Nel 1991, appena finita la prima guerra del Golfo, Giovanni Paolo II afferma che la fede in Dio genera la pace tra gli uomini, e perciò "non ci sono guerre di religione in corso e non ci possono essere guerre sante". E in occasione della seconda guerra del Golfo ha più volte ripetuto che le religioni non possono e non debbono essere usate per giustificare le guerre.

Chi rifiuta l'idea della guerra santa non può che rallegrarsi per queste dichiarazioni ma, al contempo, non può dimenticare che spesso invece le religioni hanno provocato sanguinosi conflitti e che per secoli la stessa chiesa romana ha incoraggiato la guerra.

Invece, le nuove aperture convivono nell'insegnamento pontificio con le vecchie posizioni. Basti pensare al fatto che il Catechismo della Chiesa Cattolica riafferma la teoria tradizionale della guerra giusta e conclude che "la valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune". Ma non sappiamo ormai da diversi secoli che sulla base di questi principi nessun capo di stato ha difficoltà a scatenare un nuovo conflitto? Evidentemente, se negli ultimi decenni l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della guerra appare mutato, è innegabile che siamo ai primi passi e che molto resta da fare per eliminare le ambiguità che ancora permangono.


Papa Giovanni Paolo II, l'unico che è riuscito
ad avere un discorso coi musulmani

Un'opinione diffusa è che a un papa pacifista si contrappongano dei vescovi - americani e italiani - interventisti.
Per giorni e giorni, infatti, le correnti cattoliche ostili a una risposta militare hanno citato a proprio favore parole di Giovanni Paolo II, in particolare l'affermazione del 23 settembre secondo cui «le questioni controverse debbano essere risolte non con il ricorso alle armi, ma con i mezzi pacifici della trattativa e del dialogo».
In realtà queste ultime parole, prese come una condanna della guerra americana contro il terrorismo islamico, sono state pronunciate dal papa in tutt'altro contesto - durante la cerimonia di benvenuto all'aeroporto di Astana, all'inizio del suo viaggio in Kazakistan - e riferite a un preciso fatto, risalente al 1991, della politica militare del paese ospite:
«È in questa prospettiva che il Kazakistan, con coraggiosa iniziativa, ha deciso già nel 1991 la chiusura del poligono nucleare di Semipalatinsk e successivamente ha proclamato la rinuncia unilaterale all'armamento nucleare e l'adesione all'Accordo per il totale divieto degli esperimenti atomici. Alla base di questa decisione vi è la convinzione che le questioni controverse debbano essere risolte non con il ricorso alle armi, ma con i mezzi pacifici della trattativa e del dialogo...»


Esplosione a Semipalatinsk

Inoltre, sono state prese come condanna della guerra americana altre parole del papa d'invocazione della pace. Con quale fondatezza? Nei giorni del viaggio in Kazakistan e in Armenia, il portavoce papale Joaquin Navarro Valls ha ripetutamente dato ai giornalisti interpretazioni di segno opposto, sostenendo che il papa non intende in alcun modo escludere la legittimità di una guerra di «autodifesa». Ma più che le parole del portavoce, per decifrare la linea della chiesa, contano i pronunciamenti ufficiali della gerarchia.
I motivi dell’opposizione all’attuale conflitto sono tutt'altro che morali. Innanzitutto le gerarchie ecclesiastiche sono consapevoli di essere attanagliate da anni da una crisi di vocazioni e di fedeli. Di fronte ad una simile crisi, il clero non poteva che sentire l’esigenza di ridarsi una facciata “più umana”, con un Papa critico verso i “potenti”.
Vi è poi la questione della minoranza cattolica in Iraq. Ovviamente la curia ha un interesse naturale ad allargare la propria influenza. Nei paesi arabi questo diventa ogni giorno più difficile, visto l’inevitabile legame, agli occhi delle masse arabe, tra la crociata di Bush e la religione cattolica. L’Iraq è uno dei paesi mediorientali che ha concesso maggiore libertà e protezione alla minoranza cattolica. Nonostante lo sbraitare di Bush sul fondamentalismo islamico iracheno, l’Iraq è un regime laico. Questa convivenza pacifica, però, tra cattolici e regime di Saddam è il riflesso di un rapporto più che rilassato tra curia e dittatura irachena. Ne è stato una dimostrazione l’incontro, finito a tarallucci e vino, tra gli uomini della Santa Sede ed il ministro degli esteri iracheno Tareq Aziz.

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