La famiglia di Galileo

Vincenzio Galilei e i suoi antenati erano fiorentini; la famiglia Galilei era anzi stata nei tempi addietro una delle più cospicue della città. Un antenato, tale Tommaso di Bonajuto, aveva fatto parte del governo democratico di Firenze, succeduto nel 1343 al Duca d'Atene. Circa un secolo più tardi un altro membro della famiglia, "magister Galilaeus de Gaalilaeis", era stato medico illustre e gonfaloniere di giustizia; la sua tomba, tuttora esistente in Santa Croce, divenne poi la tomba di famiglia dei Galilei. Un fratello del "magister" ora ricordato fu bisavolo di Vincenzio. Nel '500 la famiglia doveva essere alquanto decaduta, almeno dal lato finanziario; furono, infatti, le difficoltà economiche che costrinsero Vincenzio a dedicarsi, oltrechè alla musica, anche al commercio. Appunto per ragioni commerciali egli si trasferì a Pisa dove sposò Giulia Ammannati nel 1562 e qui gli nacque il primogenito Galileo.

Vincenzio Galilei ebbe una cultura assai viva e ricca di molteplici interessi; fu invero non soltanto un abilissimo suonatore di liuto, ma anche un teorico della musica e inoltre un buon conoscitore delle lingue classiche e perfino della matematica.

Oltre il primogenito Galileo, Vincenzio ebbe altri due figli, Benedetto e Michelangelo, e quattro figlie, Anna, Livia, Lena e Virginia; di tre di loro si persero presto le tracce. I rimanenti invece, Virginia, Michelangelo e Livia, acquisteranno un'importanza notevole nella vita di Galileo. Gli impegni che egli assumerà, con animo anche troppo generoso, per provvedere alle loro esigenze finanziarie sempre crescenti, nonchè a quelle della madre, costituiranno una delle cause non ultime dei suoi continui affanni e delle sue ripetute peregrinazioni.

Della madre, appunto, si conosce pochissimo e quel poco non è affatto lusinghiero: Galileo non rammenterà nè rimpiangerà mai gli anni dell'infanzia, qualcuno dice proprio a causa della madre, di carattere intollerante e prepotente. Galileo ebbe a scrivere: "...di nostra madre intendo con non poca meraviglia che sia ancora così terribile, ma poichè è così discaduta ce ne saranno per poco, sì che finiranno le liti".

La famiglia di Vincenzio Galilei si trattenne a Pisa fin verso il 1574, per ritornare poi a Firenze.

La morte di Vincenzio nel 1591 fece ricadere all'improvviso sulle spalle del figlio primogenito il peso della numerosa famiglia ponendolo nell'assoluta necessità di accrescere i propri introiti. A mano a mano che crescevano le sue risorse finanziarie, le esigenze della famiglia aumentavano. Dovette anche provvedere alla dote della sorella Virginia che nello stesso anno si era unita in matrimonio con Benedetto Landucci, dote talmente sproporzionata rispetto alle reali possibilità che lo impegnerà per vari anni a seguire.

Nel 1601 anche la sorella Livia volle accasarsi e Galileo si obbligò a versare al nuovo cognato, Taddeo Galletti, una forte dote. Il fratello Michelangelo, che insieme a Galileo aveva firmato il contratto col Galletti, non solo non mantenne fede al proprio impegno, ma ebbe egli stesso bisogno di forti aiuti finanziari. Ricevette due lusinghiere offerte di impiego come maestro di musica, una prima volta in Polonia, una seconda volta a Monaco di Baviera: in entrambi i casi fu Galileo a dover provvedere alle sue spese di viaggio. In Polonia però Michelangelo riuscì a fermarsi per poco tempo, tornandone più povero di prima; in Germania poi, appena raggiunta una certa sistemazione, anzichè ricordarsi di saldare i debiti con il cognato ed il fratello, volle egli stesso sposarsi (con Anna Chiara Bandinelli) e giunse a spendere nel lussuoso banchetto nuziale tutti i denari di cui disponeva. Più tardi dovrà di nuovo ricorrere varie volte a Galileo per mantenere la numerosa prole.

