Questi scritti degli ultimi anni del Cinquecento costituiscono le opere di natura o argomento specificatamente letterari di Galileo e saranno pertanto trattate nella seconda parte dell’approfondimento. Qui le cito per completezza nell’elencazione della produzione galileiana.

2.1 Le influenze e le opere

Gli scritti del Viviani a cui già avevo fatto riferimento in precedenza tornano nuovamente utile nel momento in cui dobbiamo stabilire quale fossero gli autori che Galileo preferiva e ai quali si ispirava nello scrivere. Per quanto riguarda gli autori latini, il nostro autore si confrontò con «gran parte di Vergilio, d’Ovidio, Orazio e di Seneca, e tra i toscani quasi tutto il Petrarca, tutte le Rime del Berni, e poco meno che tutto il poema di Lodovico Ariosto, che fu sempre il suo autor favorito e celebrato sopra gli altri poeti». Si tratta quindi di molti autori alcuni dei quali, mi riferisco al Petrarca ed al Berni, contraddistinti da tendenze letterarie completamente differenti. La tendenza di Galileo, lo scrivo immediatamente, è quella di preferire, e c’era d’aspettarselo, gli autori scrittori di cose e non di parole. Addirittura il nostro autore dichiara il suo debito stilistico, per quel che s’attiene alla chiarezza e all’evidenza, alla lezione ariostesca. Ma quali le opere a cui mi riferisco ora?

Per quanto riguarda la prosa, le Considerazioni al Tasso, le Postille all’Ariosto, le Postille al Petrarca (effettuate a un’edizione delle Rime e dei Trionfi curata dal Castelvetro e pubblicata a Basilea nel 1582; queste furono esaminata solo nel 1927 dal Favaro), un Argomento e traccia d’una commedia (si tratta di due abbozzi di stesure di una commedia forse ideata a Firenze prima del 1592 e ripresa nel periodo padovano e quasi certamente suggerita dalla lettura del Ruzzante), Alcuni frammenti ed esercitazioni scolastiche. Per quanto riguarda invece la poesia, invece, il Capitolo contro il portar la toga è la prima opera che incontriamo. Seguono poi sei sonetti e cioè: Or che tuffato il sol nell’onde Ispane, Mentre spiegava al secolo vetusto, Mentre ridea nel tremulo e vivace, Scorgi i tormenti miei se gli occhi volti, Fiamme vibrando, la celeste lampa ed infine Mostro son io più strano e più deforme. Molto si è discusso sull’originalità di questi componimenti poetici, specialmente su quelli d’indole amorosa, sia perché, secondo alcuni, non convenienti alla natura di Galileo, alla qualità del suo umore poetico, alla purezza e proprietà delle sue composizioni, sia perché non sono stati rinvenuti tra i manoscritti originali di lui. Alcuni critici arrivarono ad attribuire questi sonetti a Vincenzio Galilei, figlio di Galileo, che scrisse interi volumi di versi.

Già il Favaro però, nella IX Edizione Nazionale, non ha dubbi sulla loro autenticità, poiché s trovano, se non autografi, in varie copie manoscritte del XVII e XVIII secoli e tutti con l’intestazione al nome di Galileo. Furono invece erroneamente attribuiti al nostro autore altri due sonetti (Come talor di Nettuno avviene e L’amico stuol di Dio quando alle spalle), quattro madrigali (O miseri occhi miei, Poi che morir debb’io, Bella angioletta mia, Se fera voglia Amor nel mio sen chiude e una Befanata del signor Galileo Galilei in Pisa. Sicuramente galileiana è poi una canzone amorosa di XIV stanze che prenderò in esame in seguito.