Le origini

La prima civiltà importante dell'India prosperò per mille anni, dal 2500 a.C. circa, sulle rive del Fiume Indo. Le città più importanti erano Mohenjodaro e Harappa (che attualmente si trova in Pakistan), dove fiorì una complessa civiltà governata da una classe di sacerdoti, nella quale si possono rintracciare le origini dell'induismo. Gli invasori ariani razziarono il sud partendo dall'Asia centrale tra il 1500 e il 200 a.C., assicurandosi il controllo dell'India settentrionale fino alle colline di Vindhya nell'attuale Madhya Pradesh e spingendo a sud gli abitanti originari della zona, i Dravida. Gli invasori portarono con sé le proprie divinità e tradizioni (allevamento del bestiame e abitudine di mangiare carne). Durante questo periodo si formalizzò il sistema delle caste che separava gli ariani dagli indiani loro sottomessi e garantiva la posizione di prestigio dei brahmani (sacerdoti). Il buddhismo sorse intorno al 500 a.C. e la sua condanna delle caste costituì la più grande sfida all'induismo brahmanico. Il buddhismo cominciò a sovrapporsi radicalmente all'induismo nel III secolo a.C., quando fu abbracciato dall'imperatore dei Maurya, Ashoka, che regnò su una parte di India maggiore rispetto a qualunque sovrano successivo fino alla dinastia dei Moghul. Dopo il crollo dei Maurya diversi imperi sorsero e crollarono, ma il più straordinario fu quello dei Gupta, che durò dal IV secolo d.C. fino al 606. Fu un'età dell'oro per la poesia, la letteratura e l'arte e alcune delle opere più preziose furono eseguite ad Ajanta, Ellora, Sanchi e Sarnath. In questo periodo vi fu un ritorno all'induismo ed ebbe inizio il declino del buddhismo. L'invasione degli Unni segnò la fine dei Gupta e il nord dell'India si divise in vari regni hindu autonomi; per una vera riunificazione occorrerà aspettare l'arrivo dei musulmani. L'estremo sud dell'India non fu interessato dall'ascesa e dalla caduta dei regni del nord e l'induismo, in questa regione, non è mai stato minacciato dal buddhismo. La prosperità del sud si basava sui consolidati rapporti commerciali con Egizi, Romani e Asia sudorientale. Tra i grandi imperi sorti nel sud vi furono i Pandya, i Chera, i Chalukya, i Pallava e i Chola. Mentre i regni hindu dominavano il sud e il buddhismo andava estinguendosi al nord, dal Medio Oriente i musulmani iniziarono a penetrare nell'India. Nel 1192 il potere musulmano si insediò definitivamente e nel volgere di 20 anni l'intero Bacino del Gange fu sotto il suo controllo. I sultani di Dehli, però, erano un gruppo inconsistente e l'islam non riuscì a penetrare al sud, che restò sotto l'impero Hoysala dal 1000 al 1300 d.C. Due grandi regni sorsero poi nell'attuale Karnataka: il potente regno hindu di Vijayanagar, la cui capitale aveva sede nella bella Hampi, e il regno musulmano Bahmani che si frammentò in cinque domini, quelli di Berar, Ahmednagar, Bijapur, Golconda e Ahmedabad. Gli imperatori Moghul spiccano nella storia indiana. Marciarono nel Punjab dall'Afghanistan, sconfissero il Sultano di Delhi a Panipat nel 1525 e aprirono le porte a una nuova età dell'oro per l'architettura, l'arte e la letteratura. La loro ascesa al potere fu rapida, ma ugualmente veloce fu il loro declino e tra gli imperatori Moghul soltanto sei furono davvero grandi. L'impero Maratha crebbe durante il XVII secolo grazie alle grandiose imprese della casta inferiore degli Shivaji, e gradualmente si impossessò di parti sempre più grandi del regno dei Moghul. I Maratha consolidarono il loro controllo sull'India centrale, finché non caddero sotto l'ultima grande potenza imperiale, quella britannica.

