INTR:"Quando cammini, non girare la testa; quando parli, non aprire la bocca; quando siedi, non muovere le ginocchia; quando sei in piedi, non agitare le vesti; quando sei felice, non ridere forte; quando sei arrabbiata, non alzare la voce". Questo si legge in un manuale del XIX secolo.
Le prime informazioni che possediamo sulla condizione femminile nell'impero cinese le dobbiamo a un missionario gesuita di origine italiana, Padre Daniello Bartoli che nel 1663 portò a termine un'accurata descrizione degli usi, dei costumi e delle istituzioni del popolo cinese basandosi sulle cronache lasciate dai missionari gesuiti nel paese. Il ritratto da lui lasciato delle donne cinesi risale al XVII secolo eppure non risulta affatto anacronistico se applicato a quelle della fine dell'Ottocento, quando l'impero mancese si avviava ormai al collasso definitivo.
Nella Cina tradizionale, le donne dovevano rispettare le tre obbedienze (al padre, al fratello e al marito, o ai figli maschi se rimaste vedove) e le quattro virtù (conoscere il proprio posto nel mondo, curare il proprio aspetto in modo da risultare gradevoli al marito, parlare poco e con attenzione, svolgere alacremente le faccende di casa):
Questi precetti erano illustrati in un gran numero di classici destinati all'educazione delle fanciulle di estrazione aristocratica. La loro diffusione non era però limitata alle classi colte e agiate e riuscivano a penetrare efficacemente anche tra il popolo grazie a un vasto repertorio di ballate e leggende popolari dove venivano esaltate la virtuosità , il coraggio e lo spirito di sacrificio di celebri eroine del passato, come la guerriera Mulan. Le norme comportamentali ricordate prima, erano inoltre rafforzate da tutta una serie di prescrizioni, dovute soprattutto ai filosofi neoconfuciani della dinastia Song , e quindi decisamente più tarde alle ideologie che limitavano la libertà di movimento delle donne rinchiudendole nelle case, dove occupavano le stanze più oscure e interne o i padiglioni collocati negli angoli del giardino più lontani dall'ingresso. I luoghi ben chiusi erano infatti considerati gli spazi più sicuri per le donne, là dove era meno probabile che venissero viste o sentite dagli uomini, compresi i membri della loro stessa famiglia di cui erano spesso costrette a farsi un'idea unicamente attraverso la voce. Se ai bambini piccoli era permesso di giocare insieme, a partire dai quattro anni per le bambine cominciava la segregazione negli spazi femminili e, in vista del matrimonio (che poteva avvenire anche quando gli sposi avevano solo otto o nove anni), veniva insegnato loro a non correre e a non parlare o ridere troppo rumorosamente. A questa immobilizzazione era reso ancora più difficile sottrarsi ricorrendo alla fasciatura dei piedi: piedi “piccoliâ€