Ascolta l'inno nazionale sovietico
Gli eventi noti come
rivoluzione di febbraio, che portarono alla caduta del regime zarista,
avvennero principalmente a Pietrogrado, l'allora capitale dell'Impero russo.
Per quanto riguarda le date bisogna tenere presente che fino all'aprile del
1918 nell'Impero russo era ancora in vigore il calendario Giuliano indietro di
13 giorni rispetto a quello corrente.
La rivoluzione di febbraio, a detta di tutti gli storici, fu un movimento
spontaneo della popolazione di Pietrogrado e delle truppe stanziate nella
città, nel senso che nessuno pianificò ed organizzò la protesta o ne definì
gli scopi. Ovviamente dopo i primi momenti molti cercarono di guidarla verso
diversi obiettivi. La spontaneità del movimento non può essere interpretata,
però, come assenza di condizioni rivoluzionarie. La guerra e le privazioni a
cui erano sottoposte le classi lavoratrici, unite alla politica conservatrice
dei governi che impedivano quasi del tutto la libertà di espressione e di
organizzazione (si tenga conto che ad esempio molti dirigenti del partito
bolscevico, che era costretto ad operare nella clandestinità, si trovavano in
esilio all'estero e non rientrarono in Russia che dopo i fatti del febbraio)
avevano creato, nella popolazione, uno stato d'animo di attesa di un
cambiamento non più rinviabile.
Lenin libera il mondo dai nobili |
I prodromi di ciò che sarebbe
accaduto si ebbero il 9 gennaio, anniversario della domenica di sangue, in
molte città ebbero luogo grandi dimostrazioni contro la guerra. La polizia
intervenne pesantemente nei confronti dei dimostranti e si ebbero numerosi
morti e feriti.
La riapertura della Duma il 14 febbraio non servì certamente a calmare gli
attacchi contro Nicola II ed il suo governo
Il 18 febbraio, a Pietrogrado, gli operai delle officine Putilov, una delle
maggiori industrie della città, iniziarono uno sciopero in seguito ad un
conflitto con la direzione che dopo cinque giorni dichiarò la serrata dello
stabilimento.
Il 23 febbraio gli operai
della Putilov, a cui si erano uniti altri lavoratori, scesero in piazza e si
giunse a proclamare lo sciopero generale.
Le manifestazioni continuarono anche nei giorni seguenti e la sera del 25 lo
zar, dal quartier generale dell'esercito a Mogilev, ordinò al comandante della
guarnigione di Pietrogrado di "...liquidare domani stesso..." i disordini.
Nel pomeriggio del 26 il reggimento della guardia di Volinia sparò sulla folla
lasciando sul terreno più di sessanta manifestanti ma questo non bastò per
riportare la calma in città. Lo stesso giorno il presidente della Duma
Rodzianko, in un tentativo di riprendere il controllo della situazione inviò
un telegramma allo zar chiedendo concessioni che potessero calmare la
popolazione ma non ottenne nessuna risposta se non l' ukase (ordine) di
aggiornare le sedute.
Il 27 febbraio Il reggimento
della guardia di Volinia, il reggimento della guardia Preraženskij ed il
reggimento Litovskij, che costituiscono il grosso della guarnigione di
Pietrogrado si uniscono agli operai a cui distribuiscono anche parte delle
armi.
Sul fronte politico, malgrado l'ordine di sospensione delle sedute, la maggior
parte dei deputati della Duma si riunì nella sede di questa, il Palazzo di
Tauride, dando vita ad un comitato che aveva il compito di elaborare lo schema
di un nuovo governo. Del comitato, oltre a elementi della destra e del centro
faceva parte anche Aleksandr Kerensky appartenente ai Socialisti
Rivoluzionari.
Sempre il 27, nel pomeriggio,
anche la Duma fu occupata dagli insorti che permisero però al comitato di
cercare un contatto con lo zar. La sera stessa, sempre nel Palazzo di Tauride,
si riunì il primo soviet di Pietrogrado.
