Dagli inizi del XX secolo, la crescita industriale delle potenze capitalistiche fu stupefacente e dopo la seconda guerra mondiale i paesi più avanzati riuscirono a soddisfare i fabbisogni di base delle loro popolazioni. Malgrado tutto, però, alcuni esperti previdero una crisi imminente. La fabbricazione di prodotti era di molto superiore alla capacità di assorbimento dei mercati nazionali, ormai privati delle colonie dove poter piazzare le merci in eccesso, mentre i paesi del Terzo Mondo non potevano utilizzare le loro scarse finanze in importazioni massicce. Sebbene il collasso sembrasse dietro l'angolo, l'economia occidentale trovò la soluzione: se i fabbisogni principali erano soddisfatti, bisognava crearne di nuovi.

I piani aziendali furono favoriti dall'ottimismo economico delle società più evolute. Le rendite erano aumentate sotto la spinta degli investimenti pubblici e privati tesi a ricostruire quanto devastato dalla seconda guerra mondiale. Inoltre, le spese militari connesse al riarmo trainarono l'economia con la forza degli aiuti statali. Furono create così le condizioni che avrebbero consentito in tutto l'Occidente l'affermazione della società dei consumi.

La pubblicità fu lo strumento più adeguato per far sorgere nuove esigenze. Gli imprenditori cominciarono a investire parte dei loro capitali in campagne che offrivano prodotti di qualità e nuove merci e servizi. Così, per esempio, gran parte dei cittadini occidentali fece ben presto uso degli elettrodomestici che rendevano più semplice la loro vita, cominciarono a viaggiare nel tempo libero e a migliorare l'arredamento.


La televisione, il principale strumento di comunicazione

L'emulazione sociale giocò in favore dell'enorme offerta: non solo era necessario consumare, ma bisognava farlo più e meglio degli altri. La ricerca del lusso e dell'esclusività diventarono valori che indussero molti cittadini a una corsa permanente per disporre dell'automobile migliore, dei vestiti più ricercati di un maggior numero di elettrodomestici e di una casa più grande di quella dei vicini. L'asservimento alla moda e la scarsa durata anche materiale dei nuovi prodotti assicurò all'industria una stretta relazione tra l'abbondante offerta e la continua domanda.

La pubblicità non fu l'unico strumento di comunicazione con il consumatore. Anche le vetrine ebbero una parte nella spinta ai spinta ai consumi e nell'incremento della produttività dei paesi industrializzata. Il modo di presentare i prodotti divenne essenziale per risvegliare l'interesse dei potenziali acquirenti. Le imprese compresero che l'immagine era altrettanto importante della qualità dei loro prodotti.

Per le economie nazionali gli utili furono evidenti, giacché il sistema permise ai mercati di assimilare il costante incremento della produttività. Il consumismo fu il nuovo fattore economico che scandiva le tappe di espansione o recessione: senza consumi, l'inflazione e la disoccupazione erano inevitabili; con i con i consumi il commercio e le entrate per imposte dirette e indirette degli stati aumentavano, così come aumentavano il fatturato e i profitti delle imprese. Il capitalismo stava attraversando la sua "età dell'oro".


Una delle prime radio

I problemi creati dal troppo benessere:

Gli anni Novanta si sono caratterizzati anche per altri aspetti. Lo sviluppo basato sulla rivoluzione tecnologica in campo informatico è apparso incapace di creare nuovi posti di lavoro. In questi anni il livello di disoccupazione ha infatti superato il 40% in tutti i paesi industrializzati dell’Occidente e, anche se successivamente si è registrata una lieve ripresa, essa è comunque inferiore al ritmo di crescita economica.

Inoltre, tale crescita ha prevalentemente interessato le piccole e medie imprese e i posti di lavoro precari, mentre la grande industria ha continuato a distinguersi per un preoccupante calo dell’occupazione.

Sul piano sociale hanno perso terreno le istituzioni tradizionalmente importanti in passato, come la famiglia, la scuola e la fabbrica. In compenso si è andata gradualmente affermando una società di tipo individualistico, nella quale la singola persona ritrova la propria identità non nell’appartenenza a una collettività stabile, ma in una rete di possibili rapporti fondati sul gusto e sugli stili di consumo, sull’origine o sulla generazione a cui appartiene.

Nello stesso tempo il calo di natalità, cominciato negli Stati Uniti e in Europa nella metà degli anni Sessanta, si è ulteriormente accentuato fino a raggiungere, in alcuni paesi, la cosiddetta "crescita zero". Ciò è dovuto principalmente a due fattori: l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e il desiderio di mantenere o accrescere il tenore di vita faticosamente raggiunto.

Conseguenza diretta del calo demografico nei paesi più ricchi è stato il progressivo invecchiamento della popolazione che ha determinato la crisi del sistema pensionistico. Tale sistema funziona se il numero delle persone attive è superiore a quello dei pensionati, in caso contrario ogni lavoratore dovrebbe provvedere al mantenimento di un pensionato, fatto che si prevede assai vicino nel tempo.

D’altra parte, nei paesi più poveri del pianeta, in Africa, in Asia, nell’America Latina, la popolazione ha continuato ad aumentare perché la limitazione delle nascite è stata ostacolata dalle consuetudini locali e dall’opposizione religiosa. Nel 1990, per esempio, la ricca Europa aveva 498,4 milioni di abitanti mentre l’Africa, poverissima in alcune sue regioni, ne contava 642,1 milioni.

Le enormi difficoltà dei paesi del Terzo Mondo a far decollare le proprie economie hanno determinato, come soluzione al problema della sovrappopolazione, un grande aumento dell’emigrazione verso gli Stati Uniti e l’Europa.

 

 

 

 

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