Intanto Galileo sia pure in forma irregolare, si era unito con la veneziana Marina Gamba che, venuta a stabilirsi a Padova, non però nella medesima casa del Nostro, gli fu compagna affezionata per più di dieci anni. Ne nacquero due figlie ed un figlio: Virginia, Livia e Vincenzio. Galileo non si separerà da lei che quando lascerà Padova per ritornare a Firenze nel 1610; subito dopo la Gamba si unirà con Giovanni Bartoluzzi, a quanto sembra in regolare matrimonio. Va ricordato che la sparazione tra Galileo e la Gamba ebbe un carattere amichevole, come risulta dal fatto che, alla partenza per Firenze, Galileo le lasciò per qualche tempo il piccolo Vincenzio, e che intrattenne per vari anni col Bartoluzzi rapporti assai cordiali.
Con tutta probabilità, fu proprio la consapevolezza delle difficoltà economiche in cui si trovava immerso che lo distolse dal fondare una famiglia propria.

La tenacia di Galileo nel combattere con esasperata energia contro le maledette strettezze, che tanto lo assillavano, è uno dei tratti tipici della sua personalità; in esso dobbiamo cercare la spiegazione di parecchi aspetti del suo carattere, alcuni più simpatici, come la generosità nell'aiutare chi stava lottando alla ricerca di un lavoro dignitoso (prima il fratello, più tardi i discepoli), altri assai meno, come la sua spregiudicatezza nel cercar di accrescere, con qualunque mezzo, il proprio prestigio e consolidare di conseguenza la propria posizione.

Quanto alle due figlie, la prima, Virginia, aveva già abbandonato Padova da circa un anno, per seguire la nonna paterna che ritornava a Firenze dopo una visita a Galileo; la seconda, Livia, seguì il padre nel suo trasferimento. Dapprima Galileo cercò di collocarle nella casa della nonna, ma la sistemazione non potè durare a lungo a causa del carattere dell'anziana donna; fallito questo tentativo, non seppe trovare altra soluzione che quella di chiuderle in un convento.
Pertanto, verso la fine del 1613, le fece accogliere nel Monastero di San Matteo in Arcetri, senza giungere subito alla loro effettiva monacazione, a causa della giovanissima età delle fanciulle. Esse pronunciarono i voti nel 1616 e nel 1617, appena compiuti i sedici anni, assumendo il nome di suor Maria Celeste e di suor Arcangela.
Sono state indicate varie cause per spiegare il comportamento di Galileo non curante affatto dei desideri delle figlie: è innegabile che, se la prima accetterà con spirito rassegnato la vita impostale dal padre, e anzi rivelerà una vera vocazione religiosa, la seconda invece ne soffrirà molto e acquisterà un carattere acido ed insopportabile. Una prima generica giustificazione può venir trovata nei ben noti, tristissimi, costumi del tempo; un'altra di carattere personale, nel fatto che le figlie erano illegittime e ciò avrebbe reso loro molto difficile trovar marito in strati sociali degni dell'alta posizione occupata dal padre. Alla base di tutto stava, però, il desiderio di Galileo di trovare per esse una sistemazione che non rischiasse di procurargli, in futuro, alcun nuovo carico che lo sollevasse per sempre da ogni preoccupazione in merito.

Nel 1627 il fratello Michelangelo rientrò in Italia e condusse la sua numerosa famiglia presso Galileo. Ritornato poi a Monaco nel febbraio 1628, dapprima lasciò la moglie e i sette figli a carico del fratello, poi li richiamò improvvisamente a sè, quasi rimproverando a Galileo di non averli curati abbastanza. Michelangelo morirà nel gennaio 1631 dopo aver chiesto perdono al fratello e avergli di nuovo raccomandato moglie e figli.