Composto da rappresentanti degli operai (uno ogni mille) e da quelli dei
soldati (uno per ogni compagnia) il soviet, in cui i Socialisti Rivoluzionari,
avevano la maggioranza, cercò inizialmente di sottrarre l'iniziativa politica
al Comitato della Duma e fallito questo tentativo si orientò su quello che
verrà poi chiamato il dualismo dei poteri" con il Comitato. In pratica
nessuno dei due organi, pur in assenza di una struttura legale di tale
situazione, poteva operare in diretto disaccordo con l'altro. Frattanto la
situazione precipita, a Pietrogrado gli insorti controllano ormai le poste i
telegrafi le ferrovie ed anche le basi militari. Zarskoe Zelo, dove si trova la
famiglia imperiale, viene occupata intorno al 29/30.
Il 28 febbraio la rivolta scoppia anche a Mosca con esiti analoghi a quelli di
Pietrogrado. Nel frattempo lo zar, convinto ancora di poter semplicemente
reprimere la rivoluzione decreta, senza alcun effetto, lo stato d'assedio
nella capitale e nomina un dittatore militare per "sedare le agitazioni".
Nella notte tra il primo ed
il due marzo, lo zar, ormai persino impossibilitato a raggiungere la famiglia
a Zarskoe Zelo, firmò un manifesto che prometteva una Costituzione e la
formazione di un gabinetto responsabile verso la Duma, ma quello che poche
settimane prima avrebbe avuto un notevole peso ora fu privo di valore. Il 2
marzo Soviet e Comitato della Duma raggiunsero un accordo sulla deposizione
dello zar e sulla formazione di un governo provvisorio che indica le elezioni
per l'Assemblea Costituente. Lo stesso giorno viene presentato l'elenco dei
nuovi ministri. Il nuovo governo, retto dal principe Lvov, era composto per la
quasi totalità da figure della grande proprietà fondiaria e del capitale
provenienti dalle fila del partito di centro dei "Cadetti"; la sinistra era
rappresentata solamente da Kerensky a cui era affidato il dicastero della
giustizia.
Sulle motivazioni che avevano spinto Kerensky ad entrare, contro il parere del
suo partito, nel governo gli storici sono divisi: da un parte si tende a
giustificare il suo operato in nome dell'amor di patria dall'altra si mette in
evidenza il desiderio di potere. Comunque sia Kerenski riuscì a ottenere dal
Soviet di Pietrogrado, di cui era membro, l'appoggio al nuovo governo.
Nella notte tra il 2 ed il 3 marzo Nicola II abdica in favore del fratello, il
Granduca Michele, ma questi lo stesso giorno rinuncia al trono ponendo così
fine alla monarchia in Russia ed ai tre secoli di dominio
Il ritiro delle truppe russe dal fronte proprio nel momento di maggiore crisi per entrambe le coalizioni contendenti era stato causato dalla rivoluzione di febbraio.
Il regime zarista fu travolto dalla ribellione di una popolazione stremata dalla guerra, ma già da tempo oppressa da una condizione sociale insostenibile.
L'immenso impero zarista comprendeva moltissime nazioni: finlandesi, russi, mongoli, polacchi, georgiani, armeni ecc. ed era guidato dalla monarchia assoluta dei Romanov. L'impero zarista era lo stato più arretrato d'Europa.
La lingua e la cultura dei russi era stata imposta a tutto l'impero.
Personaggi ignoranti e corrotti dominavano la corte. Il monaco Rasputin, figura tragica e grandiosa, emblema dei tempi, divenne il vero padrone della Russia approfittando della debolezza dello zar.
Nei vari territori dell'impero e nella maggiori città russe frequenti erano le ribellioni. Ricordiamo in particolare le sommosse del 1905, seguite alla sconfitta contro il Giappone. Ad un certo punto le sommosse divennero molto frequenti e diffuse, coinvolsero tutti gli strati della popolazione comprese le forze armate (famoso l'ammutinamento della corazzata Potempkin). Lo zar fu costretto a concedere la Costituzione, ma il diritto di voto fu concesso a pochissime persone e il parlamento (Duma) ebbe pochi poteri.
La rivoluzione del 1905 non aveva modificato nè le strutture del Paese nè il governo autocratico.
Inoltre la partecipazione alla guerra danneggiò in modo disastroso il già fragile sistema economico del Paese.
Fine della servitù della gleba e aumento della produzione di frumento
Lo zar Alessandro II nel 1867 aveva abolito la servitù della gleba permettendo a venti milioni di contadini liberi di riscattare la terra sulla quale lavoravano.
In conseguenza di tale riforma aumentò enormemente la produzione di frumento fino a superare quella degli Stati Uniti d'America. L'esportazione del frumento a basso prezzo in Europa, dati i bassi salari dei braccianti, permise la disponibilità dei capitali necessari per investire nell'industrializzazione di un paese completamente agricolo.
Industrie chiavi in mano
Gli stati industrializzati occidentali vendevano alla Russia industrie complete di tutto e funzionanti, formavano tecnici e operai e assistevano la produzione per i primi anni.
I primi settori industriali che si svilupparono furono il tessile e il seiderurgico. Notevolissimi furono i progressi in campo petrolifero, tanto che nel 1910 la Russia produceva un quarto del petrolio consumato nel mondo.
In 60 ani, dal 1850 al 1910 la popolazione era passata da 70 milioni a 161 milioni di abitanti. Nel 1911 gli addetti all'industria raggiungevano i cinque milioni: pochi rispetto al resto della popolazione, ma comunque abbastanza numerosi in assoluto e concentrati in poche grandi città (Pietrogrado, Mosca, Kiev, Rostov, Odessa, Baku).
Questi lavoratori costituivano una base molto politicizzata e sindacalizzata: saranno loro i principali protagonisti della Rivoluzione Russa del 17.
i socialdemocratici
Sotto il regime zarista erano vietati i partiti e i sindacati. Nel 1911, tuttavia, 40.000 operai erano segretamente iscritti al sindacato e altrettanti al partito socialdemocratico.
Nel Congresso di Londra del 1903 il partito si scisse tra menscevichi e bolscevichi.
I menscevichi (che in russo significa di minoranza) erano i più moderati: sostenevano un'alleanza strategica con la borghesia per l'ottenimento di riforme politiche e sociali.
Questo allo scopo di portare il Partito socialdemocratico ad essere legalmente riconosciuto e poi ad ottenere il successo in libere elezioni politiche.
I bolscevichi ("di maggioranza" in lingua russa) ritenevano inattuabile il progetto del partito menscevico in un paese arretrato e quasi privo di borghesia liberale come era la Russia.
A loro avviso, quindi solo la rivoluzione avrebbe potuto realizzare i cambiamenti sociali auspicati dai socialisti, per la rivoluzione avrebbe permesso di impadronirsi del potere con la forza.
Il contrasto tra bolscevichi e menscevichi riproduceva il disaccordo tra riformisti e massimalisti creatosi tra i socialisti occidentali.
Le somiglianze però erano solo teoriche: In Europa occidentale si erano sviluppati la borghesia e il liberalismo insieme con il sindacato e i partiti socialisti che, a costo di dure lotte, avevano ottenuto il riconoscimento e il diritto di esistere.
In Russia invece tutti i poteri appartenevano alla nobiltà zarista, mentre scarso peso politico aveva la poco numerosa borghesia.
Inoltre il liberalismo non aveva casa in Russia e la polizia era particolarmente spietata contro ogni forma di organizzazione politica o sindacale.
La base del partito menscevico era formata da operai specializzati, tipografi, ferrovieri, piccoli borghesi della classe impiegatizia; i bolscevichi avevano la base tra gli operai generici e tra i più poveri.
LENIN
Vladimiri Ulianov detto Lenin era un esponente della piccola nobiltà terriera che era diventato uno dei leaders del partito bolscevico.
Egli aveva rovesciato l'idea Marxista secondo cui la rivoluzione della classe operaia si sarebbe compiuta nei paesi più industrializzati come conseguenza del crescente sfruttamento degli operai da parte della borghesia.
Lenin sosteneva, al contrario, che la rivoluzione avrebbe avuto luogo nei paesi più arretrati e poveri per le insostenibili condizioni di vita dei lavoratori. Questa elaborazione del pensiero marxista venne poi definito marxismo-leninismo.
