nord Uganda rimanga in secondo piano sull’agenda della comunità internazionale, già impegnata nella regione con gravissime crisi, dalla carestia in Niger alla guerra in Darfur.
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Nel 1962 l'Uganda conquista l'indipendenza dagli inglesi ma col passare del tempo la situazione politica prende una piega diversa dalle attese della gente. Viene eletto primo ministro Milton Obote, che per dieci anni governa perseguendo un duro regime dittatoriale. Nel 1971, grazie ad un colpo di stato, il potere passa nelle mani di Idi Amin, ma il suo regime è caratterizzato da massacri di oppositori politici e della popolazione Acholi e Langi, accusati di aver patteggiato e convenuto al regime di Obote. In otto anni, muoiono 300.000 persone, e il paese precipita in una profonda crisi economica. La sua dittatura finisce nel 1979, quando è costretto, da chi non condivide il suo assolutismo, a rifugiarsi in Libia, e poi in Arabia Saudita dove muore nel 2003. I successivi cinque anni, sono caratterizzati da scontri sanguinosi, fino a quando Obote, rientra in Uganda e si riprende il potere, ma per un breve periodo, perché da subito, trova un forte dissenso da parte dell'Armata di Resistenza Nazionale, comandata da Yoweri Museveni. Segue una violenta guerra civile, che si placa solo nel 1985. Da subito sono aperte le trattative con l'Armata di Resistenza Nazionale di Museveni, allo scopo di fermare gli interminabili eccidi, e recuperare un po' di pace, all'interno del Paese. Il progetto di tregua, fallisce e ancora oggi, in Uganda si muore. Soltanto un mese fa, i ribelli del LRA, (Arma di Resistenza del Signore), hanno colpito il campo profugo di Barlonya, nei pressi di Lira, uccidendo più di 200 persone. Gli abitanti del campo, sono stati attaccati intorno alle 18.00. La gente spaventata e indifesa, ha cercato rifugio nelle abitazioni, ma lì hanno trovato la morte. I ribelli, hanno appiccato il fuoco alle case, bruciando vive più di 100 persone, mentre la restante parte è stata uccisa con colpi d'arma da fuoco.
Per l'ennesima volta l'esercito ugandese, si è fatto cogliere di sorpresa dalla milizia ribelle, ed ora è sotto accusa per la propria inefficienza. La LRA è guidata da Joseph Kony, proclamatosi profeta, che dalla fine degli anni 80 lotta contro il regime di Museveni, perché intenzionato ad instaurare in Uganda un regime basato sull'applicazione dei 10 biblici comandamenti. Le testimonianze dei sopravvissuti all'eccidio di massa, ha dell'inverosimile. Si parla di gente uccisa a colpi di machete. Inoltre un numero imprecisato di persone, risulta dispersa, potrebbero essere morte, oppure fatte prigioniere dai ribelli, per essere impiegate come soldati, o come schiavi. Un massacro, che nemmeno i soldati impiegati, alla guardia del campo profughi è riuscito ad evitare; qualcuno parla di probabile corruzione degli alti Ufficiali delle Forze Armate, ma è tutto da dimostrare. Kony potrebbe essere incriminato fra pochi mesi. Ma non è facile come appare, soprattutto in questo momento, dove la tensione è alta e già c'è chi pensa di estromettere dal potere Museveni, nelle prossime elezioni presidenziali del 2006.
La lotta senza quartiere tra i soldati governativi ugandesi del presidente
Yoweri Museveni contro i ribelli del LRA di Joseph Kony ha gia' lasciato sul
terreno centinaia di morti. Ma in questa terra, ora più che
mai macchiata dal sangue, c'è una guerra ancora più difficile da combattere:
quella contro l'AIDS. Migliaia di persone
sono gia' morte e molte altre che dovranno morire o soffrire.
I numeri danno la certezza che l’Uganda sta combattendo la sua difficile guerra
contro la malattia del millennio: la sindrome dell' HIV.
Una commissione di esperti di varie organizzazioni internazionali ha rimarcato
il concetto secondo il quale, se non si interverra' con urgenza per fermare
l'epidemia maledetta, l'Uganda si convertirà in un inferno in terra e
sarà piu’ difficile contare i morti che le persone che rimarranno vive.
Camminando nei villaggi, l'odore acre dei
morti di aids ed alcuni corpi mutilati ulteriormente dai cani non lascia altro
che pensare alla morte. Si vedono morti anche in uno dei pochi dispensari
gestito da suore cattoliche, che senza alcun aiuto
ufficiale e noncuranti se le vittime siano cristiane, indu' o musulmane, si
incaricano di ricevere bambini, giovani ed anziani nell'unica struttura
sanitaria della zona. La suora cattolica Ernestina Akullu, una energica donna che ha
studiato in Italia come infermiera professionale, e' uno degli angeli di questo
dispensario-ospedale, che assomiglia ad un inferno. Ernestina e le sue
consorelle, Gabriella e Lucia, con pochi altri infermieri e due soli medici, un
ugandese ed un eritreo, meriterebbero, senza dubbio alcuno, il Premio Nobel per
il coraggio: camminano senza sosta tra i sieropositivi all'HIV e ai morti di
Aids, senza pensare ai rischi a cui si sottopongono. E sono consapevoli, che
solo loro stessi, possono tentare di arrestare questo massacro umanitario,
dimenticato da quello che definiamo il mondo civile.