A partire dal 1825 le potenze occidentali esercitarono sul Giappone la loro crescente pressione: esse chiedevano in particolare un trattamento umano per i loro naufraghi, la concessione di stazioni carbonifere nei porti giapponesi e la libertà di operare sul suolo dell'arcipelago per i loro mercanti e per i loro missionari. La prima mossa in questo senso ebbe luogo nel 1853, quando il comandante americano Matthew Perry, violando i divieti, entrò con le sue navi nella baia di Yedo (Tokyo) e l'anno successivo impose al governo dello shogun una convenzione relativa ai naufraghi e l'apertura di due porti per il rifornimento delle navi americane.

    Nel 1856 giunsero a Yedo ambasciatori americani, che ottennero la firma di un trattato commerciale (1858) sul quale si modellarono nei mesi seguenti analoghi trattati stipulati da Olandesi, Russi, Inglesi e Francesi. Tali trattati aprirono il Giappone alle relazioni politiche, culturali e commerciali con l'Occidente, provocando un'immediata reazione da parte dei nemici del regime dello shogun. Questi, nel nome dell'imperatore, si abbandonarono a una serie di atti di violenza contro i residenti stranieri (dodici dei quali furono assassinati tra il 1859 e il 1862) e nel 1863 bombardarono le loro navi a Shimonoseki, il che provocò rappresaglie immediate da parte delle potenze. Di fronte ai mezzi militari degli Occidentali, l'impotenza del governo shogunale divenne palese agli occhi dei suoi stessi seguaci: il 9 novembre 1867, Yoshinobu, ultimo degli shogun Tokugawa, si piegò senza tentar di resistere e rimise tutti i poteri all'imperatore Mutsuhito (Meiji) allora quindicenne.

    L'inizio dell'era Meiji fu contrassegnato da due avvenimenti importanti: il trasferimento dell'imperatore nell'antica capitale shogunale di Yedo, ribattezzata in quell'occasione Tokyo ("capitale dell'Est", per distinguerla da Kyoto, l'antica capitale imperiale); l'emanazione di un rescritto imperiale (1868) che preannunciava l'abolizione del feudalesimo, la modernizzazione economica e amministrativa del paese e la creazione di assemblee consultive destinate a rappresentare la pubblica opinione. Nella realtà, la modernizzazione economica del Giappone, incredibilmente rapida, provocò il sacrificio inevitabile delle istituzioni liberali, preannunciate con questo rescritto. Fu un gruppo relativamente ristretto di uomini energici, giovani, samurai, nobili della corte di Kyoto, ex funzionari shogunali già esperti nell'esercizio del potere e penetrati del sentimento della grandezza nazionale, a prendere in mano i destini del Giappone dopo il 1868, esercitando sullo svolgersi degli eventi un'influenza certamente molto maggiore di quella dello stesso imperatore Meiji. Tra il 1869 e il 1878 alcuni riformatori abolirono due istituzioni caratteristiche del Giappone feudale: il governo provinciale dei daimyo e la suddivisione della società in classi rigidamente distinte. Le prime vittime di questi provvedimenti furono i samurai, privati dei loro sia pur ridotti, mezzi di sostentamento.

    Nel febbraio 1877 il malcontento dei samurai scoppiò nella rivolta di Satsuma. Occorsero otto mesi di lotta per domare la rivolta, ma alla fine la vittoria dell'esercito nazionale ebbe un enorme effetto in tutto il Giappone, fornendo la prova della totale supremazia del governo centrale.

    In politica interna il Giappone parve seguire l'esempio dell'Occidente dandosi una costituzione (1889), ma l'adozione di un sistema parlamentare fu lungi dal produrre istituzioni veramente liberali e lo Stato giapponese restò una monarchia assoluta, appoggiata a un'alta burocrazia i cui quadri erano per lo più costituiti da ex samurai acquisiti ai programmi di riforma. La modernizzazione economica fu invece straordinariamente rapida; in dieci anni (1870-1880) le associazioni di mercanti e banchieri note con il nome di Zaibatsu realizzarono la concentrazione del capitale, procedettero all'elettrificazione dell'arcipelago e lo dotarono di una rete ferroviaria, mentre venivano edificate le grandi industrie metallurgiche, tessili e minerarie. Occorre aggiungere che scopo principale della creazione di queste industrie era quello di fornire al più presto all'esercito e alla marina giapponesi i mezzi per resistere a qualsiasi aggressore anche occidentale; i beni di consumo correnti continuarono invece a essere prodotti con i sistemi artigianali tradizionali.