IL CANNOCCHIALE E LA LUNA
Nessuno strumento, forse, ha influenzato la storia della cultura quanto
il cannocchiale: si deve ad esso la prova sperimentale che ha permesso l'affermarsi del
sistema eliocentrico di Copernico su quello geocentrico di Tolomeo (con tutte le
conseguenze scientifiche, filosofiche e religiose che ciò ha comportato) ed è passata
attraverso lenti e specchi di cannocchiale la scoperta dell'universo in cui viviamo, fino
all'inquietante panorama delle galassie in fuga dal "big bang".
Eppure, inizialmente, gli strumenti ottici hanno attratto ben poco l'attenzione degli
scienziati. La stessa parola "lente" che trae origine da "lenticchia",
la leguminosa comune alla mensa dei poveri, denuncia le origini dimesse dell'ottica.
Le prime lenti nascono nel XIII° secolo prodotte da maestri vetrai. Il documento più
antico è un capitolare veneto dell'arte dei cristallieri datato 1284: "lapides ad
legendum e roidi da ogli" cioè lenti di ingrandimento e da occhiali.
L'idea di mettere insieme lenti diverse per vedere meglio cose lontane era nell'aria nella
seconda metà del 500, ma si procedeva per tentativi senza una corretta teoria ottica.
Il napoletano Giovan Battista Porta pubblica nel 1558 il trattato "Magia
naturale" e nell'edizione del 1589 appare un primo accenno al cannocchiale che si fa
più esplicito nel "De refractione" del 1593.
Non è certo se Galileo abbia letto le opere del Porta; questi comunque si sentì
defraudato dell'invenzione e in una lettera a Federico Cesi dell'agosto 1609 scriveva con
dispetto: "Del segreto dell'occhiale l'ho visto et è una coglioneria, et è presa
dal mio libro IX De refractione..."
D'altra parte Galileo non si è mai attribuito la paternità del cannocchiale, ma
piuttosto la sua riscoperta, il suo perfezionamento e la sua applicazione agli studi
astronomici: tre cose che non possono essergli contestate.
Il documento più eloquente è la lettera che lo scienziato pisano indirizza da Venezia
nell'agosto del 1609 al cognato Benedetto Landucci: "Dovete dunque sapere, come sono
circa due mesi che qua fu sparsa fama che in Fiandra era stato presentato al conte
Mauritio un occhiale fabbricato con tale artifitio che le cose molto lontane le faceva
vedere come vicinissime sichè un huomo per la distantia di due milia si poteva
distintamente vedere. Questo mi parve effetto tanto meraviglioso che mi dette occasione di
pensarvi sopra; e parendomi che dovesse havere fondamento sulla scientia di prospettiva mi
messi a pensare sopra la sua fabbrica: la quale finalmente ritrovai e così perfettamente,
che uno che ne ho fabbricato supera di assai la fama di quello di Fiandra. Et essendo
arrivato a Venetia voce che n'havevo fabbricato uno, sono sei giorni che sono chiamato
dalla Serenissima Signoria, alla quale mi è convenuto mostrarlo et insieme a tutto il
Senato, con infinito stupore di tutti."
La curiosità che spinse Galileo a costruire e puntare il suo cannocchiale verso il cielo
sconvolse le conoscenze fino ad allora acquisite, mutando radicalmente lo spirito
dell'astronomia: dalle speculazioni teoriche si passò alla pratica osservativa.
Il 21 agosto 1609 il professor Galilei dell'Università di Padova mostrò ad alcuni
senatori della Repubblica di Venezia il suo cannocchiale: era poco più di un tubo di
legno con due piccole lenti alle estremità che permetteva un ingrandimento di nove volte.
Ma lo stupore dei rappresentanti della Repubblica nel vedere la Basilica di Padova dal
campanile di Piazza San Marco fu grande e subito Galileo venne premiato con la conferma a
vita del suo posto di docente all'Università con lo stipendio raddoppiato.