Secondo Lenin la parte più politicizzata e "cosciente" della popolazione aveva il compito di guidare e di fornire i metodi e le strategie a tutti gli altri anche a costo di imporli con la forza.
Il suo minuscolo partito, quindi, sarebbe diventato la guida e l'avanguardia rivoluzionaria di una nuova società comunista.
La nuova società nata dalla rivoluzione si sarebbe basata sulla dittatura del proletariato (cioè sul dominio di tale classe sociale sulle altre, che avrebbero finito con lo scomparire) e sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione.
La collettivizzazione avrebbe dovuto riguardare anche le terre riscattate da milioni di contadini dopo l'abolizione della servitù della gleba.
Quindi si prospettava una società senza proprietà privata, senza classi sociali e senza più religione.
Escluso e lontano dall’idea rivoluzionaria bolscevica restava tuttavia il mondo contadino: un mondo disperso in un territorio sterminato, chiuso in piccole realtà separate l’una dall’altra.
Nel primo Novecento i viaggi erano ancora difficili e ogni regione della Russia contadina viveva una sua vita tradizionale scandita dal ritmo delle stagioni.
D’inverno l’attività agricola si riduceva quasi a nulla a causa delle proibitive condizioni climatiche, della neve e del gelo.
Poi, in primavera, iniziava il disgelo e si ritornava alla vita dei campi.
Ogni villaggio viveva raccolto intorno a pochi edifici: la chiesa, il mulino, l’officina, del fabbro, in qualche caso la stazione delle diligenze e poi in quella della ferrovia.
Dal punto di vista economico la campagna russa presentava situazioni e figure diverse. Molti erano i braccianti e i contadini poveri, proprietari di minuscoli fazzoletti di terra che li condannavano a una vita di miseria e Stenti. Ma esistevano anche contadini benestanti, se non proprio ricchi: i kulaki.
Erano proprietari di appezzamenti un po’ più grandi, di piccole fattorie, di stalle con capi di bestiame.
I contadini russi erano in gran parte analfabeti e legati a una cultura orale fatta di racconti e di leggende, di favole e di avventure,erano anche fortemente tradizionalisti e molto religiosi. Fra loro la Rivoluzione di Lenin avrebbe trovato enormi difficoltà.
Egli prese tempo, rimandando ogni decisione. Debole fu inoltre la sua posiziona nei confronti di un colpo di stato tentato dal generale Kornilov, comandante supremo dell' esercito per stabilire una dittatura militare. Il colpo di stato fu sventato dai bolscevichi che organizzarono la resistenza armata contro il generale e decisero di prendere il potere.
Problemi enormi attendevano il nuovo governo sovietico, che aveva confiscato tutti i mezzi di produzioni (terre, industrie, macchinari, miniere) e li aveva dichiarati di proprietà collettiva.
La produzione agricola era nel frattempo calata al 55% rispetto a quella degli anni precedenti la guerra, mentre quella industriale era crollata addirittura al 10% e il commercio estero quasi non esisteva più.
Lenin stesso si rese conto che non era possibile creare da un giorno all'altro una vera economia comunista. Trovò quindi una soluzione di compromesso che chiamò Nuova Politica Economica (abbreviato in NEP).
I contadini furono autorizzati a mantenere una certa quantità di terre in proprietà privata.
Solo le proprietà che superavano certe dimensioni divennero collettive.
Nei settori dell'industria e del commercio lo Stato si limitò ad appropriarsi di tutte quelle aziende che impiegavano più di 20 dipendenti per un totale di circa 37000 imprese. Restarono private quelle di dimensioni inferiori. In sostanza, restarono in mano ai privati molte proprietà contadine di dimensioni medio-piccole, gran parte del commercio interno, la piccole aziende familiari.
Nonostante i severi limiti posti alle attività private, la NEP diede subito fiato alla disastrata economia sovietica: negli anni 1923-24 solo il 38,5% della produzione totale era frutto del lavoro del settore statale, mentre tutto il resto provenne dalle libere attività dei privati.