Sempre al medesimo periodo risalgono altri fatti che ebbero una notevole ripercussione sulla vita di Galileo: nel 1628 il figlio Vincenzio si laureò in legge a Pisa e nel 1629 contrasse matrimonio con Sestilia Bocchineri, sorella di Geri Bocchineri, addetto alla Segreteria del granduca Ferdinando II, e di Alessandra Bocchineri, che sarà molto cara all'anima di Galileo negli ultimi anni della sua vita. Il matrimonio del figlio suscitò un certo dolore nelle due figlie suore, soprattutto nell'animo dolcissimo della prima, la quale potè in un certo momento temere di perdere una parte dell'affetto paterno, riversatosi sulla cognata e sulla sua famiglia. Per fortuna di tutti questo malinteso fu rapidamente superato e Galileo potè ritrovare nella figlia la profonda comprensione che gli era sempre stata di tanto conforto e di cui avrà maggiormente bisogno qualche anno più tardi, durante la tempesta del secondo processo. Proprio per accondiscendere al desiderio di lei, prese in affitto, nel 1631, un villino, "Il gioiello", in Arcetri, adiacente al convento di San Matteo.

Tra i familiari di Galileo soltanto la prima figlia aveva saputo prendere parte viva e profonda alle calamità attraversate dal padre nell'ultimo travagliato periodo. Egli aveva bensì cercato di tenerle nascosti i termini della sentenza pronunciata contro di lui dal Sant'Uffizio -temeva infatti che essa ne avrebbe troppo sofferto, data la sua delicatissima sensibilità religiosa- ma suor Maria Celeste era riuscita a venirne ben presto a conoscenza e ne era rimasta amaramente colpita. Essa aveva subito intuito il senso del conflitto e, pur senza pronunciare alcun aperta condanna dell'operato della Chiesa, non aveva nutrito il benchè minimo dubbio circa le ragioni del padre.

Suor Maria Celeste morì il 2 aprile 1634, non ancora trentaquattrenne, e la sua scomparsa fu causa di grande dolore per Galileo; eppure, anche in questa straziante situazione, tornò a dimostrare la forza del suo carattere. Seppe infatti, a poco a poco, riprendersi e, se pur col cuore velato da una tristezza senza conforto, tornare al lavoro.

Negli ultimi anni della sua esistenza ci fu, però, una persona in grado di risollevare l'animo afflitto di Galileo, Alessandra Bocchineri, la quale aveva conosciuto nella sua pur breve vita parecchie esperienze di dolore e di gioia. Rimasta vedova di Lorenzo Nati di Bibbiena, aveva sposato in seconde nozze Francesco Rasi, seguendolo alla corte granducale di Mantova; anche il Rasi però, dopo poco tempo, morì e lei rimase nuovamente sola, in una città forestiera e lontana dalla propria famiglia. Non lasciò tuttavia i Gonzaga, ma passò ai servizi di Eleonora, sorella del duca; ed anzi, essendo costei divenuta sposa dell'imperatore Ferdinando, la seguì a Vienna come dama di corte. Qui l'imperatrice la presentò ad un brillante diplomatico, il fiorentino Gianfrancesco Buonamici, che divenne il suo terzo marito. Nel 1630 Alessandra ritornò all'improvviso in patria "havendo saputo sfuggire -come scrisse il fratello a Galileo-   in soli diciotto giorni di viaggio li mali incontri della guerra e della peste, con meraviglia di chiunque l'ha qui saputo".
Com'è naturale, Vincenzio si affrettò a far conoscere al proprio padre la bella ed intelligente cognata, che aveva saputo suscitare intorno a sè tanto interesse nelle più eleganti corti europee; ebbene, noi vediamo dalla corrispondenza di Galileo ed Alessandra che subito sorse nei loro animi una vivissima simpatia reciproca, la quale, non solo non si affievolì col trascorrere del tempo, ma anzi assunse un tono particolarmente affettuoso proprio nell'ultimo anno della vita del vecchio scienziato, portandogli quel soffio ristoratore di commossa tenerezza di cui abbiamo accennato.