Durante il suo soggiorno successivo a Padova costruì un nuovo cannocchiale da 20
ingrandimenti che volle puntare verso il cielo.In poche notti scoprì un intero cosmo
nuovo.
Questo strumento è conservato al Museo di Storia della Scienza di Firenze ed è formato
da un tubo di legno ricoperto di pelle e fregi in oro lungo 92 centimetri, ha un obiettivo
biconvesso con apertura utile di 16 millimetri, una distanza focale di 96 centimetri e un
oculare biconcavo che dà un ingrandimento di 20 volte.
Il primo oggetto osservato fu proprio la Luna.
Ancora oggi, chiunque di noi si trovi ad osservare con un piccolo telescopio la superficie
lunare, prova una grande emozione nello scoprire i crateri lunari.
Ma la sorpresa di Galileo, che nel 1609 non aveva mai sentito parlare di crateri, fu
enorme: la Luna aveva montagne proprio come la Terra! La linea dell'ombra che scorre con
le fasi lunari attraverso la sua superficie, rende ben visibili le catene montuose e le
valli circolari (così chiamava Galileo i crateri) sparse per tutta la superficie. Galilei
disegnò di sua mano quello che osservò, calcolò l'altezza delle montagne e l'estensione
delle regioni piatte. La linea di demarcazione fra la parte in luce e la parte in ombra,
chiamata terminatore, è la zona dove, sulla Luna, sta sorgendo o tramontando il sole.
Come accade sulla Terra, in questi due momenti, le ombre sono allungate e i versanti delle
montagne si trovano per metà illuminati e per metà ancora al buio.
In queste condizioni è molto più facile osservare i rilievi e trovare le zone
pianeggianti. Con il passare delle fasi lunari, dalla luna nuova alla luna piena, il
terminatore scorre tutta la faccia visibile della Luna e permette di disegnare una mappa
delle montagne di tutto l'emisfero. Galileo arrivò anche a misurare l'altezza di alcune
formazioni montuose con semplici considerazioni geometriche.
Le sue osservazioni della Luna, appena dopo la fase di luna nuova, gli permisero di
scoprire il segreto della luce cinerea. E' così chiamata la luce che si osserva sulla
faccia oscura della Luna appunto quando è una piccola falce in cielo. Dimostrò che non
è luce di stelle, né luce del Sole che attraversa la Luna. La sua spiegazione fu che è
la Terra stessa a illuminare la Luna.
Dopo la Luna venne il turno del cielo stellato. Finalmente un occhio nudo guardò le
stelle e si recò al di là delle costellazioni.
Galileo si accingeva a disegnare perfettamente la costellazione di Orione, ma venne
sopraffatto dalla quantità di nuove stelle che si rendevano visibili. Non è più
possibile contare le stelle "ce ne sono infatti ... più di 500".
Si risolse a disegnare una mappa della regione della nebulosa introducendo decine e decine
di nuove stelle. E ancora il gruppo delle Pleiadi gli svelò 40 stelle nuove. E' un
infinito che gli si aprì davanti.
E infatti Galileo puntò il cannocchiale verso la Via Lattea. Questa striscia biancastra
si svelò essere "nient'altro che una congerie di innumerevoli stelle, disseminate a
mucchi." Finì l'epoca del piccolo cosmo geocentrico e si aprì la via alla scoperta
delle Galassie.
Il giorno 7 gennaio dell'anno 1610, con il suo nuovo strumento da trenta ingrandimenti,
Galileo osservò Giove e si accorse "che gli stavano accanto quattro stelline,
piccole invero ma pur lucentissime", due a sinistra e due a destra. Il giorno
seguente le stelline risultarono in posizioni differenti rispetto al pianeta: Galileo
ancora pensava che fossero stelle sullo sfondo rispetto alle quali Giove si stava
muovendo, anche se quel giorno si sarebbe dovuto spostare nell'altro senso!
