Negli stessi anni in cui si combatteva la guerra di Corea, un'altra regione dell'estremo oriente asiatico, il Vietnam, era attraversata da un conflitto di dimensioni sempre più ampie, che contrapponeva le forze nazionalcomuniste del Vietminh (Lega per l'indipendenza del Vietnam) a quelle della potenza coloniale francese. L'origine delle tensioni risaliva al 1945. Il Vietnam è una lunga striscia di terra affacciata sul Mar Cinese Meridionale, tradizionalmente divisa nei regni di Cocincina a sud , dell'Amman al centro e del Tonchino a nord: le due aree pianeggianti del delta del fiume Rosso, a nord, e del delta del Mekong, a sud, sono le sedi dei maggiori centri abitati. Nel corso del XIX secolo la Francia aveva conquistato la regione e l'aveva ridotta ad una colonia, unita al Laos e alla Cambogia nella Federazione dell'Indocina francese. Già nei primi decenni di questo secolo il Vietnam erano sorti diversi gruppi nazionalisti che si dibattevano per la liberazione del Paese dal dominio coloniale, ma l'impulso decisivo alla lotta doveva venire dagli avvenimenti della seconda guerra mondiale. Le sconfitte subite dalla Francia in Europa aveva avuto come contraccolpo l'isolamento delle colonie e i Giapponesi si erano potuti insediare facilmente in Indocina pur mantenendo l'amministrazione dei funzionari francesi. A questo periodo risale l'unione di diversi gruppi nazionalisti locali nel Vietminh, movimento che riuscì a colmare il vuoto di potere creatosi nel 1945 in seguito alla sconfitta giapponese. Il movimento guidato da Ho Chi Min aveva proclamato il 2 settembre di quell'anno la Repubblica Democratica del Vietnam, controllando il nord del Paese e chiamando contemporaneamente il sud del Paese all'insurrezione coloniale. Questa iniziativa si era scontrata con l'iniziativa delle grandi potenze internazionali, decise a ridisegnare i confini del mondo senza tenere conto dei movimenti di liberazione nazionale. Per il Vietnam nel luglio 1945 alla conferenza di Postdam era stato approvato un piano che stabiliva l'occupazione cinese nel nord del Paese e il progressivo sostituirsi dei francesi alle truppe britanniche nel sud. Il quadro si era fatto così estremamente confuso e complesso: il governo di Ho Chi Min che al nord doveva convivere con l'occupazione cinese, e che al sud fomentava una guerriglia anti-francese, stretto fra due opposte minacce e trovatosi di fronte al rifiuto di aiuti sia da parte americana che russa, non poté fare a meno di optare per una trattativa con i francesi, che garantisse il riconoscimento al suo governo nelle regioni settentrionali (pur con i vincoli di un protettorato) e portasse contestualmente al ritiro delle truppe cinesi. La scelta non mancava di realismo politico: l'occupazione cinese avrebbe significato presto o tardi l'annessione diretta a Pechino, chiudendo ogni possibile strada all'indipendenza; la presenza francese avrebbe invece costituito un male transitorio, destinato a concludersi con il prossimo e ineluttabile crollo degli imperi coloniali europei. Le aperture di Ho Chi Min avevano trovato consenso sia nell'ambiente politico francese, consapevole delle difficoltà militari insite in una guerra combattuta nella giungla vietnamita, sia in ambito cinese; la Cina nazionalista di Ciang Kai-Shek aveva ben altre difficoltà per la guerra civile contro Mao Zedong e avrebbe rinunciato all'occupazione del Vietnam in cambio di alcune concessioni dei francesi sul controllo di alcuni porti cinesi. Si giunse così ad un accordo siglato a Parigi nel 1946 in cui in seguito al ritiro cinese i francesi riconoscevano il governo di Ho Chi Min, ottenendo in cambio varie prerogative economiche e l'invio di venticinquemila soldati nel Tonchino per i cinque anni successivi. La fragilità dell'accordo era implicita nella stessa formulazione, che prendeva un'ambigua commistione di indipendenza nazionale, di divisione artificiosa del Paese e di presenza straniera, ma, ancor più era condizionata dai problemi lla Quarta Repubblica Francese.