Il territorio che costituisce l’attuale stato (chiamato Zaire tra il 1971 e il 1997), fu riconosciuto dal congresso di Berlino (1885) stato indipendente sotto la sovranità, a titolo personale del re Leopoldo II del Belgio. Il sovrano belga intraprese una decisa azione contro il commercio degli schiavi ma, al tempo stesso, sottopose la colonia a un intenso sfruttamento, valendosi della collaborazione e dei capitali di grandi compagnie finanziarie alle quali venne lasciata mano libera per imporre alle popolazioni e alla manodopera locali forme esose di tassazione e di lavoro coatto. Nel 1908, anche a causa delle severe critiche a cui era fatto segno, il sovrano cedé allo stato il territorio che assunse il nome di Congo belga. Il sistema delle compagnie concessionarie peraltro permase e tra queste assunse grande importanza l'Union minière dell'alto Katanga. Il perdurante sfruttamento e il sostanziale disinteresse della potenza coloniale per lo sviluppo politico e civile delle popolazioni impedì la formazione di una classe dirigente locale. Quando, dopo la seconda guerra mondiale, sul finire degli anni '50, anche nel Congo si manifestarono spinte in senso anticoloniale e indipendentista, il Belgio ritenne di poterle controllare, poi si acconciò a concedere l'indipendenza (giugno 1960), confidando comunque di poter continuare a imporre un controllo di tipo neocoloniale. Nel maggio si era votato per eleggere un' assemblea legislativa e nella consultazione aveva colto un certo successo il MNC (Movimento nazionale congolese) di P. Lumumba - l'unico diffuso sull'intero territorio e fautore di un progetto di rafforzamento dell'unità nazionale e di una politica socialisteggiante e terzomondista - su alcuni altri partiti tra cui l'Abako di J. Kasavubu,


Kasavubu.

 di tendenze moderate incline a un atteggiamento di collaborazione con l'ex potenza coloniale e gli interessi della grandi compagnie. L'indipendenza si rivelò però un evento traumatico per la fragile struttura sociopolitica congolese. Sostenuta dall'Union minière e da altri forti interessi occidentali, la ricchissima provincia del Katanga secessionò sotto la guida del leader locale e presidente della provincia, M. Ciombé. J. Kasavubu e P. Lumumba, eletti rispettivamente presidente e capo del governo del nuovo stato, invocarono l'intervento dell'ONU, poi entrarono in conflitto tra loro.


Lumumba.

 Lumumba venne destituito, arrestato dal colonnello Mobutu e consegnato a Ciombé che lo fece mettere a morte. La secessione katanghese venne definitivamente domata da truppe dell'ONU solo nel 1963, mentre il paese compiva il vano tentativo di instaurare una democrazia multipartitica. Dopo il governo del lumumbista C. Adoula (1962-64), avversato da una gigantesca guerriglia contadina, diretta da lumumbisti intransigenti e nazionalisti radicali, e quello di Ciombé (1964-65), richiamato dall'esilio da Kasavubu, si ebbe il colpo di stato risolutivo del colonnello Mobutu, che instaurò una dittatura destinata a durare oltre 30 anni. Fatta approvare una nuova costituzione (1967) che istitutiva un regime a partito unico, indetta un elezione presidenziale (1970) nella quale, unico candidato, venne eletto plebiscitariamente (lo stesso accadrà nel 1977 e nel 1984) Mobutu affrontò gli immani problemi dell'unità nazionale e dello sviluppo economico con metodi che inizialmente lo fecero apprezzare anche in ambienti progressisti (in particolare per la nazionalizzazione dell'Union minière).


Mobutu.

 Ma ben presto prevalsero del suo regime gli aspetti repressivi e conservatori. Per lunghi anni le potenze occidentali sostennero Mobutu come male minore di fronte ai rischi costituiti dai perduranti movimenti di guerriglia marxista. La dittatura di Mobutu giunse infine al termine con la rivolta armata dei banyamulenge, movimento espresso dall'etnia tutsi diffusa nelle regioni orientali, duramente perseguitata da Mobutu nella prima metà degli anni '90 e sostenuta dal vicino Ruanda. Alla testa della rivolta si pose Laurent-Desiré Kabila, uno dei leader della guerriglia degli anni '60, il quale nel maggio 1997 giunse ad occupare Kinshasa, costringendo Mobutu alla fuga. Il governo di Kabila deluse presto quanti speravano in una svolta positiva per paese. Kabila, di etnia luba, si circondò di uomini a lui fedeli, impose un potere dittatoriale non dissimile da quello di Mobutu. La guerra civile divampò nuovamente nell'agosto 1998 e ben presto si trasformò in un conflitto di dimensioni regionali, poiché a fianco degli insorti, che avevano dato vita a un Raggruppamento congolese per la democrazia (RCD), si posero l'Uganda nonché il Ruanda, mentre a sostegno di Kabila scesero in campo Angola, Namibia, Ciad, Sudan, Zimbabwe. Nel luglio 1999 si raggiunse un accordo di cessate il fuoco tra le fazioni combattenti a cui seguiva in settembre quello tra i sei principali paesi coinvolti. Ma nonostante ciò e malgrado le crescenti pressioni della diplomazia internazionale lo stato di guerra endemica si prolungò nel 2000.


Kabila.

Dopo la decisione dell'ONU di inviare osservatori in vista di un successivo dispiegamento di una forza d'intervento e dopo il fallimento in agosto di un vertice a Lusaka (nel quale Kabila si oppose a tale iniziativa), in novembre si raggiunse finalmente un'intesa per il dispiegamento di una forza neutrale lungo i confini con Uganda e Ruanda (i due stati maggiormente coinvolti nel conflitto), intesa sottoscritta anche da Angola, Namibia, Mali, Senegal, Zimbabwe. Si apriva uno spiraglio per porre fine a un conflitto definito «la prima guerra mondiale africana», che nel giugno del 2000 si calcolava avesse già provocato 1.700.000 vittime e un disastroso crollo dell'economia congolese. Nel gennaio 2001 Kabila veniva ucciso nel corso di un colpo di stato organizzato dai suoi oppositori; gli subentrò alla pre­sidenza il figlio Joseph Kabila, che dall'inizio del mandato riaprì il dialogo con le forze congolesi di opposizione e instaurò un nuovo governo nella cui compagine entrarono esperti manager in sostituzione della vecchia guardia paterna. L'impegno per la pace con il Ruanda del giovane presidente si concretizzò, nel luglio 2002, nella firma del trattato di pace, sottoscritto dal presidente ruandese Paul Kagame grazie alla mediazione dell'ONU e del Sudafrica.