Dopo due notti nuvolose, la terza notte Galileo ebbe la conferma delle sue supposizioni:
Giove si era spostato nella direzione opposta e due stelline erano ancora una volta a
sinistra. Una sola conclusione possibile: le stelline non sono fisse e stanno girando
attorno al pianeta!
Così cadde un'altra obiezione dei sostenitori del vecchio regime tolemaico: questi
sostenevano che era impossibile pensare alla Terra che girava attorno al Sole perché in
questo modo avrebbe abbandonato le vicinanze della Luna.
Galileo mostrò che esiste almeno un altro pianeta che, girando nella sua orbita, si
trascina dietro le sue lune: Giove con i suoi quattro satelliti medicei. (Attorno a Giove,
in realtà, ruotano decine di satelliti, ma Galileo riuscì a vedere i quattro più
luminosi).
Li battezzò Io, Europa, Ganimede e Callisto e dedicò la sua scoperta a Cosimo II de'
Medici, allora Granduca di Toscana. La prima scelta di Galileo fu di denominarli
"astri cosmici" in onore del Granduca, ma Cosimo stesso preferì utilizzare il
nome della famiglia e da allora i quattro satelliti sono noti come gli "astri
medicei". Negli appunti di Galileo si notano i disegni di Giove e le posizioni sempre
diverse dei suoi satelliti: era la prova inconfutabile dell'esistenza di astri che
orbitavano attorno ad un astro che non fosse la Terra.
Galileo costruì anche uno strumento per prevedere le posizioni dei quattro satelliti
medicei di Giove rispetto al pianeta. Esso è detto "giovilabio" e in linea di
principio poteva servire anche alla determinazione delle longitudini in mare, problema che
assillò i navigatori fino alla costruzione dei primi orologi precisi.
Fece disegni per spiegare il fenomeno delle fasi di Venere e arrivò alla immediata
conclusione che il pianeta doveva essere in rotazione attorno al Sole e che la Terra
doveva percorrere unorbita più lontana. Con queste osservazioni la teoria
copernicana ricevette una delle più schiaccianti dimostrazioni.
Le osservazioni di Saturno da parte di Galileo non furono fortunate come quelle di Giove.
Lo scienziato non poteva nemmeno sospettare l'esistenza di un corpo celeste lontano dalla
forma sferica come lo sono gli anelli di Saturno ed infatti descrisse il pianeta come
tricorporeo, composto cioè da tre corpi separati. In effetti il suo cannocchiale era
troppo poco potente per vedere nitidamente lo spettacolo degli anelli.
Galileo osservò per la prima volta le macchie solari nel 1610. Le teorie del tempo
postulavano un Sole perfetto che non poteva avere macchie e le osservazioni venivano
spiegate come piccoli pianeti che passavano davanti al disco del Sole. Galileo confutò
queste ipotesi mostrando come cambiava la posizione delle macchie col passare dei giorni e
arrivò a dimostrare che anche il Sole ruota su se stesso, proprio come la teoria
copernicana prevedeva per la Terra.
Ancora Galileo osservò a lungo e disegnò con sufficiente precisione l'ammasso aperto
delle Pleiadi.
Per spiegarci come Galileo sia riuscito così improvvisamente a rivoluzionare le
osservazioni astronomiche, occorre tener presente che l'utilizzo di un sistema ottico come
supporto alla vista naturale permette di vedere oggetti più deboli. La capacità di un
cannocchiale di rendere più luminosi gli astri è dovuta al fatto che la lente principale
(l'obiettivo che, nei moderni telescopi, è uno specchio) ha un'area superiore a quella
della pupilla dell'occhio umano, che ha circa 0,5 centimetri di diametro.
I cannocchiali di Galileo avevano diametri dell'obiettivo di 3 o 4 centimetri e
ingrandimenti tipici di 5 o 9 volte, paragonabili ai più piccoli binocoli oggi in comune
commercio. Eppure la quantità di stelle che poteva vedere era enorme al confronto di
quelle visibili ad occhio nudo.