La decolonizzazione, cioè lo sgretolamento e la scomparsa degli imperi coloniali costruiti dalle potenze europee fra il Cinquecento e l'Ottocento, costituisce probabilmente il fenomeno di maggior rilievo del secondo dopoguerra.I paesi membri dell'ONU, che nel 1946 erano 51, nel 1986 assommavano a 158. La spinta decisiva alla decolonizzazione venne dalla mutata situazione internazionale. Né gli Usa né l'Urss, nazioni una volta “periferiche” e ora dominanti, erano potenze coloniali in senso stretto: gli Usa, come sappiamo, avevano preferito seguire la via dell'espansione economico-politica; mentre la Russia aveva sempre esercitato un imperialismo “continentale”, cioè tendente alla supremazia nell'Europa orientale e nell'Asia centrale. Dopo la guerra, le due superpotenze assunsero un atteggiamento nel complesso favorevole allo smantellamento degli imperi coloniali perché vi scorgevano un terreno di contesa strategica. Per gli Stati Uniti l'opzione anticomunista ebbe un ruolo prioritario in Asia, America Latina e Medio Oriente (Vietnam o Medio Oriente). Qui essi intervennero con appoggi politici ed economici, per favorire l'instaurazione o sostenere regimi anticomunisti amici. Per l'Unione Sovietica, la decolonizzazione comportò un radicale mutamento nelle caratteristiche e nelle dimensioni del suo impegno internazionale, conferendogli un respiro globale che non aveva mai avuto sostenendo con impegno finanziario e tecnologico a volte militari ai movimenti anticoloniali. Il nazionalismo dei processi di indipendenza nelle colonie, coniugate o meno dalle influenze di tipo socialiste, ebbe generalmente un carattere laico e modernizzatore, puntando a costruire società fortemente influenzate dal modello occidentale, spesso in contrasto con i valori culturali e religiosi tradizionali. Ciò diede origine, soprattutto nei paesi islamici, a problemi e conflitti in qualche caso ancora irrisolti.
Esempi di decolonizzazione: