Il termine zen è la lettura giapponese del vocabolo cinese chan, che è l'equivalente della parola sanscrita dhyana,che significa letteralmente "meditazione". Lo Zen venne introdotto per la prima volta in Giappone durante il XII secolo dal monaco Eisai. Nato in India, lo zen era arrivato in Cina verso la fine del V secolo e aveva trovato nel taoismo cinese un nuovo impulso.

Durante il periodo di Kamakura era stato installato in Giappone qualche monastero zen, ma fu soprattutto sotto gli Ashikaga che gli shogun diedero alla setta l'appoggio che ne favorì l'affermazione.

La dottrina zen dà grande importanza ad un cammino di illuminazione personale che ha come meta il raggiungimento di una comprensione intuitiva della realtà non mediata dalla ragione (satori), che viene raggiunta attraverso lunghe sedute di meditazione (zazen) e attraverso l'attenzione esercitata anche nelle occupazioni apparentemente più umili. Tale "risveglio illuminato" non è aiutato dal ragionamento e dalla logica che anzi costituiscono un intralcio in quanto imprigionano la realtà in una gabbia di concetti precostituiti, riduttivi e ultimamente illusori; per questo motivo l'addestramento zen fa volentieri ricorso a paradossi logici (kôan) o ad atteggiamenti sconcertanti o addirittura violenti (la tradizione zen è ricca di aneddoti a questo proposito). Analogamente lo zen è diffidente nei confronti della cultura e dei libri come mezzo di trasmissione della dottrina; questa può essere appresa solamente dall'insegnamento diretto di un maestro che guidi ad una esperienza vissuta personalmente. In un certo senso si tratta di una dottrina che opera un ritorno alla semplicità della predicazione originale del Buddha, trascurando o rigettando esplicitamente le costruzioni intellettuali e le interpretazioni metafisiche proprie di altre scuole.

Il buddismo zen ha avuto una grande importanza nello sviluppo della cultura giapponese a partire dall'età medioevale fino all'epoca presente. La sua semplicità dottrinale, il suo richiamo ad una morale semplice e austera, alla meditazione e all'autocontrollo ben si accordavano con i valori ed il modo di vivere della classe dei guerrieri al potere. In campo artistico questi ideali si sono tradotti in quella concezione estetica semplice e sobria, raffinata ma essenziale che siamo soliti associare con l'arte giapponese in generale (e che viene descritta in una parola dal termine shibui) ma che in realtà nasce in questo periodo (sicuramente gli ideali estetici della corte di Heian erano alquanto diversi). Tale concezione è esemplificata da alcune forme d'arte tipicamente giapponesi che sono nate o hanno avuto una nuova fioritura a partire dall'età medioevale: la pittura a inchiostro di china (sumi-e o suibokuga), la costruzione di giardini con acqua o "asciutti", la cerimonia del tè (cha no yu o chadô o sadô), l'arte di disporre fiori (ikebana). Un riflesso di questa tendenza estetica si può parimenti riscontrare anche nella musica. Bisogna tuttavia evitare dal considerare troppo schematicamente questa connessione tra zen e arte come un'influenza unidirezionale della religione sugli altri campi della cultura; si potrebbe forse altrettanto fondatamente sostenere che i giapponesi si siano scelti la religione che più li soddisfaceva, modificandola ed adattandola alla propria mentalità.