La percentuale della produzione privata sul totale salì a oltre il 98% nell'agricoltura, grazie soprattutto all'intraprendenza dei Kulàki, i contadini benestanti.
Stalin Trotzkij
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Nel 1924, alla morte di Lenin, il potere passò a Stalin, che si sbarazzò con la forza di ogni rivale. Negli anni successivi egli affermò con spietata durezza il suo potere personale.
Rivale di Stalin per il potere, ma anche sul piano politico, era stato Trotzkij, l'eroe della difesa contro le armate bianche. Trotzkij avrebbe voluto l'esportazione del modello rivoluzionario sovietico, Stalin invece voleva mantenere il socialismo in Russia senza impegnarsi per il socialismo nel resto del mondo. Trotzkij fu costretto a scappare dalla Russia, ma Stalin lo fece uccidere da un sicario in Messico.
Stalin ebbe un immenso potere, un potere assoluto superiore a quello dei sovrani dell'antichità perché molto più capillare organizzato ed efficiente nel punire e anche nel prevenire ogni possibile forma di opposizione.
Dopo lo sterminio dei kulaki il regime staliniano si fece ancora più oppressivo. Le persecuzioni cominciarono a colpire non soltanto gli oppositori ma anche gli intellettuali e gli artisti, gli ufficiali dell'Armata Rossa, i vecchi bolscevichi di cui Stalin temeva il prestigio, e persino molti fedeli dirigenti comunisti.
Bastava un semplice sospetto un'accusa di frazionismo (= volontà di dividere il partito) o di deviazionismo (= allontanamento, deviazione della linea politica ufficiale) per essere processati, torturati, costretti a confessare colpe mai commesse, e poi giustiziati o inviati nei campi di lavoro forzato.
La potente e temutissima polizia politica i funzionari dello Stato Sovietico e del partito comunista, pretesero di regolare ogni aspetto della vita quotidiana dei cittadini. Fu imposto il culto della possibilità di Stalin "geniale" erede di Lennin e "padre" del popolo sovietico. Centinaia di migliaia e forse ancora di più (è difficile calcolarle, perché molte semplicemente scomparvero senza lasciare traccia) furono le vittime del periodo compreso fra il 1934 e il 1939 , che fu detto del terrore staliniano o delle grandi purghe.
In Occidente le notizie provenienti dalla Russia sollevarono grandi preoccupazioni ed emozioni. I governi e le classi dirigenti ebbero il timore che il contagio rivoluzionario si allargasse. L'invio delle truppe occidentali in aiuto dei generali zaristi e delle armate bianche non fu sufficiente a sconfiggere la Rivoluzione ma la guerra creò enormi difficoltà alla nuova dirigenza bolscevica e al nuovo stato comunista. Anche per questo motivo prevalsero le idee di Stalin sul rafforzamento del comunismo all'interno della Russia e sulla rinuncia da esportare la Rivoluzione nel resto del mondo. Fortissime invece furono le emozione e le speranze che la Rivoluzione fece nascere nelle classi popolari dell'Occidente soprattutto fra gli operai. La diffusione delle informazioni era allora assai più lenta e difficile che adesso. La Russia inoltre era un paese vastissimo e lontano dove le comunicazioni erano ben poco sviluppate. Per lungo tempo tutto ciò che in Occidente della Rivoluzione era che il popolo si era ribellato e aveva preso il potere. Anche dopo quando maggiori notizie cominciarono a circolare poco o nulla trapelò delle crudeli lotte di potere che avevano luogo al vertice dello Stato Comunista, della tirannia imposta da Stalin al paese e delle persecuzioni che di lì a poco si sarebbero abbattute su chiunque avesse osato opporsi .
In questa situazione molti pensarono alla Russia sovietica per lungo tempo come al paradiso dei lavoratori: un paese dove il popolo poteva governarsi da sé, dove si era liberato con le proprie mani dall'oppressione e dallo sfruttamento. Anche se questo, molto più tardi, non si sarebbe rivelato vero, l'idea di "fare come in Russia" divenne per molti , che vi credettero in assoluta buona fede, un ideale traguardo di politica e giustizia sociale.