L'Europa e l'India

 Il potere britannico in India fu inizialmente esercitato dalla Compagnia delle Indie Orientali, che creò una stazione commerciale a Surat, nel Gujarat, nel 1612. Gli inglesi non furono i primi né gli unici Europei presenti in India nel XVII secolo: i portoghesi avevano il controllo di Goa dal 1510 (ancor prima che i Moghul arrivassero in India) e anche francesi, danesi e olandesi avevano stazioni commerciali. Il potere della Gran Bretagna andò aumentando da quando Clive riprese Calcutta nel 1757 fino alla vittoria britannica nella quarta guerra di Mysore nel 1799. Il lungo conflitto britannico con i Maratha si concluse infine nel 1803 e quasi tutto il paese finì sotto il controllo della Compagnia della Indie Orientali. Gli inglesi consideravano l'India essenzialmente come una risorsa economica e non si occupavano minimamente della cultura, delle credenze e delle religioni del suo popolo. Incrementarono l'estrazione di ferro e carbone, la coltivazione del tè, del caffè e del cotone e diedero inizio alla costruzione della vasta rete ferroviaria indiana. Incoraggiarono i proprietari assenteisti perché alleviavano il peso dell'amministrazione e della riscossione delle tasse, creando così una classe di contadini impoveriti e senza terre, problema che è tuttora cronico nel Bihar e nel Bengala occidentale. L'Ammutinamento Indiano in India settentrionale nel 1857 portò alla fine della Compagnia delle Indie Orientali e l'amministrazione del paese fu tardivamente affidata al governo britannico. I 50 anni successivi furono gli anni d'oro dell'impero sul quale "il sole non tramonta mai". La vera opposizione al governo britannico cominciò all'inizio del XX secolo. Il "Congresso", che era stato fondato per dare all'India un certo grado di autonomia governativa, cominciò a spingere per ottenere un potere reale. Al di fuori del Congresso, alcuni individui dal sangue caldo affermavano i loro propositi indipendentisti con mezzi più violenti. Alla fine gli inglesi tracciarono una via verso l'indipendenza simile a quelle realizzate in Canada e in Australia. Nel 1915 Gandhi fece ritorno dal Sud Africa, dove aveva esercitato la professione di avvocato, e mise le sue capacità professionali al servizio della causa indipendentista, adottando una politica di resistenza passiva al governo britannico, la "satyagraha". La seconda guerra mondiale inferse un colpo mortale al colonialismo e al mito della superiorità europea, e l'indipendenza indiana divenne inevitabile. All'interno dell'India, tuttavia, la minoranza musulmana cominciò a rendersi conto che un'India indipendente sarebbe stata anche induista. Nelle elezioni locali si cominciò a registrare un'allarmante crescita dell'autonomismo, con la Lega musulmana, guidata da Muhammad Ali Jinnah, in rappresentanza della stragrande maggioranza dei musulmani, e il Partito del Congresso, guidato da Jawaharlal Nehru, in rappresentanza della popolazione hindu. L'egocentrico desiderio di potere di Jinnah su una nazione musulmana separata risultò essere l'ostacolo maggiore sulla strada della concessione dell'indipendenza da parte britannica. Trovandosi di fronte a una situazione di stallo politico e a una crescente tensione, il vicerè, Lord Louis Mountbatten, decise con riluttanza di dividere il paese e velocizzare il processo d'indipendenza. Sfortunatamente, le due regioni a maggioranza musulmana si trovavano alle estremità opposte del paese e questo significava che la nuova nazione musulmana del Pakistan avrebbe avuto una metà orientale e occidentale divisa da un'India ostile. Quando fu stabilito il nuovo confine si verificò il più massiccio esodo della storia dell'umanità: i musulmani si trasferirono in Pakistan e gli hindu e i sikh si stabilirono in India. Buona parte della migrazione fu accompagnata da atti di barbarica violenza. Una volta che il caos ebbe fatto il suo corso, oltre 10 milioni di persone avevano cambiato lato e anche secondo le stime più prudenti almeno 250.000 persone erano state massacrate. Gli eventi finali per giungere all'indipendenza riservavano un'ultima tragedia

 Torna alla home page

Torna a storia